Aree popolate: l’impegno di Dublino. Mio editoriale per Avvenire.
Tutti gli occhi della comunità internazionale e della società civile che si occupa di disarmo umanitario sono puntati su Dublino. Oggi, venerdì 18 novembre, proprio nella capitale irlandese decine di Stati si riuniranno, infatti, per una Conferenza che approverà la nuova “Dichiarazione politica sul rafforzamento della protezione dei civili dalle conseguenze umanitarie derivanti dall’uso di armi esplosive nelle aree popolate”. Un risultato che, proprio mentre infuria la guerra russo-ucraina e ogni giorno si registrano bombardamenti e vittime, rappresenta il culmine del lavoro congiunto, durato più di un decennio, fra Stati, Onu, Comitato Internazionale della Croce Rossa e con il contributo fondamentale della società civile riunita nell’International Network on Explosive Weapons. Un’iniziativa intrapresa per cercare di mitigare i devastanti e diffusi danni provocati ai civili dall’uso di armi esplosive in contesti urbani e in altre aree popolate.
La Dichiarazione, il cui testo è stato elaborato in tre anni di consultazioni guidate dall’Irlanda, è una pietra miliare per definire un alto standard di buone pratiche con l’obiettivo di rafforzare in modo significativo la protezione dei civili nelle situazioni di conflitto. Gli Stati che approveranno la dichiarazione (già 75 hanno annunciato la propria firma, tra cui l’Italia) si impegnano a intraprendere una serie di importanti misure concrete, tra cui l’imposizione di limiti all’uso di armi esplosive al fine di evitare danni ai civili e prevenire il danneggiamento di infrastrutture civili come abitazioni e ospedali. In che modo? Modificando in senso più restrittivo (e protettivo) le proprie pratiche a livello nazionale, anche dal punto di vista delle dottrine operative militari per prevenire o limitare gli effetti a breve e lungo termine delle armi esplosive sui civili in caso di operazioni belliche. Le armi esplosive infatti non uccidono e feriscono civili solo al momento dell’uso, ma possono avere impatto catastrofico a lungo termine (“riverberante”) a causa della distruzione delle infrastrutture chiave essenziali per la sopravvivenza della popolazione.
L’uso di armi esplosive nelle aree popolate è la principale causa di danni ai civili nei conflitti armati, e ne è stato negli ultimi cento anni l’arma primaria. Un secolo fa i civili rappresentavano circa il 10-15% delle vittime totali dei conflitti armati. Nella Seconda guerra mondiale questa percentuale era salita a quasi il 50% e negli anni 90 del secolo scorso i civili rappresentavano l’80-85% delle vittime nei conflitti armati: una tendenza in aumento che è continuata, o meglio si è intensificata, nel XXI secolo. Ai giorni nostri quando armi esplosive vengono utilizzate in aree popolate il 90% delle vittime è costituito da civili.
Una tendenza costantemente documentata: incidenti con danni ai civili dovuti all’uso di armi esplosive, negli ultimi dieci anni, sono avvenuti in 130 Paesi, i più colpiti dei quali sono Siria (più di 80mila vittime), Iraq, Afghanistan, Pakistan, Yemen (più di 18mila vittime), Ucraina (più di 11mila e.500 vittime), Nigeria, Somalia, Palestina (almeno 6.700 vittime a Gaza) e Libia. Inoltre molti tra i civili soffrono di lesioni complesse che hanno un impatto radicale sulle loro vite, e continuano a soffrire il disagio psicologico causato dall’esperienza traumatica di vivere sotto i bombardamenti.
La Dichiarazione di Dublino deve essere vista, perciò, come un punto di partenza, non di arrivo, con al centro l’obiettivo dell’abbandono dell’uso di armi esplosive nelle zone popolate. Anche se è probabile che gli Stati firmatari si muoveranno con velocità diverse nel dare effetto pratico agli impegni della dichiarazione, la direzione di marcia è chiara: la Dichiarazione politica stabilisce un’agenda per un cambiamento positivo verso una maggiore protezione dei civili, fornendo agli Stati firmatari un quadro di riferimento per passi successivi concreti. Saranno quindi necessarie azioni di sostegno e implementazione anche a livello Nazionale In Italia la campagna è rilanciata dall’Associazione Nazionale Vittime Civili di Guerra (che la coordina, nell’ambito della iniziativa “Stop alle bombe sui civili”), dalla Campagna contro le Mine e dalla Rete Italiana Pace e Disarmo. L’intenzione della società civile italiana è chiedere al nuovo Parlamento sollecitazioni e controlli continui per un recepimento rapido dei principi della Dichiarazione da parte del nostro Governo. Fondamentale sarà inoltre continuare a coinvolgere le comunità e gli Enti locali: nel 2022 già 300 Comuni appartenenti all’Anci hanno manifestato il proprio sostegno all’iniziativa in occasione della Giornata nazionale delle vittime civili delle guerre e dei conflitti nel mondo, che si celebra ogni primo febbraio.