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Scendiamo in piazza per la pace e contro il riarmo

OGGI IN SETTE CITTÀ Le sette piazze arcobaleno che si riempiranno oggi nella giornata di mobilitazione nazionale rilanceranno tante proposte, tante idee, tante richieste.

Mio commento per “il Manifesto”

Le sette piazze arcobaleno che si riempiranno oggi nella giornata di mobilitazione nazionale rilanceranno tante proposte, tante idee, tante richieste. Tutte indirizzate a fermare le guerre e a costruire la pace, il cui tempo è davvero arrivato se vogliamo il futuro dell’umanità.

Tra i temi della giornata, uno tra i più cruciali è esplicitato chiaramente nella piattaforma di convocazione: «No al riarmo, no all’aumento delle spese militari». In tal senso, proprio le manifestazioni serviranno anche a rafforzare la mobilitazione continua contro l’alto livello, e il progressivo aumento, delle spese militari e per chiedere una redistribuzione di risorse verso investimenti più utili a favore di salute, istruzione, ambiente, solidarietà e pace. Richiesta che è l’oggetto di «Ferma il riarmo!», campagna appena lanciata da Fondazione PerugiAssisi per la Cultura della Pace, Greenpeace Italia, Rete Italiana Pace e Disarmo e Sbilanciamoci! con l’idea di svelare alle cittadine e ai cittadini italiani le cifre enormi di quello definiamo come «furto di futuro».

Non si tratta certo di una novità, il tema è uno tra gli elementi fondanti di tutta l’azione – sia storica che recente – delle organizzazioni che fanno parte del movimento per la pace e il disarmo. Ma è una questione che non può essere più riproposta solo in maniera automatica, liturgica, quasi scontata… perché ci sono elementi nuovi che la rendono ancora più urgente.

Il primo riguarda il contesto: siamo di fronte ad una stagione di riarmo chiaro e forte, come non succedeva ormai da alcuni decenni. Ce lo dicono i dati, le dichiarazioni politiche, il substrato culturale e mediatico che usa un certo linguaggio basato sull’idea armata.

Come ricordato nel testo di presentazione della mobilitazione: «Ciò che prima veniva deciso in termini meno dispendiosi, ma con opacità e reticenze, oggi viene rivendicato: da qui la crescita enorme delle risorse che gli Stati mettono a disposizione del comparto militare, in particolare per quanto riguarda la produzione e il commercio di nuovi sistemi d’arma».

Da qui discende non più l’opportunità ma l’esigenza imprescindibile di ribadire che esiste una grande parte della società civile (e anche dell’opinione pubblica) che esprime una contrarietà, sia pratica che culturale, a una dinamica di militarizzazione continua. Che oltretutto porta oggi non solo ad una preoccupazione globale (e spese militari indeboliscono i percorsi di diplomazia e cooperazione basilari per portare pace e sviluppo a tutti gli angoli del globo) ma anche ad una prettamente locale: si tratta infatti di falsi investimenti (più che altri regali al complesso militare-industriale-finanziario) che non garantiscono sviluppo nemmeno al nostro Paese in cui le soglie di povertà e di difficoltà, oltre che non accesso a servizi e diritti, stanno crescendo e diventando oltremodo preoccupanti.

Il secondo elemento riguarda la situazione globale. Non solo dal punto di vista della politica e delle relazioni internazionali, in un mondo che non riesce più a trovare un equilibrio multilaterale che consenta un avanzamento dell’accesso ai diritti universali. Ma anche perché il fallimento di quell’ordine che l’Occidente continua a riproporre come un dogma ormai fragilmente vuoto porta a una insicurezza umana, non solo statuale, che ci pervade tutti. E che nessun carro armato, cacciabombardiere, missile, bomba potrà mai garantire.

In direzione ostinatamente, ma lucidamente, contraria vanno le proposte di «Ferma il riarmo» con al centro la riduzione della spesa militare a livello nazionale e globale, e non a caso l’avvio è avvenuto durante la Settimana Onu per il Disarmo con rilancio della richiesta di una Conferenza globale sul tema (a oltre 35 anni dalla precedente).

A cascata le altre proposte: utilizzare le risorse liberate dalla spesa militare per spese sociali, ambientali e rafforzamento delle istituzioni per la Pace con diminuzione dei fondi destinati alle missioni militari. E poi tassare gli extra profitti dell’industria militare, che va maggiormente controllata a riguardo dell’influenza indebita che è in grado di esercitare (anche grazie alle cosiddette «porte girevoli») su bilancio ed export militare.

Ora non resta che capire quante cittadini e quanti cittadini si attiveranno in prima persona per fermare il riarmo. Noi confidiamo che siano davvero la grande maggioranza.