“Deterrenza nucleare non funziona. Occorre disarmo nucleare multilaterale. Nello Yemen abbiamo mandato armi, che dal 2015 hanno fatto 300 mila morti civili. Con le armi non si risolve la guerra. Bisogna agire su diseguaglianze e crisi climatica. E naturalmente ridurre gli armamenti”
Mia intervista per Redattore Sociale, a cura di Chiara Ludovisi
Putin si dice “pronto” alla guerra nucleare. Netanyahu preannuncia l’attacco a Rafah e avverte: “Nessuno ci fermerà”. Intanto, nel Mar Rosso, la nave italiana Duilio ha abbattuto due droni Houti: chiaro segno, per questi ultimi, che “ l’Italia si è voluta schierare a fianco dei nostri nemici e a difesa di Israele”. Non è certo facile, in un simile contesto, parlare di pace. Ci prova incessantemente il Papa, che negli ultimi giorni ha fatto indispettire Kiev, solo per aver invocato la strada del negoziato. Cosa ne è, in questo scenario, del pensiero pacifista? E come si può reagire alle minacce che arrivano da più fronti, senza chiedere più armi, ma anzi il disarmo? Redattore Sociale lo ha chiesto a Francesco Vignarca, coordinatore Campagne di Rete Pace Disarmo e autore di diversi libri, tra cui l’ultimo, “Disarmo nucleare”.
Putin ha dichiarato di essere pronto a una guerra nucleare: come leggi questa minaccia? E cosa intendi con disarmo nucleare? Siamo ancora in tempo per realizzarlo?
Le ultime minacce di questi giorni di Putin fanno seguito alle minacce che comunque la Russia ha o meno velatamente fatto negli ultimi due anni e sottolineano quanto sia problematica la presenza di arsenali nucleari in un contesto di guerra come quella in Ucraina. La deterrenza nucleare non funziona: proprio il fatto che la Russia venga attaccata anche dall’Ucraina e la guerra sia in una situazione di stallo lo dimostra. Però rimane sempre una forte preoccupazione: non ci aspettiamo che domani venga gettata una bomba nucleare, ma il solo fatto che esista come possibilità finale è un problema. Per questo è sempre più urgente lavorare per il disarmo nucleare, innanzitutto limitando le azioni della Russia, che addirittura ha iniziato – forse – a dispiegare testate sulla Bielorussia, ma lavorando anche su di noi e sulla postura nucleare che ha la Nato, con i suoi paesi nucleari, in particolare gli Stati Uniti e anche altre potenze. Ovviamente il disarmo nucleare si può raggiungere solo a livello multilaterale, solo con una decisione congiunta di abbassare la presenza delle armi nucleari che invece sono modernizzate da tutte le potenze che le hanno. Noi sosteniamo il Trattato sulla proibizione delle armi nucleari, sottoscritto da 70 paesi, che permetterebbe di avere un regime di controllo e un percorso di disarmo concreto e realizzabile
L’Italia sta assumendo un ruolo sempre più attivo nel mar Rosso. L’abbattimento di altri due droni Houti è il segno di una guerra mascherata?
L‘abbattimento dei droni era ipotizzabile una volta che si sono dispiegati assetti navali in quel contesto. Noi, come Rete Pace disarmo, abbiamo detto che l’invio di navi avrebbe potuto aumentare il rischio di incidenti ed escalation in un contesto di guerra che non si è aperto ora, ma nel 2015, nello Yemen. In quella regione, noi non abbiamo fatto niente, anzi abbiamo alimentato la guerra, fornendo armi e bombe ai sauditi, che poi le usavano soprattutto contro i civili. Non si può far finta che tutto nasca oggi, da un gruppo ribelle terrorista che ci impone una difesa militare ad altissimo rischio. Dal 2015 ad oggi, nello Yemen ci sono stati più di 300 mila morti civili, tanto che l’ONU l’ha definita la catastrofe umanitaria peggiore del decennio scorso. Eppure, non ci siamo mossi per fermarla. Appena vengono toccati i nostri interessi economici, allora sì, ci si muove subito con gli assetti militari, non pensando neanche a una soluzione diversa. Il fatto che si riproponga sempre l’idea per cui ogni questione si debba risolvere con l’invio militare, senza che così si sia mai risolto niente, è davvero frustrante.
Quanto è difficile, oggi, essere pacifisti? E qual è lo stato di salute del movimento? Le nuove minacce di Putin non rischiano di alimentare una nuova “chiamata alle armi”, togliendo voce a chi chiede, piuttosto, il disarmo?
Sicuramente la guerra in Ucraina e il problema della sicurezza in Medio Oriente – frutto di un’insicurezza globale da cui derivano anche i conflitti che vediamo di meno, ma che non sono meno gravi (in Congo, Sudan, Libia, Siria, Yemen) hanno riattivato la chiamata alle armi. Quello che ha fatto Putin, come principale avversario del pacifismo mondiale, è aprire le gabbie della retorica legata al militarismo e accelerare una dinamica che però c’era già . Ricordiamo che la spesa militare è raddoppiata in questo secolo e l’Europa aveva stanziato miliardi in armamenti ben prima che Putin invadesse l’Ucraina. La guerra conclamata ha aumentato un militarismo già esistente, quindi oggi, sì, è difficile essere pacifisti nonviolenti. La pace deve essere positiva e prevedere diritti per tutti, ma questo processo può partire solo evitando che tuoni il cannone. Chiederlo oggi, mentre viene raccontato che di là c’è un cattivo e di qua c’è il buono, è particolarmente complicato. Chi chiede la pace oggi è spesso considerato un traditore indifferente alle vittime. Ma noi sappiamo, dai dati e dalle analisi, che non si risolve una guerra con la guerra. Dalle guerre traggono profitto solo le industrie dalle armi. Noi restiamo su questa posizione: insultano il papa, per aver chiesto il negoziato, figuriamoci se non insultano noi, ma come diceva Capitini, dobbiamo dire no alla guerra ed essere duri come pietre.
Che cosa si rischia, con la modifica della legge 185/90?
Innanzitutto, voglio precisare che non si tratta di una legge pacifista: permette l’invio delle armi, solo prevede criteri non siano soltanto economici, ma tengano conto anche del rispetto dei diritti, nel determinare l’invio delle armi. Nonostante questa legge, peraltro, negli ultimi anni si era tornati a vendere armi soprattutto nelle zone più calde del pianeta: il 71% del controvalore negli ultimi 5 anni è finito in Medio Oriente. Era però almeno assicurata una certa trasparenza e capacità di sapere. Con la modifica in corso, si perde questa trasparenza, mentre le decisioni verranno spostate solo in ambito politico e geostrategico. Il governo vuole creare un meccanismo che permetta di mandare armi quando lo si ritenga opportuno o per gli affari o per la politica. L’unica volontà è indebolire il controllo sull’export degli armamenti.
Qual è il rapporto tra cambiamento climatico, guerre e diseguaglianze? E da dove bisogna partire, per proteggere il pianeta e l’umanità?
Da qualche anno, il cosiddetto “Orologio dell’Apocalisse” degli Scienziati atomici ci segnala due minacce esistenziali: armi nucleari e cambiamento climatico. Una crisi non sarà risolta senza risolvere anche l’altra. Non potremo risolvere il tema delle guerre, se continuerà ad aumentare l’invivibilità di alcuni territori, la quale produce spostamenti e competizioni sulle risorse. Al tempo stesso, non si potrà risolvere la crisi climatica senza ridurre la militarizzazione, che è la principale fonte di inquinamento. Peraltro oggi gli eserciti sono gli unici che non hanno l’obbligo di rendicontare le loro emissioni climalteranti nell’ambito degli Accordi quadro di Parigi. Questo, perché gli eserciti sono pensati per distruggere e non hanno nella loro mission la tutela e la conservazione dell’ambiente. Sempre di più, dobbiamo mettere insieme disarmo climatico e disarmo umanitario: anche nell’ambito delle richieste e della campagne, serve un’alleanza sempre più forte tra movimenti ambientalisti e pacifisti. Dobbiamo arrivare a sintetizzare quell’ecopacismo che Alexander Langer aveva dichiarato cruciale già negli anni ’90.