Vladimir Putin ha annunciato di voler uscire dal Trattato New Start, fondamentale accordo che regola la non espansione degli arsenali nucleari intercontinentali. Chi in questi anni propinava l’equilibrio della deterrenza è drammaticamente smentito. L’unica speranza è puntare sul Trattato per la proibizione delle armi nucleari
Articolo per Altreconomia
L’annuncio fatto dal presidente russo Vladimir Putin all’interno del suo discorso del 20 febbraio, a poche ore dall’anniversario dell’invasione dell’Ucraina, di voler uscire dal trattato New Start (Strategic arms reduction treaty) è ovviamente preoccupante. In prospettiva, infatti, si potrebbe arrivare a eliminare l’ultimo baluardo degli accordi di disarmo nucleare che hanno preso vita dopo la fine della Guerra fredda.
Putin ha inserito questo annuncio all’interno di un lungo e retorico discorso, puntando probabilmente così a riprendersi la scena dopo la visita del presidente americano Joe Biden a Kiev. Ma se anche fosse solo un annuncio utile a irrobustire la retorica dell’invasione “dovuta”, le preoccupazioni rimarrebbero.
Il Trattato New Start, che va a scadere nel 2026, è come detto l’unico che garantisce la non espansione degli arsenali nucleari intercontinentali, quelli cioè dei missili balistici. È cruciale perché non solo è un accordo sulla carta ma perché soprattutto prevede una serie di controlli incrociati e quindi, come eredità degli accordi sottoscritti da Ronald Reagan e Michail Gorbačëv, dimostra che un effettivo disarmo nucleare è possibile con meccanismi e sistemi di monitoraggio già ben collaudati.
Nel suo discorso Putin ha inoltre paventato la possibilità di ripresa dei test nucleari se lo dovesse fare Washington. Ha ricordato che i test nucleari sono fermi da anni, soprattutto per le grandi potenze. Attenzione: con test nucleari si intende esplosione e detonazione di testate, non la prova di missili, che invece continua per tutti. La ripresa dei test sulle testate rappresenterebbe davvero una escalation gravissima e riporterebbe in primo piano anche gli impatti ambientali e umanitari di tali pratiche. Impatti che solo da poco abbiamo imparato a percepire e valutare nell’ambito dell’iniziativa umanitaria che proprio tra un mese celebrerà il suo decimo anno con un evento pubblico a Oslo. Quella stessa iniziativa umanitaria che ha portato alla firma e alla entrata in vigore del Trattato per la proibizione delle armi nucleari (Tpnw).
In questo contesto il Trattato, voluto fortemente dalla società civile coordinata dalla Campagna internazionale per l’abolizione delle armi nucleari (Ican), insignita nel 2017 del premio Nobel per la Pace proprio per il ruolo di primo piano ricoperto nel sostegno e ottenimento del Tpnw, rimane davvero l’unica minima speranza di invertire un processo che sta sempre più portando verso l’escalation nucleare.
L’intuizione di chi, come le campagne internazionali e la Croce rossa internazionale, già da anni aveva sottolineato che non saremmo stati sicuri con degli arsenali nucleari presenti al mondo si è purtroppo rivelata vera nell’ultimo anno, smentendo chi invece ancora pensa che l’equilibrio della deterrenza sia una virtù e soprattutto pensa che arsenali nucleari posti sotto il controllo di poche nazioni che hanno un determinato raggio di azione di potenza internazionale non siano problematici. L’unica strada per evitare un olocausto che cancellerebbe l’umanità dalla faccia della Terra è quella di mettersi al lavoro per un disarmo effettivo. Ed è proprio quello che il Trattato per la proibizione delle armi nucleari -non firmato e tanto meno ratificato dall’Italia- fa, non rimanendo fermo alla sola lettera dei suoi articoli, che sono comunque la prima norma internazionale di totale proibizione delle armi nucleari, ma avendo già proposto un piano d’azione a Vienna lo scorso anno con 50 punti da implementare, in occasione del primo Incontro degli Stati parti.
Già gli annunci sono pericolosi: è imperativo per tutti evitare che si passi dalle parole a qualche tipo di fatto e che si imbocchi quindi la strada devastante di un ricorso alle armi nucleari anche in contesto di guerra convenzionale o come escalation conseguente.