Intervista sulle dinamiche della guerra e delle possibili strade di soluzione nonviolenta, che passano da mediazioni e neutralità umanitaria. Per l’inserto “Diogene” del quotidiano La Provincia di Como, a cura di Katia Trinca Colonel
Le guerre sono civili uccisi, feriti, traumatizzati, ovunque e per qualunque causa si combatta. Un carico immenso di dolore che spesso non si vuole vedere e di fronte al quale ci si sente impotenti. Unica certezza le azioni concrete degli operatori di pace che, in luoghi stravolti dall’odio e dalla morte, provano a portare soccorso e a gettare i semi di una vita futura. Le guerre poi hanno anche conseguenze che ci toccano da vicino, e non solo sul piano economico come cinicamente si registra nei media. Una delle ultime notizie che arriva dalla Farnesina, per esempio, è lo stop alla partenza di un gruppo di giovani comaschi pronti a svolgere il servizio civile all’estero. In procinto di recarsi in Bosnia, Serbia e Libano sono stati fermati poiché si teme che in quelle zone possano scoppiare conflitti. Tutti contesti e problemi, questi, che Francesco Vignarca conosce bene. Comasco, classe 1974, è coordinatore delle campagne nazionali di “Rete italiana pace e disarmo”. Nel 2020 ha ricevuto, insieme a Sergio Bassoli, il “Premio nazionale nonviolenza”, un’esperienza che lo ha portato ad approfondire temi tra cui le spese militari, il controllo del commercio di armi, l’alternativa al disarmo. A commento della fresca conferenza di pace a Lucerna per porre le basi di un cessate il fuoco in Ucraina, Vignarca osserva: «Io credo che qualsiasi iniziativa che faccia balenare la pace sia sempre positiva. Nelle guerre c’è la componente propaganda, sia esterna che interna, quando vai a mediare devi concedere qualcosa e questo non è facile da far accettare nel tuo Paese. Forme di mediazione non palesi sono comunque utili. Lo scambio di prigionieri tra russi e ucraini, per esempio, ci dice di trattative sotterranee positive, significa che c’è anche un seppur minimo canale aperto. Anche il Vaticano, nella sua mediazione, mantiene canali aperti e soprattutto lavora per il prosieguo. Se vuoi costruire pace non basta una tregua, occorre sanare inimicizie tra comunità, territori, società… Diciamo che una conferenza come quella di Lucerna, in cui si invita solo una parte, rischia di essere sterile e di fare la fine di tutte le conferenze sulla ricostruzione che non considerano i passaggi di mediazione e soprattutto il cessate il fuoco».
«Come Rete pace e disarmo riteniamo che ogni mediazione di pace non possa partire da uno schema precostituito, bisogna ragionare sul far scegliere a chi è coinvolto – continua Vignarca Come Paesi occidentali non abbiamo favorito le condizioni che fossero da preludio a una possibile pace, una pace che non siamo noi a dover fare». Vignarca pone anche l’attenzione sulla sempre più minacciata neutralità degli operatori umanitari: «Purtroppo assistiamo alla messa in dubbio di principi elaborati con fatica nel corso di un secolo, prevale l’indifferenza sulla morte dei civili. La neutralità è un valore che ti permette di stare accanto alle persone che vivono sotto le bombe e che non riescono a vedere un futuro, è l’unico valore che dobbiamo proteggere in maniera estrema. Quello che manca e che da anni chiediamo è un intervento più strutturato come potrebbe essere quello dei corpi civili di pace: persone professionalmente preparate a disposizione dei singoli Stati, meglio se inviati prima che scoppino i conflitti».