“Servizi, spesa sociale, investimenti contro le disuguaglianze e la crisi climatica. I 10 miliardi che l’Italia deve trovare ogni anno per destinare il 2% di Pil alle spese militari si potrebbero impiegare in questo momento di crisi globale in altre voci”. Francesco Vignarca, coordinatore campagne di Rete Pace e Disarmo, che insieme a Greenpeace Italia e la Campagna Sbilanciamoci ha lanciato a luglio in vista del summit di Vilnius la richiesta di uno “spostamento delle risorse verso ambiti più urgenti, utili ed efficaci”, ribadisce al Fatto Quotidiano che “in un momento di problematiche sociali importanti, non è facile far digerire ai cittadini la cifra che mettiamo sulle spese militari”. Anche se non è solo una questione economica. “Come spiego anche nel mio libro Disarmo nucleare (Altreconomia Edizioni) rispetto anche alla proliferazione di quel tipo di armi, il punto è aver sdoganato ciò che prima si era costretti a camuffare: che si investe nella guerra”.
Signor Vignarca, la Germania si sta tirando indietro dall’obiettivo del 2%.
La Germania ci ripensa perché quel tipo di spesa non è sostenibile. Era chiaro fin dall’inizio che l’impegno preso dai Paesi Nato non lo sarebbe stato. Ma la guerra in Ucraina ha fatto passare il concetto che si dovessero dedicare queste risorse all’ambito bellico. Ora la retorica è cambiata, l’opinione pubblica non é d’accordo. Resta l’impegno di Paesi come la Polonia, dove la propaganda del governo conservatore funziona. Ma Italia, Germania, Spagna hanno altre priorità in questo momento.
La Germania aveva dichiarato di voler rinnovare l’Esercito che versava in condizioni pessime.
Bisogna vedere cosa si intende per cattive condizioni, perché ciò che viene spesso sottaciuto è che per alzare tanto la spesa bisogna comprare armi, non basta ristrutturare caserme. E le commesse per le armi finiscono agli Stati Uniti che hanno una capacità produttiva in grado di soddisfare tali richieste. Quindi si spende meno per il sociale per foraggiare gli Usa.
D’altra parte rinnovare gli arsenali non era necessario prima di un conflitto ai confini europei.
Sì, ma ora ci dicono che dobbiamo riarmarci in caso di attacco, secondo lo standard di questa guerra, mentre per dieci anni ci hanno detto che il futuro dei conflitti sarebbe stato tecnologico e bisognava investire in tecnologia avanzata. Lo stesso discorso vale per le munizioni e quindi per l’Asap, il programma europeo e per il nucleare. La logica dovrebbe essere, se ci servissero tutti questi armamenti sarebbe per una guerra almeno con la Cina. Ma, in questo caso, non servirebbero carri armati, perché sarebbe un coflitto nucleare. Intanto continuiamo ad armarci anche su questo fronte: nel 2022 gli Stati dotati di armi atomiche hanno speso 78 miliardi di euro.
E se non fosse solo la Germania? Se anche l’Italia tornasse sui suoi passi?
La Germania potrebbe indicare la strada. Peccato che lo faccia non per l’idea che non sia corretto riarmarsi, ma perché non è fattibile. Ma se tutti i Paesi nel cuore d’Europa lo facessero, si arriverebbe a un ripensamento delle motivazioni.