Intervista per Avvenire, di Luca Liverani, alla vigilia della grande manifestazione di “Europe for Peace”: attese molte decine di migliaia di persone. Francesco Vignarca: saremo in tanti per la pace
«La manifestazione per la pace di domani sarà molto più partecipata di quella che facemmo, sempre a San Giovanni, il 5 marzo, subito dopo l’invasione russa. I messaggi, i gruppi organizzati sono molti di più di allora: dieci treni speciali, ottanta pullman, più tutti quelli che arrivano autonomamente». Alla vigilia della grande mobilitazione nazionale, Francesco Vignarca non nasconde l’ottimismo di chi sa di avere costruito. Vignarca è il coordinatore delle campagne di Rete italiana pace e disarmo, uno dei motori – con Sbilanciamoci!, Aoi e Stop the war now – che hanno promosso Europe for peace, il percorso che vedrà il movimento per la pace convergere a Roma per chiedere il cessate il fuoco e il negoziato internazionale.
A San Giovanni domani quante persone vi aspettate?
Non voglio dare numeri, ma andremo sicuramente molto oltre i 50mila del 5 marzo. Ma c’è un altro dato ancora più positivo di questa grande risposta.
E qual è?
È la grande convergenza di quasi 600 realtà della società civile che hanno sottoscritto i punti della piattaforma, molto chiari e netti, che fra l’altro sono stati valorizzati dal presidente della Cei nella sua bellissima lettera ai manifestanti. Non solo un messaggio d’occasione, ma un manifesto programmatico. Tornando alla convergenza, sottolineo che anche realtà diverse – per estrazione, cultura, anche per posizioni assunte nei mesi scorsi – si sono trovate concordi su questa piattaforma: cessate il fuoco, negoziato multilaterale, disarmo nucleare. Mettere insieme su questi punti realtà che vanno dalla Fiom a Comunione e Liberazione non mi sembra cosa da poco. O la Cisl, che inizialmente era su una posizione diversa.
Cosa significa questa grande convergenza?
Che una gran parte dell’opinione pubblica è stanca di questa guerra e ha capito che bisogna andare oltre. E vuole farsi vedere. Per mesi siamo stati accusati ingiustamente, mistificati, presi in giro, bollati come putiniani. Oggi c’è la voglia di farsi sentire. Riceviamo mail di ogni tipo: “Sono una nonna con due nipoti, come faccio a venire alla manifestazione?”, o “È da tanto che non mi mobilito ma stavolta ci voglio essere perché non se ne può più di questa distruzione e di questa escalation”… C’è l’orgoglio e l’urgenza di mostrarsi in piazza su posizioni chiare. Ci saranno addirittura città , come Cagliari e altre , che sabato manifesteranno in contemporanea. Chi non può venire a Roma comunque organizzerà iniziative.
Domani 5 novembre una grande piazza della Capitale chiederà la pace su punti precisi. La politica farà finta di non vederla?
Governo e Parlamento non possono più ignorarci. C’è una coerenza e un ampliamento nelle richieste, che non è più possibile “ghettizzare” in un’area sociale o culturale. Proposte concrete, peraltro le stesse che Papa Francesco fa da mesi. Sono quelle su cui pian piano ci si inizia a muovere. Che il negoziato in qualche modo debba essere raggiunto è una posizione che anche a livello internazionale sta emergendo in queste ultime settimane. La manifestazione di domani non è un momento estemporaneo, ma viene dopo la mobilitazione delle 100 piazze dello scorso fine settimana e di tutte le campagne in corso. Il 5 novembre non è lo sforzo finale, ma la tappa di un crescendo di iniziative di pressione per la pace. Ci rivolgiamo alla Russia e all’Ucraina, ma il nostro primo interlocutore è il Parlamento e il governo italiano. Vogliamo che l’Italia si faccia promotrice di un percorso diverso dell’Europa.
Anche domani 5 novembre vi accuseranno di vivere fuori dalla realtà.
Questi mesi hanno dimostrato esattamente il contrario. Chi capisce meglio la reatà siamo noi, che con l’aiuto umanitario abbiamo visto cos’è la guerra. Lo ha detto anche il cardinale Zuppi: i i veri realisti sono i pacifisti. Possiamo discutere sull’invio di armi – io credo che abbia inciso molto di più l’intelligence occidentale – e noi siamo sempre stati contrari, ma è indiscutibile che le armi dopo otto mesi non abbiano risolto la situazione. E persiste il rischio di escalation. Serve qualcos’altro. Tutte le organizzazioni che hanno aderito chiedono che si faccia un passo ulteriore. Chi crede che l’unica strada sia quella militare, abbia il coraggio di chiedere direttamente l’invio di truppe. Se l’obiettivo è sconfiggere Putin fino alle porte del Cremlino, l’Ucraina non ce la farà mai da sola. Ci accusano di voler negoziare con Putin: ma o lo si distrugge del tutto, oppure prima o poi con la Federazione Russa si dovrà trattare. Finché il popolo russo non avrà un sussulto per riprendersi la sua libertà e la democrazia, è con quel regime che si dovrà negoziare, purtroppo.
La differenza con la II guerra mondiale è che anche Putin ha le armi nucleari.
Ci accusano di voler far massacrare gli ucraini per paura della bomba atomica. Ma è un pericolo per gli ucraini per primi, per i russi, per tutti. Che per un punto di onore non si debba scendere a nessun compromesso è pericoloso e ottuso. Il film War Games finiva col computer che dice: «Strano gioco la guerra nucleare, l‘unica mossa vincente è non giocare».