Il presidente degli Stati Uniti Donald Trump spinge per una soluzione sull’Ucraina e annuncia di voler “far iniziare immediatamente i colloqui”. Zelensky ribatte: “Nessuno come l’Ucraina vuole la pace”, mentre il cancelliere tedesco Olaf Scholz respinge una “pace imposta” all’Ucraina. Motori riscaldati dunque alla vigilia della Conferenza di Monaco che riunirà nella città tedesca sessanta capi di Stato, esperti di politica internazionale e militari per parlare di rapporti tra Unione europea e Stati Uniti, spese militari e soprattutto dell’avvio dei negoziati per la pace in Ucraina. Mia intervista per AgenSIR, a cura di Maria Chiara Biagioni.
“Se la possiamo forse chiamare ‘diplomazia’, di sicuro non la chiamerei ‘della pace’ perché credo che gli Stati Uniti, così come hanno sempre fatto, stiano solo facendo una diplomazia a favore loro e ancora di più Trump che vuole avere una presenza molto forte nei primi giorni del suo insediamento”. È un’opinione netta quella di Francesco Vignarca, coordinatore delle campagne della Rete italiana pace e disarmo, al quale il Sir ha chiesto un commento ai tentativi dell’amministrazione Usa guidata dal presidente di Trump di chiudere il conflitto in Ucraina, tra conversazioni telefoniche con il presidente Putin e piani di pace. Si apre oggi in una Monaco di Baviera, ancora sconvolta dal presunto attentato terroristico di ieri, la Conferenza internazionale sulla sicurezza dove è prevista la partecipazione di sessanta capi di Stato, esperti di politica internazionale e militari per parlare di rapporti tra Unione europea e Stati Uniti, spese militari e soprattutto dell’avvio dei negoziati per la pace in Ucraina. Vignarca osserva: “Lo si vede anche nel tipo di proposte che vengono fatte. Vanno sopra qualsiasi situazione legata al diritto internazionale e sopra alla volontà dei popoli coinvolti. In questo senso è veramente sbagliato dipingere Trump come pacifista. La pace, lo sappiamo, non è solo assenza di guerra. È presenza dei diritti, è giustizia. Sono soluzioni di lunga durata. Trump invece sta facendo solo gli interessi propri. Certo, il fatto che si smetta di combattere è comunque un aspetto positivo. Ma noi del mondo della nonviolenza sappiamo che quello non è l’obiettivo finale. Può essere un elemento di base, ma non è l’obiettivo di una pace che si vuole giusta, duratura e soprattutto a favore dei diritti dei popoli”.
Per la pace, si deve tentare tutto. Ma a che costo? C’è una regola base da rispettare, sempre?
Tutto è perduto con la guerra, niente con la pace, diceva Benedetto XV. L’hanno ripetuto di recente Papa Francesco e il card. Matteo Zuppi: la guerra è sempre una sconfitta. La regola da rispettare sempre è quella del rispetto dei diritti delle persone, a partire da quello alla vita. Per questo noi diciamo che una costruzione di pace non potrà mai arrivare da una violenza. È il tema della pace positiva. Se noi mettiamo la pace all’interno di un percorso di rafforzamento dei diritti delle persone, cambia l’ottica e cambiano anche gli strumenti.
Cosa rischia una pace stabilita a tavolino e sui contratti?
Una pace stabilita a tavolino e sui contratti non è pace. L’abbiamo visto anche in passato in Europa. Pensiamo a quello che è successo tra la prima e la seconda guerra mondiale, con gli accordi fatti a Versailles. Volavano al di sopra delle persone e dei popoli ed erano legati agli interessi dei governanti. Purtroppo sono diventati la base sulla quale si è consumata la tragedia della Seconda guerra mondiale. È ovvio che c’è l’aspetto formale e diplomatico degli accordi ma questo elemento deve essere parte di un percorso che dà forza alle comunità e ai popoli.
Questa è la vera pace. Quella che nasce e si sviluppa quando i popoli sono convinti di quello che succede.
Il rischio altrimenti è pensare che la stretta di mano di Putin con Trump e gli accordi che fanno sopra la testa di tutti siano un modo per fare la pace e magari si esaltano questi personaggi che di pacifisti e di pacificatori non hanno niente.
Ma l’Unione Europea, dov’è e perché non c’è?
Soprattutto agli occhi delle persone che hanno subito la morte e la distruzione delle loro comunità, l’Unione europea è la grande sconfitta di questi tre anni.
Non c’è perché non si è mai avuto il coraggio di fare il passo in più. In mano ad una classe politica talvolta priva di visione, è diventata un comitato di affari. Stiamo rischiando di diventare un continente fragile che non riesce a trovarsi insieme, andare oltre differenze e fare fronte comune. Ci vuole visione e, soprattutto la forza di ripartire dal manifesto di Ventotene e dalla dichiarazione Schuman, cioè dai principi di base di un’Europa che si vedeva forte perché era libera dal giogo della guerra, della militarizzazione, dal giogo di pensare alla potenza solo come potenza economica e militare.
Da dove si comincia per fare una pace vera, giusta e duratura?
Dalle persone, dai popoli, da chi ha sofferto, da chi rinuncia e rifiuta la guerra. Abbiamo tantissimi obiettori in Russia, in Ucraina, Bielorussia. Ma soprattutto dalla definizione di cos’è la pace e dei parametri che la costruiscono. Spesso si parla di interessi nazionali. Quali sono? Chi li definisce? Da lì, si parte. Le società sono progredite nella storia, sono diventate più democratiche e più giuste quando si sono ritrovate insieme ed insieme hanno cercato di capire cosa era meglio per le loro comunità. Quando si sono messi da parte gli slogan retorici di qualcuno elaborati solo per fare i propri interessi e si sono individuati gli interessi della collettività. Ed è quello che Papa Francesco ha sempre sottolineato quando dice che senza giustizia sociale, senza diritti per tutti, senza cura dell’ambiente, non si può costruire la pace. Ecco, noi abbiamo bisogno – oltre a fatti concreti nei contesti dei Paesi in guerra – che ci sia un ripensamento globale di un concetto globale di pace.