Poche ore dopo la messa in onda, un caro amico mi ha segnalato il post commento alla mia partecipazione di di lunedì 14 aprile su SkyTg24 a “Materia grigia”, trasmissione di confronto dedicata questa volta al tema del riarmo e delle spese militari, che vedete nell’immagine sottostante. Inizialmente pensavo di rispondere in maniera scherzosa, canzonatoria e sminuente a un tipo di critica cialtrona e superficiale, ma poi ho pensato che se ne potevano invece trarre spunti davvero utili e interessanti per capire il nostro tempo. E la manipolatoria (oltre che mistificatoria) modalità, pur sempre di livello basso e ignorante, che viene messa in campo per cercare di cancellare integralmente qualsiasi prospettiva di Pace nel dibattito pubblico.
Procediamo per punti, scorrendo il testo di questo “commento”! Considerando, come premessa, che il dubbio di essermi espresso male o di aver detto cose sbagliate mi è scomparso quasi immediatamente appena ho saputo che il commentatore in questione è stato in passato sostenitore di certi Referendum che avrebbero dovuto “cambiare l’Italia”, poi si è candidato con “il Terzo Polo” (molto più indietro in classifica, in realtà) quindi in un percorso politico poco serio e oggi ritiene che il premierato sarebbe la panacea di tutti mali dell’Italia…
Punto primo: da questa gente la NATO viene vissuta come un “assioma di fede”. Non se ne può discutere, non la si può mettere al centro di riflessioni e valutazioni. Non si può immaginare per essa alcun tipo di ruolo differente da quello che ha avuto negli ultimi decenni. Ovviamente la mia critica all’Alleanza Atlantica è stata molto più articolata di quella che questo commentatore vuole suggerire, con il primo di numerosi argomenti fantoccio. Sia in generale sia anche solo nei 90 secondi che ho avuto a disposizione in trasmissione per rispondere alla domanda specifica. Ma per i fanatici atlantisti non conta: che ci sia uno squilibrio, che l’Alleanza sia più che altro un protettorato, che la NATO sia utilizzata come longa manus degli interessi statunitensi a certa gente proprio non interessa. Fondamentalmente ciò avviene perché loro non si vedono “partner” di un’alleanza e sullo stesso piano di Washington, ma solo come piccoli strumenti ed elementi di un ruolo – quello che vedono anche per l’Italia – integralmente cortigiano. Io credo peraltro, come ho detto in trasmissione, che la NATO strutturata come oggi e alla mercé dei capricci di chiunque stia alla Casa Bianca sarà sempre e comunque il vero ostacolo a un percorso di difesa comune dell’Unione Europea. Quello che magari gli stessi “riarmasti” continuano poi a reclamare in altre sedi in maniera evidentemente illogica e incoerente!
Punto secondo: la scelta tra armi e scuole, con la mia preferenza per il secondo di questi termini. Non capisco perché faccia così tanto scandalo e provochi una reazione stizzita (in chi peraltro le scuola ha potuto frequentarle): è proibito ragionare su come allocare le risorse pubbliche? È proibito avere una scala di valori e dei preferenze relativamente alle funzioni dello Stato e al ruolo che le istituzioni dovrebbero avere per garantire certi tipi di servizi, ma ancor più di diritti? Per alcuni evidentemente è così ed è un elemento che in tanti, soprattutto dall’area cosiddetta “liberale”, continuano a riproporre. Magari gli stessi che per anni ci hanno ripetuto che i soldi non sono infiniti e che quindi bisogna operare scelte di bilancio anche drammatiche e dolorose, ora sembrano invece non avere problemi a pensare che si possa aumentare la spesa militare indefinitamente. E se si vuole pure “a debito”. E non capiscono che la messa in contrapposizione di questi due termini o possibili destinazione di fondi non è solo riguardante la scarsità delle risorse e quindi la necessità di dover scegliere su cosa mettere i soldi, su cosa realmente investire. Ma è anche (oserei dire soprattutto) una scelta di prospettiva, di scenario, di idea di fondo di quelle che dovrebbero essere le strade vere non solo per garantire diritti e aumentare le funzioni di base che fanno crescere la cittadinanza (come in questo caso la scuola) ma anche proprio per riuscire a costruire una maggiore sicurezza. Come dimostrato durante la trasmissione televisiva, e anche in generale Chiapperini mi ha dato ragione sul punto specifico, le spese militari globali e nazionali sono cresciute molto negli ultimi anni. Eppure non abbiamo più sicurezza, dimostrando quindi che la strada scelta dai decisori politici (non da noi! che avremmo deciso altro) è quella sbagliata. Questi “liberali al servizio degli interessi armati” invece continuano a pensare che mettere al primo posto scuola, sanità, welfare sia una risposta populista. Ma perché dovrebbe esserlo? È al contrario solo una – legittima! se siamo ancora in democrazia – scelta di priorità. Con la “carta populismo” giocata in maniera forzata e non pertinente si dimostra solo come questi ambienti non vogliano nemmeno discutere di questa ipotesi, perché si renderebbe evidente come siano davvero al servizio del complesso militare-industriale-finanziario e non delle persone. Si renderebbe chiaro come alcuni diritti, per loro, non debbano essere garantiti, soprattutto se rivolti agli strati meno ricchi della popolazione. Questo fa capire come in pratica abbiano in mente ancora un tipo di difesa militare molto arcaico che prevede proteggere non tanto la comunità nazionale, il territorio, la Patria o comunque la si voglia chiamare. Ma che mette al primo posto la difesa di interessi di patrimoni di chi, soprattutto delle crisi, è stato capace di accumulare vantaggi e ricchezze personali a scapito degli altri. Diversamente non si capirebbe perché debba essere considerato così “scandaloso” e fuori di testa mettere al primo posto scelte di investimento sociale e non armato. Siamo in un certo senso nello stesso tipo di dinamica e bassa retorica di frasi fatte banali del “ma tutti vogliono la pace!”. Cosa evidentemente non vera visto che ci sono troppe guerre, troppe scelte di riarmo, troppi sostegni a percorsi di militarizzazione… e visto che molti non sanno nemmeno cosa sia una Pace vera e positiva.
Punto terzo: la “battuta” sulla scelta di colori del mio vestito. Premesso che ciascuno può avere il gusto estetico che vuole (e io sinceramente mi tengo quello che mi è stato suggerito da mia moglie e mia figlia piuttosto che da uno snob acido) l’attacco diretto e personale su questo aspetto dice molto soprattutto della mancanza di argomenti di chi critica senza conoscerle e capirle le proposte delle organizzazioni per la pace, per il disarmo, per la nonviolenza. Secondo costoro, proprio perché non sono in grado di controbattere in maniera articolata agli elementi concreti e reali che proponiamo, noi non dovremmo nemmeno parlare. Perché siamo “vestiti male”, perché parliamo diversamente, perché siamo fuori dagli schemi… Sembrerebbe un approccio solamente superficiale e da vuota “superiorità snob”, ma al contrario evidenzia una grande fragilità e una grande debolezza (ovviamente ricordando anche che per tradizione, soprattutto nel nostro Paese, i “liberali” subiscono un certo fascino della camicia nera…). Una fragilità derivante dall’incompetenza nel merito, perché tutte le loro proposte e le posizioni a vantaggio del riarmo sono sostenute solo da frasi fatte, da luoghi comuni, dalla ripetizione delle stesse solite litanie vuote. Tanto è vero che la frase di riferimento di queste persone di solito è “se vuoi la pace prepara la guerra”, uno slogan vecchio di 1500 anni su cui vorrebbero ancora basare scelte gravi riguardanti una cosa terribile e devastante come la guerra. Secondo questo cialtrone, sprovveduto e ignorante commentatore dalla mia giacca e dalla mia camicia dovrebbe derivare l’impossibilità di chiedere per l’Italia un futuro diverso da quello armato. Ma perché? Lo capite il trucchetto? Ancora una volta il sottinteso è importante da evidenziare: questa gente ha troppa paura che le nostre idee e proposte diventino ancora più diffuse e possano sfociare anche in meccanismi di decisionalità politica. Hanno troppa paura che ancora più persone persone capiscano cosa difende veramente i loro interessi e la loro vita (vedi punto precedente). E di conseguenza non possono nemmeno permettere che, anche se in maniera molto più ridotta rispetto al martellamento del militarismo e degli interessi militari armati, le nostre idee circolino. Devono proprio cancellarci, devono proprio impedire che qualcuno possa comprendere che c’è un’alternativa e non siamo obbligati ad un futuro di armi. Perché davvero pensare all’ipotesi di una alternativa possibile è la cosa più potente e pericolosa per il loro sistema di disuguaglianza mantenuta dalla militarizzazione. Perché elimina l’unica vera carta che permette – al momento – di continuare in questa stagione di riarmo e di decisioni guerrafondai: quella della mancanza di altri scenari possibili. Che noi invece continueremo a riproporre, indipendentemente dal nostro gusto estetico, dai nostri vestiti, o da cosa ne penseranno certi professori che parlano di tutto, ma con scarsissima competenza su quello che “criticano”.
Punto finale, che sembra secondario ma è invero cruciale e rivelatore. Tutta questa tirata poco fondata, mistificatoria, scorretta dal punto di vista formale, personale, intellettuale viene chiusa con un “grido di battaglia”. Un commento a una trasmissione che stava trattando strutturalmente e dal punto di vista sistemico di riarmo, di spese militari, di prospettive di difesa comune… viene invece concluso con un “grido” di sostegno militare all’Ucraina (nota bene: è un classico che a gridare frasi da retorica bellicosa siano quelli che poi sui campi di battaglia non si vedono…). Il che dimostra l’inconsistenza del pensiero di questa persona, perché tutto ancora una volta si riduce alla banalità della guerra. Alla banalità, cioè, della dicotomia tra amici/nemici, tra estremi di giusto/sbagliato, tra buoni e cattivi. Senza che siano ovviamente mai forniti dati e giustificazioni concreti e verificabili su quali siano davvero quelli gli aspetti positivi e quelli negativi. Non solo dunque la dimostrazione finale di non aver compreso il tema del confronto e di non avere gli elementi per poter entrare nel merito dello stesso. Ma la chiusura a qualsiasi forma di pensiero alternativo e di riflessione. Questo sciatto intervento da social (che ringrazio proprio perché mi permette di articolare queste riflessioni) ripropone solo un basso tribalismo come elemento di base per le scelte politiche su questioni complesse che possono avere conseguenze cruciali, rilevanti, determinanti anche per decenni futuri. Non conta più presentare dei dati, non conta più presentare delle ipotesi, non conta più ragionare. C’è solo, come dicevo prima, il grido di guerra “di appartenenza”. Quel grido continuamente ripetuto come un mantra da gente che ha alimentato decisioni e atti di guerra, escalation, violenza che hanno impattato su tantissime vite, devastandole, restandone però tranquillamente a distanza. Perché l’ulteriore elemento svelato da questo approccio è il fatto che a certe persone degli obiettivi civili, delle morti, delle devastazioni, dei crimini di guerra, delle situazioni che realmente incidono sulla vita delle persone non interessa nulla. Se ne stanno nella loro torre d’avorio, con le loro elucubrazioni astratte su “guerre o paci giuste”. Senza capire che l’unica cosa giusta – anzi, realmente ed umanamente equa – è una pace positiva che protegga e rispetti le persone. Nei confitti, ma anche qui.
PS. anche il commento sul “non conoscermi” oltre ad essere sintomo di sciatteria è indice di un problema di correttezza (e capacità di ragionamento) di fondo: non mi hai incontrato al mercato e, pur non essendo certo un obbligo conoscermi, se stai commentando una trasmissione a cui partecipo e in cui sono stato “presentato” sarebbe opportuno capire chi sono e da dove provengono le mie idee. Altrimenti quello che probabilmente voleva essere un commento per far risaltare una certa “superiorità” diventa solo la dimostrazione evidente di un approccio stupido e senza spessore da “marchese del Grillo” di bassa lega…