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Affari armati: ecco tutti i numeri sugli aiuti militari all’Ucraina

Articolo di Lara Tomasetta per The Post Internazionale, con alcune mie considerazioni: intanto gli Stati europei hanno usato la scusa di sostenere Kiev per rifarsi gli arsenali a spese dell’Ue

A fine dicembre 2023, secondo i dati resi noti dal Kiel Institute – uno dei più autorevoli think tanks europei che conduce un’attività di analisi e di studio sui problemi dell’economia globale – l’Italia era al 13esimo posto (700 milioni di euro) per forniture militari all’Ucraina, dietro a Stati Uniti (44 miliardi), Germania (17,1), Regno Unito (6,6), Norvegia, Danimarca, Polonia, Olanda, Svezia, Finlandia,  Repubblica Ceca e Lituania ma davanti a Slovacchia, Francia e Australia. 

I dati aggiornati al 15 febbraio mostrano che il totale degli aiuti europei ha da tempo superato quelli statunitensi, non solo in termini di impegni, ma anche in termini di stanziamenti di aiuti specifici inviati all’Ucraina. Tuttavia il divario tra gli impegni e gli stanziamenti effettivi dell’Ue rimane molto ampio (144 miliardi di euro impegnati contro 77 miliardi di euro stanziati). Per sostituire completamente l’assistenza militare statunitense nel 2024, l’Europa dovrebbe raddoppiare il livello e il ritmo attuali di assistenza militare. 

Secondo l’ultimo aggiornamento dell’indagine, gli impegni e le consegne di aiuti statunitensi all’Ucraina si sono sostanzialmente fermati, dato che nessun nuovo pacchetto di sostegno è stato approvato dal Congresso di Washington. Gli aiuti europei, al contrario, continuano a crescere. 

Donatori
Al 15 gennaio 2024, l’Unione europea e i suoi Stati membri hanno impegnato – come detto – un totale di 144 miliardi di euro in aiuti, ma di questi ne hanno stanziati solo 77 miliardi per scopi specifici. Il volume degli aiuti finanziari (34 miliardi di euro) è quasi pari a quello degli aiuti militari (35,2 miliardi di euro) e questo equilibrio è rimasto più o meno stabile dall’inizio del 2022. 

Il totale degli aiuti militari promessi all’Ucraina tra il primo novembre 2023 e il 15 gennaio 2024 ammontava a 9,8 miliardi di euro. Più o meno nello stesso periodo dell’anno scorso gli impegni ammontavano a 27 miliardi di euro, di cui 21 provenienti dagli Stati Uniti. 

Oggi gli aiuti militari sono forniti principalmente da pochi grandi donatori, come i Paesi dell’Europa del Nord, la Germania o il Regno Unito, mentre la maggior parte degli altri donatori ha promesso poco o nulla di nuovo. I nuovi impegni totali – militari, finanziari e umanitari – sono leggermente aumentati rispetto all’ultimo aggiornamento dell’indagine, per un totale di 13,8 miliardi di euro. Questa cifra non include il pacchetto Ue definitivo da 50 miliardi di euro, che era già stato annunciato nel 2023.

Anche in ambito militare i dati rivelano una grande differenza tra gli aiuti promessi e quelli effettivamente stanziati. La Germania rimane il maggiore donatore militare europeo, con un totale di 17,7 miliardi di euro in impegni militari dal febbraio 2022, di cui 9,4 euro sono stati ora assegnati a pacchetti militari specifici inviati all’Ucraina. Il Regno Unito ha recentemente annunciato nuovi aiuti militari per 2,9 miliardi di euro, portando i suoi impegni militari totali a 9,1 miliardi di euro. Di questa somma, secondo i dati, 4,8 miliardi di euro sono stati stanziati fino a metà gennaio 2024.

Guardando ai Paesi nordici, la Danimarca ha aumentato i suoi impegni militari per l’Ucraina di 3,5 miliardi di euro da novembre, diventando così uno dei maggiori donatori militari in termini di percentuale del Prodotto interno lordo. Finora Copenaghen ha stanziato 8,4 miliardi di euro in aiuti militari, di cui 4,5 sono stati allocati. Il programma pluriennale “Nansen” della Norvegia, per un volume pari a 6,6 miliardi di euro, continua a indirizzare i fondi per scopi militari come la difesa aerea e le munizioni. 

Da Draghi a Meloni
Per quanto riguarda l’Italia, l’ultimo pacchetto (l’ottavo) di invio di materiali ed equipaggiamenti militari all’Ucraina è stato pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale del 29 dicembre 2023. Il precedente pacchetto, il settimo, risaliva al 31 maggio: alcune indicazioni in proposito sono state fornite dall’esecutivo a fine maggio. In quell’occasione l’elenco degli armamenti è stato illustrato dal ministro della Difesa, Guido Crosetto, nel corso di un’audizione al Copasir, il Comitato parlamentare per la sicurezza della Repubblica. Come nei pacchetti precedenti, anche in quella circostanza il contenuto è stato secretato e successivamente pubblicato in Gazzetta ufficiale. Quello di fine maggio è stato il secondo provvedimento firmato dal Governo Meloni: il primo risaliva a quattro mesi prima. Stando alle indiscrezioni circolate, in quell’occasione sono stati inviati equipaggiamenti per la protezione dal rischio Nbcr: tute, maschere protettive, kit per rendere potabile l’acqua, oltre che le munizioni. Sempre in quei giorni si parlò dell’invio, come già avvenuto in precedenza, di ulteriori veicoli, obici, lanciamissili, mitragliatrici e armi leggere.

«Su iniziativa del ministro della Difesa, Guido Crosetto, del ministro agli Affari esteri, Antonio Tajani, e del ministro dell’Economia, Giancarlo Giorgetti, e con il consenso dell’intero governo, nel Cdm di oggi è stata decisa la proroga, dal primo gennaio al 31 dicembre 2024, dell’autorizzazione al Governo, previo atto di indirizzo di Camera e Senato, alla cessione di mezzi, materiali ed equipaggiamenti alle Autorità governative dell’Ucraina», rendeva noto il Ministero della Difesa.

Già a partire dalle prime settimane del conflitto in Ucraina l’Italia ha fornito mezzi, materiali ed equipaggiamenti militari a Kiev attraverso una serie di provvedimenti, presi prima dal Governo Draghi (il quinto pacchetto ha avuto il via libera dell’esecutivo quando era dimissionario) e poi dal Governo Meloni. Nei primi decreti, tutti secretati, secondo le indiscrezioni emerse sono stati inviati – oltre a contributi economici – dispositivi di protezione come elmetti e giubbotti, munizioni di diverso calibro, sistemi anticarro (Panzerfaust) e antiaereo (Stinger), mortai, lanciarazzi (Milan), mitragliatrici leggere e pesanti (MG 42/59), mezzi Lince, artiglieria trainata (Fh70) e semoventi (Pzh2000). Escludendo questi ultimi tre elementi, la maggior parte delle forniture inviate non erano più utilizzate dall’esercito italiano.

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Fin dall’inizio del suo mandato, la premier Giorgia Meloni ha garantito il massimo della continuità rispetto al governo che l’ha preceduta, quello di Mario Draghi, sulla guerra in Ucraina. Con una piena adesione alla linea occidentale e atlantica, di condanna dell’aggressione russa. Una politica che però sembra destinata a cambiare, principalmente per la caduta della retorica che finora ha riguardato la difesa dell’Ucraina come Paese aggredito e il doppio standard occidentale rispetto a Gaza. 

Tra una risoluzione del conflitto sempre più lontana e la nuova guerra tra Israele e Hamas e sui territori palestinesi, l’orientamento italiano ed europeo sembra sempre più proteso verso un mantenimento dello status quo. A spiegare in maniera più approfondita le cause di questo cambiamento è Francesco Vignarca, coordinatore delle campagne della Rete Italiana Pace e Disarmo, che ha evidenziato alcune evidenti falle del processo di fornitura delle armi a Kiev, lo European Peace Facility (Epf).

«Non siamo attualmente in grado di effettuare un’analisi aggiornata dei costi diretti e indiretti per quanto riguarda le spese dell’Italia», spiega Vignarca, «ma possiamo dire che già a metà dello scorso anno avevamo superato il miliardo di euro per mandare armi all’Ucraina. Il Governo non sta dando informazioni circa la tipologia di armi inviate. Da mesi sono secretate. Quello che sappiamo è che uno dei meccanismi per fornire armi, e che si è poi rivelato problematico, è il fondo European Peace Facility». 

L’Epf è il meccanismo con cui l’Unione europea finanzia le operazioni di peacekeeping al di fuori dei suoi confini ed è l’unico strumento di cui dispone per avere un minimo di voce in capitolo a livello militare, dal momento che non esiste una forza di difesa che unisca gli eserciti di tutti gli Paesi membri. Il fondo permette agli Stati europei di inviare armi e poi richiedere una sorta di rimborso per il rifornimento dei magazzini. «Il problema è che gli Stati hanno utilizzato questo fondo per svuotare i magazzini dalle vecchie armi e hanno poi chiesto il rimborso in base al costo del ristoccaggio. Questo ha creato molte polemiche, tanto che la stessa Commissione europea ha dovuto mettere in pista nuovi criteri per la richiesta di questi rimborsi. Senza parlare dell’impatto morale di tutto ciò: cercare di sfruttare l’occasione della guerra in Ucraina per rifarsi gli arsenali».

Un altro fondo poco “trasparente” è risultato essere l’Asap (Act in Support of Ammunition Production, ma anche As Soon As Possible) che si inserisce anch’esso tra le misure con cui l’Unione europea contribuisce a sostenere, sia pure in modo indiretto, lo sforzo bellico dell’Ucraina. L’intensità e la durata del conflitto hanno comportato un consumo di munizioni ben superiore ai volumi produttivi, tanto dell’Ucraina quanto degli Stati occidentali che la assistono mediante forniture militari, anche con il sostegno dello Strumento europeo per la pace. La produzione di munizioni ha in effetti risentito a lungo e in modo severo, almeno in Europa, della riduzione degli investimenti per la difesa dopo la fine della guerra fredda. Poiché un conflitto convenzionale e prolungato nel continente europeo è per molti sembrato irrealistico, l’industria della difesa ha ridotto la propria capacità produttiva e orientato gli investimenti verso beni differenti e a più elevata intensità tecnologica. Di conseguenza, molti Stati membri hanno ora difficoltà a ricostituire scorte esaurite o in via di esaurimento. Per sopperire a questa carenza, il regolamento europeo ha istituito uno strumento per finanziare la produzione di munizioni e missili, con una dotazione finanziaria di 500 milioni di euro a prezzi correnti. 

Per circa la metà, queste risorse sono state reperite stralciando una parte del bilancio previsto nella proposta di strumento per il rafforzamento dell’industria europea della difesa mediante appalti comuni (Edirpa) presentata dalla Commissione nel 2022. Lo strumento è attuato in regime di gestione diretta, ossia amministrato direttamente dalla Commissione sulla base di criteri armonizzati, secondo un modello già sperimentato con il Fondo europeo per la difesa. 

L’incidenza del finanziamento europeo sui singoli progetti è peraltro significativa, poiché lo strumento può coprire fino al 35% dei costi di produzione di munizioni e missili e fino al 40% dei costi di produzione dei componenti e delle materie prime. «Questo nuovo fondo, creato in fretta e furia per la produzione di munizionamento e per fare in modo che nel giro di un anno ci fossero un milione di pezzi di artiglieria per l’Ucraina, è stato fondamentalmente un finanziamento diretto all’industria militare», fa notare Vignarca.

«Nelle settimane scorse, lo stesso Breton (il commissario europeo per il Mercato interno, il francese Thierry Breton, ndr) ha evidenziato che l’industria si è presa i soldi per aumentare la produzione ma ha continuato a inviare artiglieria ai suoi clienti in giro per il mondo. Ancora una volta tutti questi meccanismi sono solo un sostegno all’industria militare che vuole continuare a fare i propri interessi», prosegue il coordinatore della Rete Pace e Disarmo. «Se prima però si utilizzava la retorica del dare le armi all’Ucraina attaccata bisognosa di difendersi, adesso si sta procedendo verso una normalizzazione: “Dobbiamo tenere in piedi questo scontro molto sanguinoso ma statico”. Con la questione di Gaza è evidente il doppio standard occidentale: non si può spingere ancora sull’argomento degli aggrediti. La retorica sulla difesa dell’aggredito ha permesso l’aumento della spesa militare a discapito della scuola, della sanità, aumenti, che altrimenti non sarebbero stati accettati. Adesso tutto quello non serve più. In questo momento è strutturale il fatto che dobbiamo armarci. Senza ovviamente una soluzione sull’Ucraina. Ancora una volta la guerra per la guerra e non un tentativo di sistemare le cose per le popolazioni», conclude Vignarca. 

Consensi a picco
Sarà lo della guerra al quale non sembrano esserci soluzioni, sarà l’attenzione dirottata sul conflitto a Gaza, ma secondo gli ultimi sondaggi LaPolis-Università di Urbino, il sostegno degli italiani rispetto agli aiuti militari all’Ucraina ha fatto registrare la percentuale più bassa dall’inizio della guerra. Appena il 42% delle persone sentite ritiene giusto continuare a fornire armamenti all’esercito di Volodymyr Zelensky, dopo miliardi di dollari spesi dagli alleati occidentali per sostenere la guerra iniziata da Vladimir Putin e il «whatever it takes» ribadito dalle istituzioni di Bruxelles. 

Dai numeri che emergono, si nota come si sia passati dal 51% dei consensi sulle forniture nelle settimane immediatamente successive all’invasione a una situazione di relativa stabilita appena al di sotto del 50%, fino all’estate scorsa, quando è iniziato un calo costante che ha portato al 42% di oggi. 

Se si suddividono i pareri per sostegno politico, si nota che i più favorevoli a continuare l’invio di armamenti a Kiev sono gli elettori del Pd (56%), seguiti dalla Lega (48%), da Forza Italia e Fratelli d’Italia (45%), mentre quelli del Movimento 5 Stelle si fermano al 35%. Analizzando le fasce d’età, più vicini alle posizioni di Zelensky sono i cittadini tra i 19 e i 26 anni (46%) e gli over 65 (50%), mentre le percentuali scendono al 39% tra i 30 e i 44 anni e al 31% tra i 45 e i 54 anni.