Dal ministro Mauro (nella foto, mentre saluta il predecessore Di Paola) ai sottosegretari Pinotti e Alfano. Senza dimenticare i presidenti delle Commissioni parlamentari competenti. Ecco chi gestirà nei prossimi mesi i temi caldi della riforma dello strumento militare e dell’acquisto di nuovi armamenti (compresi i caccia F-35) sotto l’egida della “grande coalizione” del governo Letta.
Cominciamo dal ministro, Mario Mauro eletto nella lista dell’ex premier Mario Monti, Scelta Civica per l’Italia, vicino all’area di Comunione e liberazione. Un nome fuori dalla rosa indicata alla vigilia, tra i quali veniva addirittura inserito ancora quello del ministro-ammiraglio Giampaolo Di Paola. L’onorevole Mauro non pare avere competenze specifiche sulla Difesa, anche perché nei suoi precedenti incarichi da parlamentare europeo si è occupato di politica estera.
D’altra parte le prime uscite pubbliche del ministro scontano davvero quella che appare pià come una mancanza di informazione e preparazione al riguardo, soprattutto rispetto ai temi più scottanti.
Non a caso le dichiarazioni sul cacciabombardiere F-35 sono state generiche e poco centrate. Da un lato si è continuato a parlare di un intervento di vent’anni, quando nella verità i due decenni di programma JSF non sono stati ancora raggiunti. Dall’altro, si è fatto ancora una volta l’improprio riferimento all’allora ministro della Difesa Beniamino Andreatta, che è sì stato certamente colui che ha iniziato a volere la collaborazione per il programma Joint Strike Fighter, ma non ha potuto in alcun modo impostare i dettagli concreti e fattivi di un progetto che si è sviluppato solo negli anni successivi. Nel 1996 -anno che tutti ricordano come l’inizio della collaborazione italiana all’F-35- non era stato ancora scelto il modello di aereo e Lockheed Martin non era nemmeno la capofila industriale. È dunque scorretto (sicuramente inelegante) continuare a giustificare le ingenti somme impegnate dal nostro Paese nell’acquisto dei caccia F-35 con la sola benedizione iniziale del “padre nobile” Andreatta.
La mancanza di azioni e competenze specifiche sui temi della Difesa nel passato (recente o meno) sembra accomunare il ministro a uno dei suoi sottosegretari, l’onorevole Gioacchino Alfano del Popolo delle Libertà. Nelle passate legislature si è sempre occupato di Bilancio e finanze, in qualche caso anche come relatore del decreto “Milleproroghe” che puntualmente deve essere votato in Parlamento. Diversa è la biografia politica della senatrice ligure Roberta Pinotti, l’altro sottosegretario di stato nominato dal governo Letta. Da sempre membro della IV Commissione Difesa prima alla Camera dei Deputati (addirittura come Presidente, prima volta per una donna) e poi al Senato, la senatrice Pinotti si è dimostrata molto vicina alle posizioni dell’industria a produzione militare.
Una sorta di “ministro ombra”, con qualche preoccupazione: tra i primi atti, l’annuncio che la sua priorità sarà la questione industriale ed occupazionale di Fincantieri (anche per ragioni di provenienza geografica). Una posizione singolare, pur se in continuità con quelle dei ministri e sottosegretari che l’hanno preceduta, perchè non si sta parlando di un ruolo interno a dicasteri come quelli dell’Industria o dello Sviluppo economico ma della Difesa. Ruolo istituzionale che dovrebbe spingere ad occuparsi di organizzare al meglio questo ambito e non certo delle politiche industriali, anche se legate produzioni militari.
L’altra partita importante che il governo guidato da Enrico Letta si troverà ad affrontare nei prossimi mesi è quella della riforma dello strumento militare, incardinata con il Disegno di legge delega fatto approvare alla fine della scorsa legislatura dal ministro Di Paola. Importante in questo senso è analizzare l’azione della senatrice Pinotti proprio su questo provvedimento in seno alla Commissione Difesa del Senato: nonostante altri esponenti del suo stesso partito avessero fin da subito richiesto audizioni e una discussione approfondita per modificare alcune parti del provvedimento presentato dal ministro (cosa poi avvenuta)sulle procedure di acquisizione di nuove armi, l’onorevole ora sottosegretario ha invece spinto per una discussione rapida e nessuna modifica. L’imperativo era quello di “fare presto” per arrivare ad una forma nuova dello strumento militare, secondo i desiderata di Di Paola e della sua intenzione di potenziare l’acquisto di armi, “ormai inderogabile”. Ora starà proprio al governo -che Pinotti rappresenta in un ruolo chiave- presentare i decreti delegati che dovrebbero rendere efficace, pur con i paletti della Legge delega, questa nuova ristrutturazione delle nostre Forze armate (dimostrando peraltro quali erano i veri rapporti di forza sul tema all’interno del Partito Democratico).
Bisognerà quindi vedere se la nuova compagine governativa continuerà sulla stessa linea di Di Paola, che aveva già preparato tutte le carte per l’esercizio della delega, o se deciderà di cambiare linea. Una volta presentati i decreti, il Parlamento avrà sessanta giorni per esprimere un parere e impostare eventuali modifiche, altrimenti tutto rimarrà come deciso dal Governo: quindi l’iter e la battaglia nelle Commissioni competenti sarà molto importante.
Nell’analisi è quindi importante andare a vedere quali sono i Presidenti recentemente eletti nelle Commissione Difesa, sia alla Camera che al Senato. In entrambi i casi ci troviamo di fronte non a parlamentari che abbiano maturato in passato una specifica esperienza e competenza sul tema, ma a due esponenti sicuramente fidati per i vertici delle forze politiche di provenienza e che potranno quindi governare in maniera decisa e soprattutto legata alle direttive dei partiti qualsiasi discussione. L’onorevole Elio Vito (Pdl) è un esponente berlusconiano di lungo corso che, non a caso, ha ricoperto per anni il ruolo di ministro per i Rapporti col Parlamento, conoscendo quindi molto bene le procedure e le dinamiche legate alle discussioni in aula e nelle Commissioni. E Nicola Latorre, tra gli esponenti del Partito Democratico più concilianti nei confronti del centrodestra, vicino alla fondazione Italianieuropei, che da sempre vede di buon occhio una modernizzazione spinta delle forze armate in un senso di aumento investimenti militari.
Staremo perciò a vedere cosa accadrà, ma le premesse appaiono abbastanza in continuità con quanto successo negli ultimi mesi.
Tratto dal blog di Altreconomia “I signori delle guerre”