Mia intervista per Avvenire: il ddl del governo sarà un favore all’industria militare che aumenterà i rischi di armare governi autoritari – Articolo di Luca Liverani
«Questa ipotesi del governo è sicuramente preoccupante, perché va a concretizzare iniziative di modifica della legge 185 del ’90, quella che regolamenta le esportazioni di sistemi d’arma, paventate da tempo». C’è preoccupazione nel movimento per la pace che da anni chiede più rigore nei controlli sulle esportazioni di armi verso paesi in contesti instabili, se non addirittura in guerra. Lo dice con chiarezza Francesco Vignarca, coordinatore delle campagne della Rete italiana per la pace il disarmo, commentando il ddl del governo che vuole modificare la legge 185 del 1990: «Ma non nella direzione che servirebbe – spiega – cioè verso un maggiore controllo e per l’allineamento con i criteri della Posizione comune europea e dell’Att, l’accordo internazionale sul commercio di armi del 2013. No, invece si vuole andare verso una maggiore liberalizzazione».
Il settore dell’industria militare – e chi nella maggioranza ne raccoglie le istanze – sostiene che serve a sostenere il comparto della difesa che sarebbe basilare per l’economia dell’Italia.
Sono motivazioni del tutto risibili. Altro che basilare, il comparto dell’industria militare in Italia ha un fatturato inferiore all’1 per cento del Pil. Non si capisce che lamentele possano formulare le industrie, che hanno sempre avuto le autorizzazioni richieste. L’unico blocco che è stato attuato, quello per i missili e bombe d’aereo per l’Arabia Saudita e gli Emirati arabi in guerra contro lo Yemen, di recente è stato interrotto.
I fautori della riforma sostengono che il 70% del fatturato delle industrie militari deriva dalle esportazioni.
Mi sembra molto strano perché, se il fatturato complessivo – come dicono loro – è di 17 miliardi, il 70 per cento equivarrebbe ad almeno una dozzina di miliardi in esportazioni, quando invece i dati della relazione al Parlamento della legge 185 ci dicono che l’export italiano di armamenti si aggira sui 3 miliardi. La verità è che si vuole solo reintrodurre questo Comitato interministeriale, che c’era all’inizio della legge 185, per evitare che ci sia qualcuno che controlla veramente l’attinenza delle richieste di autorizzazioni con i criteri della legge. Ma sbagliano.
In che cosa sbaglierebbero?
Se governo e Parlamento modificheranno la 185, dovranno inglobare nella nuova norma anche il trattato Att: quando venne ratificato, il Parlamento disse in sostanza: l’Italia non deve implementare niente, perché la nostra legge già funziona bene come chiede l’Att. A questo punto, se la 185 viene toccata, nella nuova legge non si potranno introdurre solo le modifiche sul Comitato e sulle questioni che riguardano le procedure, ma si dovranno inserire anche i criteri dell’Att. Criteri che – vale la pena di ricordarlo – sono più stringenti di quelli della 185. Ad esempio, sui diritti umani: l’Accordo internazionale stabilisce che non si possono esportare armi nei Paesi in cui c’è un rischio di violazioni dei diritti umani, non quando gli abusi vengono accertati.
Una delle motivazioni è che riformare la 185 servirebbe a velocizzare le autorizzazioni alle industrie.
Mi sembra un’altra motivazione risibile. Non c’è alcun bisogno di velocizzare le autorizzazioni, che vanno rilasciate nei termini giusti e facendo tutte le valutazioni del caso. Non è certo dalla velocità dell’iter che deriva il successo o meno dell’export militare, che comunque, lo ricordo, in questi ultimi anni sta crescendo. Oggi c’è un funzionario che sa ogni giorno quello che succede. La riforma vuole sostituirlo con un Comitato presieduto dal Presidente del consiglio. Quanto spesso si potrà riunire questo organismo? E quanto potrà essere considerata valida un’autorizzazione data un mese prima, quando magari le situazioni cambiano repentinamente? Pensiamo per esempio al Niger: se il Comitato un mese fa avesse dato semaforo verde alle esportazioni di armi, cosa sarebbe successo ora che c’è un colpo di stato? Riconvochiamo il Comitato? No, ha più senso che ci sia un’autorità nazionale a decidere proprio perché questo permette di avere una costanza e una consistenza nelle autorizzazioni.
Quindi il giudizio di Rete italiana pace e disamo è del tutto negativo?
Noi ci opporremo sicuramente a tutte le modifiche che andranno in direzione di minori controlli, minore applicazione dei criteri, minore trasparenza. Dovremmo piuttosto implementare sempre di più le prescrizioni contenute nelle norme internazionali.