Sabato 5 novembre decine di migliaia di persone scenderanno in piazza a Roma nella manifestazione Europe For Peace. Si chiederà un immediato cessate il fuoco in Ucraina e l’avvio di una conferenza di pace aperta a tutta la comunità internazionale. Intervista per Fanpage.
Un cessate il fuoco immediato. E una grande conferenza di pace che veda il coinvolgimento non solo di Kiev e Mosca, ma di tutta la comunità internazionale, e che punti a definire nuovi equilibri che garantiscano sicurezza e giustizia a tutti.
Nessuna ambiguità. Sono queste le principali proposte della manifestazione per la pace che si terrà sabato 5 novembre a Roma e alla quale hanno aderito centinaia di movimenti e associazioni della società civile italiana, oltre ai sindacati confederali e ad alcune forze politiche.
La minaccia nucleare incombe sul mondo – si legge nella piattaforma politica -. È responsabilità e dovere degli stati e dei popoli fermare questa follia. L’umanità ed il pianeta non possono accettare che le contese si risolvano con i conflitti armati. La guerra ha conseguenze globali: è la principale causa delle crisi alimentari mondiali, ancor più disastrose in Africa e Oriente, incide sul caro-vita, sulle fasce sociali più povere e deboli, determina scelte nefaste per il clima e la vita del pianeta. La guerra ingoia tutto e blocca la speranza di un avvenire più equo e sostenibile per le generazioni future.
Se la guerra ha effetti globali, e non solo locali – è il ragionamento dei promotori – è giusto che a chiedere una tregua e l’avvio di un negoziato non siano solo le parti belligeranti ma l’intera società civile. Fanpage.it ne ha parlato con Francesco Vignarca, coordinatore delle campagne di Rete Italiana Pace e Disarmo.
Quante persone vi aspettate sabato a Roma?
L’organizzazione sta procedendo a pieno ritmo e riscontriamo una grande risposta su tutti i livelli. Le organizzazioni che hanno aderito stanno lavorando alacremente per la riuscita della giornata di sabato, ma siamo stupiti anche dalla risposta dei territori. Si stanno organizzando pullman e treni e – laddove sarà impossibile raggiungere Roma – si stanno indicendo sit-in locali. Insomma, intorno alla manifestazione di sabato 5 novembre c’è grande fermento in tutta Italia. Non esageriamo se diciamo che potrebbero scendere in piazza 100mila persone.
Qual è la piattaforma politica della manifestazione? Cosa chiederà la piazza romana?
I punti principali sono due. Tutte le organizzazioni che promuovono e aderiscono concordano sul fatto che oggi la guerra non può essere una soluzione alla crisi e che la continuazione del conflitto porterà solo distruzione, morte e il prosieguo della carneficina. Per questo c’è bisogno di far tacere le armi e ottenere un cessate il fuoco prima possibile. Subito dopo va sfruttata la tregua per aprire un negoziato di pace. Noi non siamo in grado di stabilire i punti di discussione di un dialogo tra russi e ucraini, né crediamo sia giusto dare suggerimenti. L’unica cosa che riteniamo fondamentale è che tale negoziato sia multilaterale e non veda, quindi, la sola partecipazione di Mosca e Kiev.
Per quale ragione?
I motivi sono due. Quando ci si scontra così intensamente è molto difficile che i contendenti siano in grado di trovare da soli le soluzioni, a meno che uno non riesca a sopraffare l’altro: per questo serve un negoziato aperto a tutti e multilaterale. Inoltre crediamo che questa guerra – pur avendo responsabilità specifiche facenti capo, in primis, alla decisione di Putin di invadere l’Ucraina – sia anche il sintomo di una situazione globale di disuguaglianza e disequilibrio che necessita di una grande conferenza di pace. Va delineato un nuovo sistema di sicurezza condiviso. Sabato parleremo di Ucraina, ma anche delle altre guerre in giro per il mondo: ce ne sono molte, alcune delle quali molto più sanguinose.
Quali punti dovrebbe trattare una grande conferenza di pace?
Le minacce alla sicurezza arrivano da molti fronti. La conferenza di pace dovrebbe parlare del ruolo del cambiamento climatico, delle minacce nucleari ma anche delle future pandemie. Insomma, non si dovrebbe discutere solo dell’Ucraina. A problemi globali vanno fornite risposte globali e soprattutto condivise. Il modello a cui facciamo riferimento, fatte le debite differenze, è quello di Helsinki del 1975. La discussione non va lasciata solo ai paesi belligeranti – Ucraina e Russia. Non solo la guerra, ma neppure la pace è unicamente “affar loro”.
Parliamo dell’invio di armamenti all’Ucraina. Cosa chiederà la piazza di Europe For Peace?
La Rete Pace Disarmo arriva alla manifestazione del 5 novembre con la convinzione che l’invio di armi non può essere la soluzione. Non è però su questo che verterà la giornata di sabato: indipendentemente dalle convinzioni di ciascuno vogliamo parlare del futuro. Possiamo discutere se le armi fornite a Kiev abbiano o meno permesso una migliore difesa dell’Ucraina, potremmo discutere anche del fondamentale ruolo dell’intelligence. Quello che unitariamente chiederemo per il futuro è però un cambio di prospettiva: un cessate il fuoco e una conferenza internazionale di pace, non l’alimentazione del conflitto.
Alcuni sostengono che non si possa intraprendere un dialogo con la Russia senza il ritiro delle truppe di Mosca dall’Ucraina.
Noi per primi abbiamo sempre chiesto che le truppe russe vengano ritirate dall’Ucraina e naturalmente non riconosciamo la legittimità dell’annessione degli oblast ucraini da parte di Mosca. Detto ciò, non è possibile attendere che tutto “sia sistemato” per iniziare a dialogare. Se così fosse non ci sarebbe neppure bisogno di un negoziato… Rifiutiamo l’idea che l’unica via d’uscita da questa guerra sia una vittoria militare sul campo.
Sabato hanno annunciato la loro presenza anche partiti che hanno votato favorevolmente a ogni invio di armi all’Ucraina: pensiamo ad esempio al PD e al Movimento 5 Stelle. Temete che quei partiti possano strumentalizzare la piazza?
Speriamo di no. Da parte nostra nessun problema: la piattaforma della manifestazione è chiara e spetterà a questi partiti e organizzazioni essere conseguenti con le proposte che emergeranno dalla piazza. La giornata di sabato, come detto, guarda al futuro: se dal 6 novembre in poi anziché chiedere un cessate il fuoco i partiti chiederanno l’aumento del livello dello scontro, se rifiuteranno ogni ipotesi di negoziato, sottolineeremo la loro incoerenza rispetto alla piattaforma di Europe For Peace.
Le posizioni dei pacifisti negli ultimi mesi sono state molto criticate. Qualcuno dice che avreste dovuto manifestare sotto l’ambasciata russa…
Noi non abbiamo mai manifestato sotto nessuna ambasciata specifica. Faccio notare ai nostri detrattori che c’è un problema logistico non banale nel portare 100mila persone davanti all’ambasciata russa, ed è per questo che abbiamo scelto Piazza San Giovanni. Detto ciò, noi abbiamo sempre chiesto al governo russo di fermare l’invasione e abbiamo sempre solidarizzato sia con i cittadini ucraini che con gli uomini e le donne russe che, rischiando il carcere, si sono opposti alla guerra. C’è poi un altro aspetto: il nostro obiettivo è fare pressione sulle nostre istituzioni affinché portino avanti determinate posizioni. Non credo che Putin interessino molto le proteste dei pacifisti italiani…
Qualcuno in effetti sostiene che essere pacifisti significhi essere “pro Putin”.
Questa è un’enorme mistificazione. Non si può affermare che siamo filorussi solo perché sosteniamo che gli strumenti per stare vicini all’Ucraina non possano essere quelli armati. A sostenerlo anche alcuni che hanno organizzato una “contromanifestazione” per sabato a Milano. Penso a Carlo Calenda, che continua a dire che la nostra sarà la piazza pro Putin e che vogliamo la resa dell’Ucraina. È ridicolo. Ricordo a Calenda che lui è stato ministro e che lui andava a San Pietroburgo ai forum economici a firmare accordi con il governo russo, mentre in quei giorni noi facevamo notare che l’Italia supportava la militarizzazione della Russia inviando non solo armi, ma anche altri prodotti utili all’industria bellica russa.
Si è da poco conclusa una tre giorni di approfondimento a Trento organizzata dalla Rete Pace Disarmo. Qual è l’impatto delle politiche di militarizzazione su clima ed emergenza ambientale?
Se vogliamo costruire un mondo in pace non possiamo più prescindere dal tema climatico. Se vogliamo ottenere giustizia climatica non possiamo sottovalutare l’impatto fortemente negativo dell’industria bellica e degli eserciti. Le guerre hanno conseguenze dirette anche sul clima e quello del disarmo climatico è un tema che sempre più si imporrà in futuro.