Indifferenza mista a contrarietà. In estrema sintesi è questa la posizione della galassia nonviolenta e pacifista d’Italia di fronte alla novità della sfilata del 2 giugno per la festa della Repubblica, cioé una maggior partecipazione del mondo istituzionale civile rappresentato dai sindaci, quest’anno in 400 (in rappresentanza degli 8.000 comuni italiani) alla parata. Per Francesco Vignarca, coordinatore della Rete Disarmo, “una sfilata è sempre, sempre, uno spreco di soldi e soprattutto di ideali. La Repubblica che si esalta, un’esibizione del corpo muscoloso: anche se rivista in chiave civile, è sempre una visione ‘militaresca’ delle istituzioni”.
Meglio allora, dice Vignarca, che “le istituzioni restino dove sono e aprano le porte ai cittadini. I sindaci, gli amministratori, dovrebbero ospitare i cittadini nelle sedi delle istituzioni. Anche quest’anno per esempio, come lo scorso anno, noi organizziamo una visita di 600 giovani alla Camera”. Ma insomma, quest’anno è “civile” o no? “Non ho i parametri per dirlo -risponde Vignarca-. Certo, i 400 sindaci non sono carri armati o missili, ma ripeto: una sfilata è un’esibizione tipica delle culture militari; e non sarà certo questa iniziativa a far dimenticare 20 anni di parate militari. Magari il mondo militare ha bisogno di questa esibizione, ma la loro festa è il 4 novembre, sfilassero allora. E quanto al presunto ‘glamour’ moderno dei militari, vorrei sottolineare che forse ha preso piede perché la leva non esiste più, i giovani non hanno provato con mano cosa sia il mondo militare e la divisa viene così ‘idealizzata’”.
Argomenti che riecheggiano quasi identici nella lettera aperta al presidente della Repubblica inviata oggi dal Movimento nonviolento, a firma del segretario, Pasquale Pugliese, e del presidente, Massimo Valpiana. “Non capiamo -si legge nella missiva a Sergio Mattarella- perché il 2 giugno sia consegnato nei festeggiamenti ad una parata militare, ossia ad una esaltazione ed evocazione di quello spirito di guerra che, come Ella ha recentemente ricordato, non ha mai assicurato nè stabilità nè progresso, al contrario della pace”.
Pugliese e Valpiana colono l’occasione per rivolgere due domande al capo dello Stato: la prima “riguarda la preparazione della guerra: perché il nostro Paese consuma oltre 23 miliardi di euro del bilancio annuo dello Stato in spese militari – collocandosi così tra le prime dodici potenze militari al mondo – anziché in spese civili e sociali, nelle quali si colloca invece agli ultimi posti in Europa, come dicono gli indicatori internazionali?”.
La seconda, si legge, “riguarda la produzione e il commercio delle armi. Come Lei sa, Presidente, nonostante il nostro Paese si sia, da tempo, dotato di una legge restrittiva sul commercio delle armi, la recente relazione del Governo al Parlamento sul commercio internazionale delle armi mostra come l’export italiano sia praticamente triplicato nel 2015, con un incremento del 186% rispetto al 2014“.
“Una esplosione senza precedenti, come senza precedenti è l’esplosione delle guerre sul pianeta, del terrorismo diffuso, della fuga dei profughi, della tragedia dei nuovi muri. Anche le armi italiane contribuiscono ad avvicinare questa “terza guerra mondiale”. Se non vogliamo essere ancora complici della immane tragedia in corso -conclude la lettera- è tempo di investire urgentemente nella riconversione civile dell’industria bellica”.