Oggi a Roma Cgil e 200 organizzazioni manifestano in difesa di lavoro, ambiente, istruzione, salute. Il coordinatore delle campagne di Rete pace e disarmo: ecco perché ci siamo anche noi pacifisti. Intervista per Avvenire.
Due cortei – alle 13 da piazza della Repubblica e dalla stazione Ostiense – decine di treni speciali, 700 pullman. Si preannuncia massiccia la partecipazione alla manifestazione per “La via maestra”, convocata oggi a Roma, a San Giovanni alle 15, da Cgil e 200 organizzazioni laiche e cattoliche, per la difesa della Costituzione. Una via che passa per il lavoro, il fisco, i giovani, la sanità, la pace. E il movimento pacifista – per la terza volta in piazza contro la guerra in Ucraina assieme al sindacato di Corso d’Italia – marcerà dietro agli striscioni di Europe for peace, la coalizione italiana di 600 realtà che ha aderito alla mobilitazione internazionale lanciata a Vienna a giugno e che dal 30 settembre ha organizzato decine di eventi nelle città italiane.
Dal palco parleranno Rosy Bindi, don Luigi Ciotti, Gustavo Zagrebelski, Giuseppe De Marzo (Rete dei numeri pari), Olga Karash (pacifista bielorussa), Gianfranco Pagliarulo (Anpi), Emiliano Manfredonia (Acli), Michela Paschetto (Europe for peace e operatrice di Emergency per gli aiuti in Ucraina), Matteo Ricci (Lega autonomie locali). E poi rappresentanti di studenti, migranti, ambientalisti, lavoratori. Concluderà Maurizio Landini. È Francesco Vignarca (Rete italiana pace e disarmo) a spiegare perché i pacifisti oggi saranno in prima fila.
La convergenza delle organizzazioni pacifiste con la Cgil ora si apre alla difesa della Costituzione. Perchè?
È un passo significativo nel percorso di questo anno e mezzo. Noi pensiamo alla pace come “pace positiva”, come affermazione dei diritti per tutti, progresso individuale e collettivo. In Italia si realizza rispettando la Costituzione, la “ricetta” per la costruzione della pace che non è assenza di guerra, ma molto altro. Proprio i costituenti, usciti dalla tragedia della Guerra mondiale, hanno puntato sul ripudio della guerra, ma anche sulla costruzione di una mappa per la pace che passa per “la via maestra” del lavoro, l’istruzione, la sanità, l’ambiente. E sulla via per una “pace positiva” si inserisce sicuramente il percorso per la pace, in Ucraina e non solo, e per il disarmo nucleare. Ma fare i pacifisti non significa occuparsi solo di spese militari.
Manifestate da un anno e mezzo ma la guerra continua. A che serve?
Noi è un anno e mezzo che ci mobilitiamo, mentre lo scacchiere internazionale ha scelto solo di alimentare il conflitto. Il permanere della guerra non è certo il frutto di un anno e mezzo di scelte pacifiste. Se all’inizio la risposta militare poteva rientrare in una emergenza, subito dopo non sono stati messi in campo – nemmeno dall’Europa purtroppo – percorsi negoziali. Gli unici a tentarlo sono la Santa Sede e alcuni paesi del Sud del mondo, penso alla proposta di Lula. L’escalation è continua, ma non si vede nulla all’orizzonte. È evidente che la diplomazia è indispensabile. Serve un “cessate il fuoco” e poi il negoziato. Capire come costruire una casa collettiva è fondamentale. Papa Francesco lo ripete continuamente.
Nella “cura della casa comune” rientra anche la battaglia per difendere la legge 185/90 sulle esportazioni di armi?
È il primo tassello, un baluardo per prevenire i conflitti. È chiaro a tutti, tranne a chi ci fa affari, che il commercio di armi alimenta le guerre. Don Tonino Bello diceva che la 185 non è una legge pacifista, perché consente il commercio di armi, ma afferma che non è un business qualunque. È una legge che ha fatto da modello alle normative internazionali. Ora, ma non da oggi, il governo chiede che si faciliti questo commercio. Ed è contraddittorio: se mandiamo le armi in Ucraina per la libertà, se sono cruciali per la democrazia, allora le produca lo Stato. Perché deve arricchirsi qualcuno? Però ora si alza la pressione per le spese militari, si punta al 2% del Pil. E nonostante una pandemia tragica, si arriva a pensare di tagliare la sanità. Chi non ha i soldi, oggi, non si cura.