INTERVISTA per il Manifesto. Parla Phil Twyford, ministro del Disarmo della Nuova Zelanda: «A Vienna gli Stati del trattato di proibizione hanno detto che solo eliminandole avremo sicurezza e pace. Ma l’Italia non c’era»
In quella che è stata definita la «Settimana di messa al bando delle armi nucleari» a Vienna si è celebrata anche la prima Conferenza degli Stati Parti del Trattato di Proibizione delle armi nucleari, il TPNW, che le mette al bando. Presente ai lavori Phil Twyford, esponente del Partito Laburista neozelandese che nel 2020 è stato nominato ministro per il Disarmo e il Controllo degli Armamenti nel governo della primo ministro Jacinda Ardern, a testimonianza del ruolo di primo piano svolto dal Paese australe nei percorsi di disarmo nucleare.
È piuttosto strano per noi che un Paese abbia un Ministro per il Disarmo, un ruolo al contrario presente da decenni in Nuova Zelanda. Perché è così importante?
È risaputo che per i neozelandesi hanno pace e disarmo nel proprio Dna. Nel 1987 abbiamo approvato una legge che ha reso il nostro Paese libero dal nucleare e facciamo parte della zona denuclearizzata del Pacifico meridionale. Per decenni i miei concittadini si sono indignati perché i francesi hanno testato armi nucleari nel Pacifico avvelenando l’ambiente, allontanando le persone dalle loro terre e lasciando un’eredità di effetti sulla salute intergenerazionale dovuti all’esposizione alle radiazioni. È una questione che ci sta molto a cuore, e come parte della nostra legge sull’assenza di armi nucleari abbiamo stabilito l’istituzione di un Ministero per il Disarmo e il controllo degli armamenti. È un’iniziativa unica al mondo e fa parte della “voce politica” che la Nuova Zelanda deve avere per essere, a mio avviso, un forte sostenitore del principio di un mondo libero dalle armi nucleari.
La Nuova Zelanda è una zona denuclearizzata ed è geograficamente lontana dalle potenze nucleari. Ma siete impegnati nel Trattato TPNW fin dall’inizio e con forza. Come mai, anche nella vostra posizione unica, ritenete che il disarmo nucleare sia una necessità per tutti?
Il primo motivo è che rifiutiamo ufficialmente la logica della deterrenza nucleare. Crediamo che le armi nucleari ci rendano tutti più a rischio. Ma un mondo in cui Vladimir Putin ha il dito sul bottone nucleare – e magari anche un Donald Trump rieletto fra un paio d’anni – può essere definito più sicuro? Certo che no. La Nuova Zelanda è un Paese piccolo per cui crediamo fortemente nel multilateralismo: non possiamo sopravvivere o fare bene nel mondo senza istituzioni internazionali forti, diritto internazionale, Nazioni Unite… Per noi è come un articolo di fede.
Perciò consideriamo un passo ovvio creare una nuova legge internazionale che renda illegali le armi nucleari, lavorando per la loro totale eliminazione. Lavoriamo con altri governi che la pensano come noi, ma anche con la società civile e i movimenti religiosi in tutto il mondo. E mi rincuora il fatto che i sondaggi d’opinione indichino con forza che anche nei Paesi possessori di armi nucleari o che fanno parte del cosiddetto “ombrello nucleare” l’opinione pubblica sostenga in modo schiacciante l’abolizione del nucleare.
Quali aspettative avevate per la Conferenza di Vienna? Pensa che il Trattato TPNW possa realisticamente essere un percorso verso l’eliminazione totale o è solo un sogno di un gruppo di Paesi e della società civile?
Questa prima riunione degli Stati parte è storica, in quanto riunisce le decine di Paesi che hanno firmato e ratificato il Trattato. Era necessario dettagliare la sostanza si alcuni passaggi del TPNW e iniziare diversi percorsi di lavoro congiunto. Ma la cosa più importante è la politica. In questa settimana a Vienna abbiamo inviato un messaggio al mondo: solo eliminando le armi nucleari potremo raggiungere un’autentica sicurezza e vera pace. Gli Stati dotati di armi nucleari sostengono che non ha senso avere un Trattato che vieti le armi nucleari se i Paesi che le possiedono non ne fanno parte. Ma questa è ovviamente una finta logica circolare: ovviamente non potete aderire al nostro Trattato se prima non vi liberate delle vostre armi.
Il punto però è che ora esiste un percorso credibile verso l’abolizione. Al momento abbiamo 89 Paesi firmatari, ma non passerà molto tempo prima che ne avremo 100, 120, 150…! Oppure pensate come già ora i fondi pensione stiano abbandonando i produttori di armi nucleari. Non passerà molto tempo prima che gli Stati dotati di armi nucleari e i loro alleati siano isolati dal resto della comunità internazionale, ma anche dai loro stessi cittadini. E col tempo, man mano che i governi cambieranno uno dopo l’altro, vedrete che opteranno per l’abolizione sotto la pressione delle opinioni pubbliche: in quel momento avremo creato le condizioni per un disarmo nucleare multilaterale. La condizione più importante è la volontà politica. E l’avversione globale per le armi nucleari.
La società civile italiana ci ha provato duramente, ma l’Italia non ha partecipato a questa Conferenza, anche se più dell’85% dei nostri concittadini è a favore del Trattato e anche è stata votata una Risoluzione in Parlamento che chiedeva al Governo di partecipare. Se avesse davanti a sé un esponente del governo italiano, cosa potrebbe dirgli per convincerlo della portata storica di Vienna e dell’importanza per l’Italia, che ospita le armi nucleari statunitensi?
Il mio messaggio al governo italiano sarebbe stato di unirsi al nostro dibattito, come hanno fatto a Germania, Norvegia, Svezia, Finlandia, Svizzera, Australia, Paesi Bassi, Belgio… tutti questi Paesi sono Stati sotto l’ombrello nucleare. E sono venuti a Vienna questa settimana come osservatori., per conoscere meglio il percorso e anche per dialogare. Ciò è molto importante. Io, come ministro di un governo che fa parte della squadra del Trattato, credo fermamente che dobbiamo dare spazio al dialogo con gli Stati dotati di armi nucleari. Il Governo italiano sarebbe stato il benvenuto a unirsi a noi.