Riporto integralmente la mia intervista comparsa sul sito del “Nuovo Giornale dei Militari”
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Il tema della Difesa, delle spese militari e della riforma dello strumento militare sono oggetto di dibattito e di proposta non solo nel mondo militare ma anche nell’area che fa riferimento ai movimenti pacifisti con forti richiami alla necessità che il Parlamento torni ad essere protagonista delle scelte che riguardano tali settori.
Abbiamo quindi ritenuto interessante ascoltare una delle voci più impegnate sul tema della pace e del disarmo, Francesco Vignarca . A lui abbiamo anche chiesto cosa ne pensa dei militari……
D – Stiamo assistendo da alcuni mesi ad un innalzamento dell’attenzione in merito alle tematiche legate alla Difesa, o meglio, alle spese militari; lei che ne pensa? Si tratta di un dibattito che “arriva” all’opinione pubblica o siamo ancora a temi per soli addetti ai lavori?
R – Sicuramente in questi mesi le tematiche relative alle spese militari, ma anche più in generale alla Difesa, hanno raggiunto un grado di attenzione più alto del recente passato presso opinione pubblica e politica. Ritengo che il motivo principale sia congiunturale e legato alla crisi economica, che stimola ovviamente un controllo maggiore delle alte spese dello Stato. Ma in questo processo non vanno però sottovalutate le azioni informative condotte da diverse realtà, tra le quali metto sicuramente le campagne delle nostre organizzazioni pacifiste e disarmiste. La natura tecnica delle questioni di cui tutti ci occupiamo, molto particolare e complessa, comunque continua a far mantenere questo tipo di confronti e discussioni più segnatamente all’interno della cerchia degli “addetti ai lavori”. Ma ciò non significa che occorra rinunciare all’idea che se ne possa parlare anche presso un pubblico più ampio: stiamo comunque riferendoci ad una porzione non banale del bilancio dello Stato ed è quindi diritto e dovere di ogni cittadino tenerlo sotto controllo e poterne determinare l’utilizzo grazie al confronto politico ed istituzionale.
D – La crisi economica ha posto senza dubbio la necessità di rivedere le scelte sulle spese militari, argomento che è venuto alla ribalta soprattutto grazie alla campagna contro l’acquisto degli F35…Ma ne abbiamo veramente bisogno di questi aerei? Ed in generale c’è un effettivo controllo parlamentare sulle spese militari?
R – Ovviamente chiedere ad un nonviolento e disarmista se servano aerei militari non può che comportare un unico tipo di risposta: no, non servono! Ma anche se volessimo affrontare la questione da un punto di vista più neutro e più comune a qualsiasi cittadino italiano, credo che la risposta possa e debba essere dello stesso tenore. In generale però questa valutazione è possibile solo se andiamo prima a definire quale debba essere il modello di Difesa, sia armato che non armato, dell’Italia e in subordine quali siano i compiti specifici e generali delle nostre Forze Armate. Diversamente diventa difficile esprimere un giudizio perché ovviamente mancano i parametri di valutazione. Quello che però risulta certo è che il programma dei cacciabombardieri F-35 sta attraversando una fase di grossi problemi sia dal punto di vista dello sviluppo e della sua maturità, sia dal punto di vista dei costi. E ciò getta numerosi e problematici dubbi anche sulla partecipazione italiana al programma. In generale su tutta la questione si sconta una carenza di cultura politica del controllo, soprattutto in Parlamento, di ciò che e relativo alla questione della Difesa e delle spese militari. La Camera ed il Senato negli ultimi anni non hanno praticamente mai messo in pista dei percorsi di controllo sensato ed approfondito su tutta la partita delle spese militari, e solo con questa legislatura – grazie ad un certo ricambio sia di gruppi politici che di personale – si sta assistendo ad un rinnovato tentativo di controllo. Mancano comunque ancora le procedure e le possibilità di percorsi legali ed istituzionali per avere una situazione davvero consolidata che permetta realmente un’analisi approfondita e una valutazione seria e sensata sulla spesa militare italiana.
D – Recentemente sono stati approvati i decreti discendenti dalla riforma dello strumento militare che riduce gli organici del personale per “riequilibrare” – si dice – la ripartizione delle spese troppo orientate – affermano i vertici militari – a vantaggio delle spese del personale a scapito degli investimenti e delle spese per il funzionamento. Secondo Lei questa riforma porterà effettivi risparmi? E a suo giudizio è corretto procedere ad una riorganizzazione delle FF.AA. senza aver dibattuto in Parlamento quale deve essere la politica di difesa del nostro Paese nell’ottica di una politica di difesa europea, se c’è una politica di difesa europea…?
R – Ho in parte risposto già nella mia risposta precedente: credo che qualsiasi ipotesi di riforma dello strumento militare debba essere preceduta da una seria riflessione e valutazione su cosa significhi “difesa del nostro Paese” nel Terzo Millennio, e che relazione ciò abbia sia con la dimensione continentale (se l’Unione Europea vuole davvero “diventare grande” e proporsi come soggetto politico di primo piano) sia con il nuovo concetto di “Patria” che a mio parere non può più essere quello territoriale uscito dalla Seconda Guerra Mondiale. E’ proprio in questo senso, oltre che per la nostra ottica di disarmo, che ci siamo opposti durante tutto il percorso parlamentare alla scelta operata, in particolare con il forte input dell’allora Ministro Di Paola, per la Riforma dello Strumento militare. Una scelta che ci pare davvero discutibile sia nel merito tecnico e militare (tagli che non riequilibriamo il rapporto ufficiali/truppa, alcuni privilegi delle alte sfere non toccati, penuria continua di fondi per l’esercizio, il non risolto ruolo “necessario” dei fondi delle missioni all’estero…) sia da quello della impostazione generale (strumento militare visto come unico braccio della Difesa del Paese, supporto a scatola chiusa dell’industria a produzione militare vista come soggetto da tutelare molto di più che gli stessi effettivi che costituiscono la struttura vera ed umana delle nostre Forze Armate…). Non vediamo quindi alcun risparmio realizzato in futuro, peraltro con tempi molto più diluiti rispetto ad altre recenti riforme nella Pubblica Amministrazione, ed anzi a nostro parere maggiori investimenti in sistemi d’arma complessi anche da gestire (oltre che poco utili per i compiti ordinari) potrebbero pure comportare maggiori oneri e difficoltà nella manutenzione ed operatività. Non comportando di contro, ed anzi sfavorendo, un miglioramento dello stesso strumento militare in termini di efficienza e prontezza.
D – A chi vi accusa di essere contro le forze armate Lei cosa risponde? Ce l’avete proprio con i militari?
R – Noi siamo portatori di una visione che, in prospettiva, vorrebbe un’Italia ed un mondo libero dalle armi e libero delle strutture militari. Su questo non ci nascondiamo: crediamo fermamente che quella situazione comporterebbe un mondo migliore basato sulla cooperazione e non sul contrasto e sulla competizione. Magari possiamo essere definiti sognatori ed utopisti, ma ci siamo sempre più strutturando per lavorare concretamente e con passi realistici al nostro piano… (se volessimo proprio riutilizzare un vecchio slogan “rivoluzionario” si potrebbe estrarre dal cilindro il sempre evocativo “Siamo realisti, esigiamo l’impossibile”).
Detto questo la nostra visione nonviolenta ovviamente non ci fa vedere in nessuno un “nemico”, anche se riconosciamo come ci possano essere posizioni diverse su cui eventualmente agire per “convincere” senza aver bisogno di “vincere” (l’essenza della nonviolenza politica). La nostra posizione è chiara e da questa partiamo però, proprio per la modalità di lavoro che ci è propria, siamo disponibili ad un confronto con tutti e ci sembra di averlo dimostrato in passato. Non ci siamo fermati ad azioni o evocazioni solo sul piano della posizione ideale di nonviolenza e disarmo, ma abbiamo cercato di portare avanti delle considerazioni ed analisi che potessero risultare condivisibili da un qualsiasi cittadino italiano anche se non allineato sulla nostra posizione di partenza ed anche se intenzionato a volere delle Forze Armate come funzione fondamentale dello Stato. L’unica cosa che abbiamo sempre domandato è una chiarezza di fondo su quelli che devono essere gli obiettivi e le posizioni di ciascuno, ed è per questo che spesso io ho apprezzato maggiormente le posizioni “militari” rispetto quelle di politici genericamente “pro-Difesa” che magari hanno cercato di mascherare spese militari o scelte di finanziamento armato per motivazioni industriali non certo legate all’operatività effettiva delle Forze Armate. Mi pare anche che la riforma dello strumento militare, come abbiamo detto prima, punti più a sostenere proteggere l’industria a produzione militare che il comparto militare… In questo senso l’Italia non è sola, basta vedere le ultime decisioni prese dal Pentagono.
D – Vi possono essere degli interessi in comune tra la Rete Disarmo e i militari? Si possono “combattere” battaglie comuni?
R – Se in una certa fase ci dovessero essere, come nel caso già visto della Riforma dello Strumento Militare, delle posizioni simili o comuni a me non dà nessun problema poter lavorare su direzioni e obiettivi similari con il comparto dei militari. Non credo ci sia nessun rischio di commistione se gli obiettivi di medio-lungo periodo rimangono chiari reciprocamente ed anche, in certo senso, distinti. In generale ritengo che ci siano delle situazioni e delle condizioni che possono essere interessanti per tutti e che debbano essere in qualche modo condivise indipendentemente dalle prospettive successive. Che possono e devono correttamente essere anche differenziate. Mi riferisco in particolare ad una certa efficienza di spesa legata al mondo della Difesa, delle forze armate, delle spese militari. Su questo credo che possiamo essere tutti d’accordo come cittadini e cittadine italiane che semplicemente vogliono che i propri soldi vengano a spesi al meglio. Chiaramente su altre dinamiche e prospettive, di più lungo periodo, le differenze rimangono ma proprio nell’ottica di lavoro che ci siamo dati non è certo questo un problema: per noi è comunque un arricchimento potersi confrontare e anche condividere dei parti contigue di percorso.
D – Cosa risponde alle preoccupazioni dei rappresentanti dell’industria della difesa che paventano negative ricadute occupazionali se si sospendessero i programmi di investimento in atto?
R – In realtà questo tipo di giustificazioni continuano a sembrarmi, davvero sempre di più, solo delle foglie di fico per proteggere delle situazioni di rendita e di potere. Ormai infatti è pienamente assodato come un maggior numero di posti di lavoro lo si otterrebbe investendo i rilevanti miliardi di fondi pubblici impiegati in spese militari in atri comparti civili, con utilizzi di natura industriale ed economica più redditizi e tecnologicamente avanzati. I grandi mamager delle industrie, spesso di Stato, che producono armamenti sanno però che ciò significherebbe doversi mettere in gioco con un mercato reale e competitivo e non con un comparto protetto, i cui guadagni derivano da commesse pubbliche decise a livello politico.
Molto più semplice per loro rimanere aggrappati agli “affari di Stato” delle armi, da cui ricavare fatturati e bonus con situazioni anche non troppo limpide. Ma senza nessun vantaggio per il Paese e per le stesse aziende e sicuramente con un impatto negativo e problematico sull’occupazione. Anche per questo occorre cambiare rotta.