Ancora una volta Di Feo e La Repubblica (dopo mesi passati a farei i “nerd” delle #armi, con esaltazione di sistemi militari visti come giochini e mai messi nel contesto) si mettono al servizio della narrazione e degli interessi del complesso militare-industriale. Perché come al solito si sposa l’idea (senza prove) che sia la “burocrazia” che ferma gli affari… e chi se ne frega se sono “armati” e con potenziali impatti negativi (già avvenuti e che preoccupano non solo noi).
Approfondire la questione e verificare le bugie dell’industria non è contemplato (anzi quasi li si loda per le balle dette) e si derubricano come secondari passaggi che sono invece cruciali, lanciando frasi di impatto senza giustificarle… Si esalta invece la “redenzione” di RWM Italia come se le vendite verso Arabia Saudita, Emirati Arabi e tanti altri “affari” problematici quasi non siano esistiti, o comunque non siano rilevanti ancora oggi (soprattutto in un contesto di conflitto continuato).
Probabilmente per qualcuno non tutti i civili bombardati sono uguali, non tutte le aggressioni sono uguali, non tutte le catastrofi umanitarie e ambientali sono uguali. Dipende dagli “affari armati” che ci facciamo… Ovviamente viene mistificata e strumentalizzata anche l’iniziativa della società civile che aveva ottenuto stop e cancellazione di alcune licenze (per bombe e missili d’aereo) ignorando la differenza di “velocità” tra il blocco e la ripresa vendite: in Yemen non c’è ancora pace…
Un articolo dunque funzionale alle pressioni dell’industria militare (e ambienti politici ad essa vicini) per una riduzione dei controlli sull’esportazione di armi: richieste sul tavolo da anni ma che ora diventeranno più pressanti, grazie anche ad un giornalismo di basso livello.
D’altronde sappiamo bene che c’è chi non si fa scrupoli a fare affari sulle morti e distruzioni che la guerra comporta (non venitemi a parlare di “baluardo della democrazia occidentale”, perché questi – e altri – ordigni di certo non li regalano o mandano a prezzo di costo). E’ solo tutto un grande circo per rafforzare un’economia di guerra (i segnali sono tanti e davvero preoccupanti, in molti si accorgeranno solo tardi delle conseguenze) che andrà sempre più a favorire i “War profiteers”, coloro che speculano sulla guerra.
D’altronde: “War is a racket”, la guerra è mafia…
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