Ursula von der Leyen ha annunciato a inizio marzo un piano straordinario per mobilitare fino a 800 miliardi di euro nel campo della Difesa europea. Tra le leve finanziarie immaginate ci sono anche i fondi per la Coesione o la possibilità di derogare al Patto di stabilità. Ma davvero la corsa al riarmo garantisce diritti per i popoli e stabilità tra i Paesi? Una mia intervista su Altreconomia, a cura di Duccio Facchini
“Siamo in un’era di riarmo. E l’Europa è pronta a incrementare in modo massiccio la spesa per la difesa”. Il 4 marzo 2025 la presidente della Commissione europea Ursula von der Leyen ha presentato in poco più di sei minuti le linee guida di un nuovo progetto chiamato “ReArm Europe” che a suo dire “potrebbe mobilitare quasi 800 miliardi di euro per un’Europa sicura e resiliente”. Tono grave su sfondo blu notte.
“Non ho bisogno di descrivere la gravità delle minacce che dobbiamo affrontare -ha detto von der Leyen-. O le conseguenze devastanti che dovremo sopportare se tali minacce si concretizzeranno. Perché la questione non è più se la sicurezza dell’Europa sia minacciata in modo reale. O se l’Europa dovrebbe assumersi una maggiore responsabilità per la propria sicurezza. In verità, conosciamo da tempo le risposte a queste domande. La vera domanda che ci troviamo di fronte è se l’Europa è pronta ad agire con la stessa determinazione dettata dalla situazione”.
Tra le leve finanziarie indicate dalla presidente della Commissione ci sono anche i fondi dei programmi per la Coesione o la possibilità di derogare al Patto di stabilità e crescita. “Se gli Stati membri aumentassero la spesa per la difesa dell’1,5% del Prodotto interno lordo in media, si potrebbe creare uno spazio fiscale di quasi 650 miliardi di euro in un periodo di quattro anni”.
La strada è spazzata da un vento del riarmo che soffia fortissimo. Tra chi non si fa impressionare da una retorica ormai quasi caricaturale c’è Francesco Vignarca, coordinatore delle campagne della Rete italiana pace e disarmo. Conosce bene il lessico del comparto militare e dei suoi accoliti. Insieme ai suoi colleghi internazionali tenta di decostruirlo da più di vent’anni. Un conto è la pace, riflette, un conto è la supremazia. La prima garantisce sicurezza, la seconda nient’affatto.
Il caso ha voluto che il progetto “ReArm Europe” venisse annunciato proprio mentre a New York, a casa di quello che è diventato il nemico che annuncia lo stop agli aiuti militari all’Ucraina, è in corso la settimana internazionale indetta dalla Campagna internazionale per l’abolizione delle armi nucleari (Ican, Premio Nobel per la pace nel 2017) per rilanciare il Trattato sulla proibizione delle armi nucleari (Tpnw). Vignarca sta seguendo i lavori.
Vignarca, che cosa ne pensa del progetto “ReArm Europe”?
FV La strategia annunciata il 4 marzo da Ursula von der Leyen riprende in realtà cose già dette negli ultimi tempi, sia in termini di aumento delle spese militari dei singoli Paesi sia in termini di attivazione diretta della Commissione europea. L’unica differenza molto forte che riguarda gli 800 miliardi di euro stimati è che una parte di questi potrà essere rigirata dai fondi per la Coesione, attingendo cioè a risorse reali e già stanziate. Ed è l’aspetto più problematico. Così si sta mettendo l’Europa solo sul binario del riarmo.
L’Europa è carta velina in mezzo ai giganti, sostengono i promotori della corsa al riarmo, ovvio che debba fare scorta di munizioni. Dove sta l’errore?
FV La pace vera non è la mancanza di conflitto armato, non è lo stallo alla messicana in cui tutti si tengono sotto tiro, la pace vera è la tutela e la presenza dei diritti, è una pace positiva, come diceva il sociologo e matematico norvegese Johan Galtung, fondatore nel 1959 del Peace research institute di Oslo. È la crescita delle società, delle culture, delle opportunità per le persone, del rispetto dei diritti a partire da quello della vita. La “forza” invocata da von der Leyen tutto questo non lo garantisce. Crea una finta pace che è quella che alcuni hanno dipinto come la pace vera, cioè il fatto che se io sono più forte nessuno mi attacca. Ma quella non è pace, è quello che vuole mettere in pista Donald Trump, è quello che vuole mettere in pista Vladimir Putin, è supremazia. E noi questo ovviamente lo rifiutiamo, anche perché il limite di questa analisi, che si è visto nella pratica, è che porta al riarmo, e il riarmo porta a nuova conflittualità, porta cioè a una crescita di guerra e quindi a nuovo riarmo. È un circolo vizioso che stiamo vedendo da 25 anni. Quindi continuare a presentare come soluzione una cosa che da 25 anni almeno non ha funzionato mi sembra una malattia, una coazione a ripetere.
L’ordine di grandezza del progetto vi impressiona?
FV Non siamo sicuri che gli 800 miliardi di euro invocati arriveranno tutti. È ovvio che però qui c’è un fallimento culturale e politico. In passato abbiamo registrato la fatica da parte degli Stati a garantire molte meno risorse per affrontare emergenze sociali. Adesso invece si trova facilmente una montagna di denaro pubblico.
Perché?
FV Perché in realtà la politica è fragilissima, non è lì che ci sono i veri decisori. I decisori appartengono a quel complesso militare, industriale e finanziario che sposta i destini del Pianeta drogando il mercato solo per un proprio vantaggio. Dovremmo invece rilanciare la diplomazia e aumentare le condizioni di vita positive per l’Europa e per il mondo che sono quelle che veramente abbassano il rischio di conflitti e portano la pace. Non si parla più di cooperazione internazionale e crisi climatica.
Colpa dei media?
FV Hanno una gigantesca responsabilità perché hanno contribuito a cancellare le voci dissenzienti, a cancellare l’idea che si potesse fare diversamente, a riproporre questi luoghi comuni della banalità della guerra. Non è ammesso nient’altro perché si dipinge la situazione come se fosse una questione astratta senza capire che invece ci sono interdipendenze. Ripenso a chi in questi tre anni ha ripetuto che si sarebbe vinta la pace perché si sarebbe vinta la guerra contro Putin. Ora che Trump ha cambiato idea e tolto il sostegno militare americano la cosa non funziona più. È un castello di carte che come movimenti per la pace e il disarmo abbiamo sempre cercato di far cascare ma che troppi interessi hanno tenuto in piedi.
A chi giova la strategia von der Leyen?
FV Alle aziende che producono armi, specie le più grandi, e soprattutto quelle statunitensi. E anche questo è un paradossale fallimento della “visione” von der Leyen, che finge di volere una convergenza comunitaria quando è ben consapevole che le aziende, come sempre è accaduto in passato anche con altri progetti di fondi comuni, prendono i soldi e scappano.
Trump così vince due volte?
FV Ne sono convinto. Non si allontanerà mai dall’Europa, che per gli Usa è una preziosa proiezione della loro presenza imperiale e militare, e però si libera di costi diretti che rientreranno come ricavi. Ed è proprio questo l’altro punto cruciale dei 25 anni di crescita della spesa militare già descritti che hanno portato a maggiore guerra. In questi anni la spesa militare è cresciuta, soprattutto nell’ambito legato agli armamenti. Per i Paesi europei della Nato si è passati dal 18 al 32%. Se lo guardiamo a livello globale, prima stavamo attorno al 20, 22%, adesso ci avviciniamo al 30% delle spese militari che finiscono in armi. Per l’Italia, quest’anno, si parla del 40% della spesa militare che finisce in armi. Quindi è chiaro che questo è un gioco che serve solo agli interessi dell’industria militare.
Ha appreso dell’annuncio da New York, dov’è in corso una settimana molto importante per la messa al bando delle armi nucleari. Che clima si respira?
FV Si guarda con preoccupazione a quanto accade in Europa. Come attivisti dei Paesi europei ci preoccupa il tema della universalizzazione del Trattato per la proibizione delle armi nucleari e di come estenderlo. Continuare ad armarsi ha alla base un fallimentare concetto di deterrenza che al suo estremo diventa anche deterrenza nucleare. Se passa il concetto di base per cui l’Europa deve diventare forte come gli altri blocchi è chiaro che magari non oggi ma la naturale conseguenza sarà quella di dotarsi di armi nucleari in maniera diffusa, perché gli altri tre blocchi -Stati Uniti, Cina e Russia- l’arma nucleare ce l’hanno. C’è quindi preoccupazione. Dall’altro però è bello vedere che nonostante tutto, nonostante il deterioramento della situazione internazionale, anche e soprattutto sui sistemi di controllo del disarmo ci sono tante energie nei Paesi e nella società civile. Melissa Parke, la direttrice esecutiva di Ican, ha detto che è proprio in questi momenti in cui sembra che tutto sia perso che bisogna rilanciare idee forti di disarmo e di pace.
Tre anni fa, all’inizio dell’invasione di Putin, andava di moda la stucchevole domanda “dove sono finiti i pacifisti?”. Si sentirebbe di dire dove siete adesso?
FV I pacifisti ci sono sempre stati, i nonviolenti ci sono sempre stati, i disarmisti ci sono sempre stati. Sono qui a New York, sono nelle azioni che facciamo quotidianamente nei conflitti perché noi vogliamo veramente proteggere le persone, non solo a parole, sono nelle idee alternative alla spesa militare, sono in tutte le cose che abbiamo detto e che si sono avverate, mentre i militaristi, quelli cioè dei luoghi comuni della guerra, quelli che hanno sbagliato tutto e che si propongono come i realisti quando sono i veri idealisti, continuano a fare danni. Noi ci saremo sempre, quanto meno per dire che c’è una strada diversa e non ci silenzieranno.