Mia intervista per il Fatto Quotidiano sull’Accordo tra Italia e Ucraina firmato a Kiev a due anni dall’inizio della guerra con la Russia
Francesco Vignarca, coordinatore della Rete Pace e Disarmo, ha appena finito di leggere l’accordo sulla cooperazione e sicurezza firmato sabato a Kiev da Giorgia Meloni e Volodymyr Zelensky e dice: “Questo testo mi preoccupa molto perché sostanzialmente non cambia niente ma potrebbe servire al governo italiano per forzare alcune decisioni che non sono obbligatorie, come avviene per le spese militari pari al 2% del Pil”.
Vignarca, in che senso?
Mi spiego: l’accordo ha un valore meramente politico e di propaganda. Meloni è andata a Kiev a due anni dall’inizio della guerra per far vedere che il governo è al fianco dell’Ucraina e che l’Italia c’è: questo perché una parte importante della sua maggioranza è ancora filo-russa. Sostanzialmente invece cambia poco. La cosa preoccupante però è un’altra: il patto potrebbe essere un grimaldello per far passare come obbligatorie delle decisioni che non lo sono. Aumentare le spese militari fino al 2% del Pil non è scritto in nessun accordo ma è stato solo detto in una dichiarazione: eppure ormai è un mantra di cui parlano tutti. La stessa cosa potrebbe avvenire con questo accordo. Poi c’è un altro problema…
Ovvero?
L’Ucraina in questo momento avrebbe bisogno di ben altro aiuto dall’Italia e dall’Unione Europea: un modo per uscire dalla guerra che non avvenga tramite le armi o le sanzioni che, abbiamo visto, servono a poco contro Mosca. In questo accordo invece si parte da un approccio opposto: dalla sicurezza, dalle armi e l’unico aiuto economico riguarda la ricostruzione, che poi significa cercare di fare affari. In questo modo non si cerca certo la pace.
La parte sei dell’accordo prevede la possibilità di intervenire in 24 ore in caso di attacco della Russia all’Ucraina. Non sembra una sorta di articolo 5 della Nato?
La premessa doverosa è che ogni Stato ha la facoltà di fare quello che vuole: quello che conta è la volontà politica e senza un aspetto legale è difficile che si concretizzi. Il rischio però è che si facciano delle scelte azzardate credendo di doverle fare senza aver alcun obbligo.
Nel patto, a differenza di quello degli altri Paesi, non c’è alcun indicazione sulla tipologia di armi inviate e sui fondi spesi.
Questa è l’ennesima conferma di un’opacità che va avanti da due anni. I motivi sono due: il primo è che molti Paesi stanno facendo i furbi sul meccanismo europeo di rimborso. C’è chi invia un missile vecchio, ma poi chiede il rimborso per uno di nuova generazione. Se si certifica esattamente quello che si manda, poi non si può fare i furbi: non si può mandare una vecchia Ritmo e chiedere indietro una Ferrari. Il secondo motivo è tutto interno: da mesi c’è una continua propaganda per aumentare le spese militari e la mancanza di trasparenza serve proprio a raggiungere questo obiettivo.
Si prevedono anche esercitazioni in territorio ucraino. Com’è possibile?
Spero che la precisazione dell’accordo (“appena sarà possibile”) si riferisca a quando la guerra sarà finita, altrimenti sarebbe pericolosissimo: fare esercitazioni in territorio ucraino sarebbe una sorta di atto di guerra dell’Italia alla Russia.
Perché l’accordo non passerà dal Parlamento?
Perché un patto del genere non reggerebbe e sarebbe in contrasto con la legge sulle missioni internazionali che deve essere approvata ogni anno. Come si fa a dire che si continua a sostenere Kiev per i prossimi dieci anni senza entrare in conflitto con la norma esistente?