E dunque stamattina il Corriere della Sera ha sganciato una rumorosa “bomba” (termine appropriato…) sul tavolo politico italiano: il Ministero della Difesa ed il Governo starebbero considerando l’ipotesi di effettuare bombardamenti in Iraq. Azione diretta di guerra possibile grazie ad uomini e mezzi già dispiegati in loco da mesi, per le missioni di supporto ai curdi ed al Governo locale in funzione anti-ISIS. Il Corriere è netto nella propria presa di posizione rilanciando addirittura richieste di intervento precedenti: “La presenza dell’Italia nella coalizione compie così un salto di qualità che il Corriere aveva auspicato il 9 e poi ancora il 28 settembre scorsi, ritenendo che il nostro Paese dovesse assumersi responsabilità maggiori della semplice ricognizione in quella che è ormai una guerra in piena regola contro i tagliagole dell’Isis”.
A stretto giro, e con il classico scarno comunicato, la Difesa ha smentito qualsiasi decisione già presa (data invece quasi per scontata dal Corriere) pur lasciando aperta qualche “porticina” parlando di “ipotesi da valutare insieme agli alleati”. Non c’è dubbio che il dibattito politico divamperà soprattutto su un punto, quello della necessità di un passaggio parlamentare in merito ad un eventuale impiego della nostra forza militare. Passaggio di voto che il Corriere della Sera, in questo suo odierno scatto guerrafondaio, arriva addirittura a ritenere non necessario… In realtà sono i precedenti (si pensi al dispiegamento di forze di Afghanistan sotto il Ministro La Russa) e la natura stessa dell’attuale missione in Iraq, come detto nata da un voto ed una decisione di mero “supporto” ai combattenti curdi, a richiedere un esplicito passaggio alla Camera ed al Senato. Ricordiamo che il dispiegamento di questi mesi, originato dalla “emergenza Daesh” dell’estate 2014, è avvenuto da parte del nostro Paese prima con una piuttosto opaca fornitura di armi e poi con l’invio in lodo di istruttori e mezzi militari. Non è possibile, e lo stesso Ministero della Difesa lo ha ripetuto con forza nelle passate settimane, cambiare la “destinazione d’uso” della missione senza un passaggio formale ed esplicito con voto Parlamentare.
Sarebbe però un gravissimo errore considerare tutto quanto si sta delineando oggi (anticipazioni e risposte) in semplice ambito di scelte di politica estera e difesa, in particolare legate allo scacchiere mediorientale e alla partita relativa al “terrorismo”. Va invece considerato con maggiore attenzione il lato “interno” della vicenda, come ci suggerisce chiaramente anche il timing di quanto sta avvenendo.
Non più tardi di ieri è stato infatti il sito web di Repubblica a rilanciare l’intenzione (secondo indiscrezioni) del Ministro Padoan di effettuare un taglio del 3% (circa 480 milioni) nel budget della Difesa. Con immediata e “preoccupata” risposta del sottosegretario alla Difesa Rossi (che, ricordiamolo, nella sua vita precedente è stato Generale dell’Esercito, pure con ruolo di Sottocapo di Stato Maggiore). In tale inizio di braccio di ferro, con posizionamenti preventivi che avvengono nei giorni di discussione del DEF e all’immediata vigilia della preparazione della bozza di Bilancio dello Stato che sarà portata alla discussione del Parlamento, quale carta migliore di una “necessità operativa” per difendere i fondi destinati alla spesa militare? Quale migliore scusa per un rafforzamento (altro che tagli!) del budget della Difesa di una bella eventualità di impegno diretto contro le milizie terroriste dell’Isis (anche se il dove, con quale intelligence e con quali obiettivi… ovviamente sono elementi che non è dato sapere…)?
Una “carta” magari giocata anche perché qualcuno – sia al Corriere che al Governo – ritiene davvero, come una patologica “coazione a ripetere”, che solo le bombe possano risolvere i problemi di quelle martoriate terre. Ma che, a mio parere, come primo obiettivo ha invece solo quello di fermare qualsiasi ipotesi di taglio al bilancio della Difesa. Un meccanismo che non è certo una novità per quanto riguarda le spese militari italiane, che da oltre 10 anni assorbono cospicui fondi per le missioni militari all’estero che vanno in realtà a fungere da “stampella” per il bilancio ordinario. Una funzione “impropria” (e meno controllabile) da sempre denunciata dal mondo pacifista e disarmista, ma che negli ultimi anni ha trovato esplicita ammissione anche da parte della Difesa in suoi documenti ufficiali.
In tutto questo, solo il Fatto Quotidiano (con un pezzo di Enrico Piovesana) si è invece accorto che l’approvazione dell’assestamento di Bilancio per il 2015 ha confermato per la Difesa un aumento dai 300 ai 600 milioni per l’anno in corso. Certificando, inoltre, cospicue richieste di finanziamento per nuovi sistemi d’arma a partire già dal 2016.
Si capisce bene, quindi, che anticipare con “indiscrezioni” un intervento in Iraq (meno pericoloso e costoso di uno in Libia perché i mezzi sono già dispiegati, e politicamente meno problematico di uno in Siria perché non si smentisce Renzi che ha criticato i bombardamenti di Hollande ) sia del tutto funzionale a questa partita a scacchi sui soldi. Che la Difesa, o quantomeno alcuni ambienti di essa e delle Forze Armate, vogliono giocare al meglio considerando anche il favore con cui una buona maggioranza dell’opinione pubblica vedrebbe una effettiva riduzione delle nostre spese militari.