Ucraina, Medio Oriente, Africa: nell’ultimo decennio 238 mila vittime in aree abitate, pochissime militari. Mio editoriale per Famiglia Cristiana (n. 48)
Il 18 novembre, a Dublino, in Irlanda, 82 Paesi hanno ufficialmente approvato la “Dichiarazione politica sulla protezione dei civili dall’uso di armi esplosive nelle aree popolate”. Il documento era stato messo a punto nel giugno 2022 al culmine di un decennale sforzo patrocinato dalla Campagna Inew (International network on explosive weapons), di cui fanno parte anche tre organismi italiani (la Rete pace e disarmo, la Campagna contro le mine, l’Associazione vittime civili di guerra), dal Comitato internazionale della Croce Rossa, dall’Onu.
Si tratta di una presa di posizione forte anche se non vincolante, risultato di quasi tre anni di negoziati guidati dall’Irlanda, che promuove standard più severi per la protezione dei civili e impegna gli Stati firmatari ad agire per attuarla, modificando politiche e pratiche nazionali, anche militari.
Un passo importante che “risveglia” un diritto umanitario in alcuni campi già severo (ha vietato, volendo citare un esempio tra quelli possibili, le bombe a grappolo), ma troppo spesso calpestato. Negli ultimi 10 anni le vittime dell’uso di armi esplosive in città e in centri abitati sono state, in tutto il mondo, circa 238mila: nove su dieci erano civili e non militari: uomini, donne e bambini falciati da missili, bombe d’aereo, colpi di mortaio e di cannoni, ordigni telecomandati o confezionati in maniera artigianale, ma non per questo meno letali.
La Dichiarazione è il primo riconoscimento internazionale formale che questa strage debba essere affrontata in modo urgente e diretto. Non si risolvono tutti i problemi delle guerre, ma si crea consapevolezza su uno dei principali: i civili non sono “danni colleterali”, ma coloro che soffrono di più e direttamente. Da ben prima del conflitto in Ucraina, evento che forse ha reso solo più evidente la drammatica situazione che si stava già vivendo ad esempio in Yemen, Siria, Palestina e in tante parti dell’Africa.
Per questo papa Francesco aveva sottolineato, nel videomessaggio del settembre 2020 per la 75esima Assemblea generale dell’Onu, come fosse necessario «ammettere che le crisi umanitarie sono diventate lo status quo, dove i diritti alla vita, alla libertà e alla sicurezza personale non sono garantiti. Di fatto, i conflitti in tutto il mondo mostrano che l’uso di armi esplosive, soprattutto in aree popolate, ha un impatto umanitario drammatico a lungo termine». La Santa Sede ha firmato la Dichiarazione. Gli altri Paesi sottoscrittori provengono da tutte le regioni del mondo, comprendono molti produttori e utilizzatori di armi esplosive in aree popolate. Italia, Germania, Francia, Gran Bretagna, Stati Uniti e tutti i Paesi Nato tranne sei hanno aderito, mentre Cina e Russia hanno disertato l’appuntamento. L’Ucraina è intervenuta a sostegno dello spirito e dei principi della Dichiarazione, affermando che firmerà solo dopo la fine del conflitto e il recupero della piena sovranità. Quasi tutti gli Stati hanno osservato che l’approvazione rappresenta solo una pietra miliare in un lungo percorso: un nuovo punto di partenza, non di arrivo, nel rafforzamento concreto della protezione dei civili dai e nei conflitti.