Un astrofisico attivista, che scrive di disarmo climatico – Francesco Vignarca – ci ha spiegato perché senza il superamento delle diseguaglianze non c’è futuro – intervista per InterniMagazine
Tornadi che sbriciolano skyline di archistar, temperature infernali che strappano alla vita pregiatissimi innesti botanici e raffiche di vento che divelgono coppi, pale e pannelli solari: aria, acqua e fuoco sono elementi naturali ormai fuori controllo.
Chi di noi auspicava ripensamenti consapevoli in tema di politiche ambientali, è rimasto deluso: abbiamo estratto tutto, sino all’ultimo alito di gas, colonizzato ogni centimetro di terra disponibile, in questo e quell’altro mondo, inclusi la Luna e Marte, e, protetti dall’oscurità, lanciato gli ultimi missili mirando il più antico edificio patrimonio dell’Unesco.
Quello descritto non è solo una visione distopica di benvenuto nell’autunno del 2050, ma uno scenario dal sapore fantascientifico del tutto aderente alla realtà dei fatti in corso.
E l’estate appena trascorsa impone molte riflessioni su come e se intendiamo rimanere su questa Terra: l’uomo è nudo al cospetto dell’imponderabilità della Natura, cosa vogliamo fare?
Forte è il sentimento di sconfitta che emerge dalle sperimentazioni dei giovani designer attenti alle urgenze del contemporaneo. E forte è il tentativo di riscatto che ciascuno di loro immagina attraverso il progetto.
Autentico e primordiale è l’orizzonte puntato per esempio da Nicolò Ornaghi, Delfino Sisto Legnani e Francesco Zorzi, gli NM3, che con l’acciaio e la pietra definiscono oggetti monolitici puri, senza infingimenti.
I loro sono grattacieli di luce che abitano residui di un’umanità annientata da se stessa. In questo ‘dopo’, l’unico testimone del passato che fu diventa l’eco della voce riprodotta dalla scultura di Carlo Lorenzetti.
“A mettere in dubbio la nostra esistenza oggi sono gli effetti del cambiamento ambientale che, unito all’uso delle armi, divarica le disuguaglianze”, afferma senza indugio Francesco Vignarca, coordinatore campagne della Rete Italiana Pace Disarmo.
Raggiunto al telefono per approfondire i contenuti dei suoi prossimi libri sul disarmo climatico e nucleare (scritti con la collaborazione di Stefania Divertito), l’astrofisico ci aiuta a comprendere l’impatto degli scontri armati sul Pianeta.
“Se la crisi climatica continuerà ad abbattersi sui territori, costringendo le popolazioni a muoversi, la tensione verso i conflitti aumenterà sino a esplodere”.
Oggi il numero di profughi climatici è superiore rispetto a quello dei cosiddetti ‘economici’ e nonostante sia universale il diritto alla sopravvivenza, “i profughi creano tensioni al solo tentativo di insediarsi”, continua Vignarca, “a Oriente come Occidente”, dove innalziamo muri di fili spinati e variamo navi-prigioni per il rimpatrio di uomini-clandestini.
Ma il movimento è cambiamento, inclusione, trasformazione: ce lo insegnano le piante, ce lo racconta Stefano Mancuso, ce lo disegnano Théophile Blandet con la mostra ‘Design in Metamorphosis’ e Stefano Fusani che con le sue sculture dà forma a un universo abitato da corpi umani e vegetali, come a dire che la vita è un moto perpetuo che genera e rigenera bellezza.
E ce lo dimostra Leopold Banchini, che con le sue architetture mobili dà riparo a ballerini che danzano per spostarsi in armonia tra loro e nello spazio. Questo secondo scenario è la dimostrazione che la risoluzione delle conflittualità è strettamente connessa alla transizione ecologica.
“Si stima che la movimentazione degli eserciti e la produzione degli armamenti sia responsabile del 5,5% delle emissioni climalteranti mondiali”, anche perché i ‘teatri di conflitto armato’ attivi oggi nel mondo non sono solo l’Ucraina, la Siria, lo Yemen, l’Iraq e il Congo, “ma esiste una costellazione di scontri violenti diffusi in zone considerate più marginali, in Africa Centrale, nel Sudan del Sud, nel Sud-est asiatico, in Myanmar e in Centro America.
Il Messico non è un Paese in guerra, però, negli ultimi trent’anni ha contato più di trecentomila morti ammazzati, dei quali 110 mila sono ‘desaparecidos’. Le armi? Quasi tutte made in Europe o made in Usa”.
Negli ultimi 15 anni il mondo è diventato meno pacifico.
Rachel Bronson, ceo del ‘Bulletin of Atomic Scientists’ afferma: ‘viviamo in un periodo di pericolo senza precedenti’, tanto che l’Orologio dell’Apocalisse, un orologio metaforico ideato nel 1947 dagli scienziati dell’università di Chicago per misurare il pericolo di un’ipotetica fine del mondo, è a soli 90 secondi dalla mezzanotte, ovvero dalla catastrofe.
Un countdown al quale diamo peso oggi sollecitati forse più che dall’urgenza, dalla programmazione nelle sale italiane di Oppenheimer il film diretto da Christopher Nolan, che racconta del fisico statunitense considerato il padre putativo della bomba atomica.
“Si calcola che lo scambio, anche limitato, di testate nucleari, causerebbe la distruzione di tutti i cicli naturali di produzione e recupero del cibo”, e getterebbe in carestia oltre due miliardi di persone.
Se così fosse, non sarà sufficiente muoversi sulle orme di Sara Martinsen e Maximilian Marchesani, che con le loro ricerche ci mostrano come trasformare ossa e pelli animali in materiale proteico per arredi e rami e piume di pappagallo in lampade.
Omaggi alla terra che tornano alla terra, sono testimoni della nostra incapacità di agire. Come ricorda Francesco Vignarca, citando l’Ecological Threats Report: “dieci dei dodici Paesi con il raiting più alto di minaccia ecologica hanno un conflitto con morti in corso”. Come a dire che: “senza fare pace non hai una risoluzione della crisi climatica”, chiude l’attivista ‘nonviolento’. Speriamo rischiari.