Il legame deleterio tra militarizzazione e crisi climatica, con la necessità di una costruzione parallela di Pace e Giustizia ambientale, in un’epoca di boom della spesa militare globale. Mio editoriale per Avvenire
Si è da poco tenuta, a livello globale, la prima Settimana d’azione per la pace e la giustizia climatica con più di cinquanta eventi programmati nei cinque Continenti. Un’iniziativa voluta da organizzazioni della società civile di tutto il mondo (rilanciata in Italia da Rete Pace Disarmo) per provare ad affrontare i legami tra guerra, militarismo e ingiustizia climatica e così arrivare a promuovere un’azione dal basso per la definizione di politiche di pace e costruzione di una vera giustizia climatica.
Le situazioni di conflitto armato sempre più emergenti ed evidenti, gli impatti devastanti su comunità e territori della crisi causata dal cambiamento climatico e dall’inquinamento, la crescita vertiginosa degli sfollati climatici (con numeri ormai al livello di coloro che scappano dalle guerre). Sono queste gli elementi che hanno spinto ad una iniziativa che non aveva solo l’intenzione di stimolare uno specifico attivismo, quanto di favorire una convergenza di pensiero e di risposta alle due crisi sistemiche (e combinate) del nostro tempo: quella climatica e quella della militarizzazione. Entrambe esistenziali per l’umanità, ed entrambe di livello globale con impatti su tutti (senza quindi che si possa pensare di “starne fuori” pensando che sia solo un problema degli altri…).
La connessione si è fatta sempre più evidente negli ultimi tempi, pensiamo solo al Medio Oriente di questo secolo con guerre e sconvolgimenti ripetuti: dall’Iraq alla Siria, dalla situazione in Palestina ed Israele allo Yemen e ora al Libano. In tutti questi casi, in particolare se ci riferiamo alla distruzione di Gaza, nessuna delle minacce ambientali che hanno causato devastazioni umanitarie potrà essere migliorata da un’ulteriore escalation militare.
Perché le attività militari – qui come altrove – danneggiano gli ecosistemi e creano minacce alla salute e al benessere pubblico, molte delle quali hanno il potenziale di minare ulteriormente la sicurezza umana. Ma il circolo vizioso porta ad una spirale discendente: il deterioramento del contesto di sicurezza sta rafforzando ulteriori prospettive militarizzate escludendo dalle decisioni politiche serie considerazioni ambientali, e così contribuendo a giustificare ulteriore degrado ambientale…
Questa dinamica così visibile in Medio Oriente si ripete in molti altri contesti, e a livello globale: guerra e militarismo (ricordiamoci che le spese militari mondiali sono raddoppiate da inizio secolo) hanno contribuito a causare il collasso climatico reso visibile da continui eventi estremi. La guerra distrugge terre ed ecosistemi, inquina l’acqua, il suolo e l’aria, lasciando dietro di sé residui tossici e armi inesplose che continuano a causare danni anche dopo la conclusione di un conflitto, per generazioni.
Ma c’è di più: indipendentemente dallo scoppio di una guerra, le forze militari di tutto il mondo sono strutturalmente e di base responsabili di almeno il 5,5% delle emissioni globali di gas serra inquinanti. E tali emissioni sono le ultime ad essere ancora escluse dagli accordi globali sul clima (le COP). La produzione di armi dipende da grandi quantità di metalli, minerali e combustibili fossili tutte attività che contribuiscono in maniera robusta a vari tipi di inquinamento, mentre le spese militari in aumento sottraggono risorse all’azione per il clima. Nel 2023 – in cui si è registrato il giorno più caldo con le temperature globali più alte mai misurate – la spesa militare globale è aumentata per il nono anno consecutivo, raggiungendo la cifra record di 2.443 miliardi di dollari (in aumento del 6,8% in termini reali rispetto all’anno precedente). Eppure gli Stati non sono riusciti a garantire quei 100 miliardi di dollari promessi per dare prime risposte emergenziali agli impatti della crisi climatica…
Da qui la necessità di un’attivazione (e dunque della Settimana di azione), perché troppe voci continuano a sostenere una ulteriore militarizzazione sia parte della soluzione, e cioè che siano necessari confini più rigidi, più armi ed eserciti per far fronte al collasso climatico. Sostenendo anche che la guerra e le attività militari possano essere rese più “verdi”, dimenticando completamente tutte le morti che comporta.
Sono invece altre le reali alternative, che potranno proteggere noi stessi e il pianeta. Ormai è necessario investire nella costruzione di un mondo più sicuro ed equo a lungo termine, piuttosto che alimentare la spirale della guerra. Ormai è giunto il tempo di spostare fondi ed investimenti da quella militarizzazione che garantisce il potere di pochi, creando problemi a tutti, a forme di azione climatica più efficaci perché più giuste. Evidenziando connessioni tra le cause di diversi problemi specifici e mettendo in primo piano le persone e il pianeta rispetto al potere e al profitto. Perché non ci sarà giustizia climatica senza una pace positiva derivante da una reale smilitarizzazione.