Una intervista per Radio Città Fujiko
a cura di Alessandro Canella
La pandemia non è ancora finita, la questione della salute globale è tutt’altro che risolta, ma i governi occidentali sembrano più interessati alla geopolitica e soprattutto al riarmo. Sono diverse le notizie degli ultimi giorni che vanno in questa direzione. Dall’accordo Aukus tra Stati Uniti, Gran Bretagna e Australia per sottomarini nucleari in chiave anti-cinese all’idea di costituire una “Expedition force“, una sorta di esercito europeo, fino alla proposta di Ursula Von Der Leyen di detassare le armi.
Il riarmo dell’Occidente senza autocritica
«L’Occidente continua il riarmo – afferma ai nostri microfoni Francesco Vignarca della Rete Italiana Pace e Disarmo – Proprio i vent’anni della guerra in Afghanistan hanno dato il via a scelte di guerra molto forti. Le spese militari in questi vent’anni sono aumentate del 90% e le principali industrie di armi hanno aumentato il loro fatturato del 30».
Il disastro afghano, dunque, non solo non è servito per fare una riflessione sull’errore compiuto optando per la scelta bellica, ma addirittura induce le potenze occidentali a proseguire su una strada già dimostratasi fallimentare.
Al contrario, servirebbe una riflessione attorno al concetto di “sicurezza”, che oggi viene evocato per giustificare scelte militari, quando altri temi, come la stessa pandemia, la crisi climatica o quella del lavoro, suggeriscono che la vera sicurezza non è proteggerci ipoteticamente da presunti nemici.
«In tutto ciò conta molto come l’informazione tratta le notizie su questi temi – osserva Vignarca – Ad esempio Aukus è stato posto in modo molto esagerato, quando in realtà ha molto più a che vedere con delle dinamiche di equilibri anche sulla produzione di armi, tant’è vero che la Francia si è arrabbiata moltissimo per essersi vista sottrarre un accordo da decine di miliardi di euro per i sottomarini da vendere all’Australia».
Anche l’idea di un esercito europeo viene discussa in modo sbagliato per la Rete Italiana Pace e Disarmo. Se infatti l’esercito europeo viene proposto come risposta alla scelta bellica compiuta in Afghanistan risulta l’ennesima occasione persa per mettere in discussione le politiche e le strategie, ad esempio l’evidenza che la guerra non risolve alcuna questione.
«Tutto per favorire certi interessi – sottolinea Vignarca – perché non ci si chiede mai se questo continuo riarmo abbia portato o no maggiore sicurezza».
Eppure, i pacifisti disarmisti vedrebbero bene un esercito europeo se questo andasse a sostituire i 27 eserciti dei Paesi membri dell’Ue. La stima del risparmio in spese militari si aggirerebbe sui 100 miliardi di euro ogni anno, che potrebbero essere investiti in altri settori.
«Il problema è che la direzione in cui si va non è quella di sostituire gli eserciti nazionali con un esercito unico, che implicherebbe anche una politica estera comune – evidenzia Vignarca – ma si andrebbe a sommare, andando ad aumentare anche le spese militari europee».
Un problema di rappresentazione mediatica
Accanto alle scelte ottuse della politica, però, un altro problema riguarda la quasi totale assenza di rappresentazione delle alternative sui media. Eppure il movimento pacifista e disarmista continua a crescere. In Italia, ad esempio, aumentano le associazioni che chiedono di far parte della Rete.
Proprio lo scorso fine settimana si è tenuta l’assemblea nazionale della Rete Italiana Pace e Disarmo, che sta già pianificando nuove campagne, come quella contro l’export di armi, le spese militari, le armi nucleari, i droni o i killer robot.
«Le nostre proposte sono molto più serie e strutturate e possono ottenere anche dei risultati, come lo stop all’export di armi in Arabia Saudita», sottolinea Vignarca.
Nonostante ciò, nei talk show televisivi o sulle pagine dei giornali a parlare e avere spazio sono ancora le persone che, ad esempio, vent’anni fa hanno sbagliato tutte le previsioni sull’Afghanistan. I disarmisti e i pacifisti che prefiguravano ciò che si è realizzato, invece, continuano ad essere ignorati.
«Il tentativo di mettere un po’ di cortina di oblio sulle nostre proposte – sottolinea Vignarca – dipende proprio dal fatto che le nostre proposte sono sensate e concrete».