Grande mobilitazione per la pace sabato 5 novembre a Roma. A scendere in piazza associazioni locali e nazionali, movimenti, sindacati. Oltre 500 sigle per chiedere il “cessate il fuoco subito” e un “negoziato per la pace”.
“Siamo in un momento cruciale che vede da una parte l’escalation della guerra convenzionale che provoca sempre più morti e dall’altra il possibile e reale rischio di una minaccia nucleare. Ancora di più oggi, ci sembra il momento giusto per dire: cessate il fuoco e avvio dei negoziati”.
Francesco Vignarca, Coordinatore delle Campagne Rete Italiana Pace e Disarmo, spiega così al Sir le motivazioni che spingono un numero sempre crescente di associazioni, organizzazioni e movimenti a scendere sabato 5 novembre in piazza per chiedere – testo della “piattaforma” QUI – all’Italia, all’Unione Europea e agli Stati membri e alle Nazioni Unite di “assumersi la responsabilità del negoziato per fermare l’escalation e raggiungere l’immediato cessate il fuoco”.
Una manifestazione nazionale organizzata da Europe for Peace, a cui aderiscono oltre 400 sigle. Alle 13 – anticipa al Sir Vignarca – partirà un corteo da piazza della Repubblica e raggiungerà piazza San Giovanni. Un corteo che servirà anche per snodare le tantissime persone che ci saranno.
Centinaia sono le adesioni di associazioni locali e nazionali, movimenti, sindacati. E altre continuano ad arrivare. Abbiamo notizie di treni e pullman che sono stati organizzati per la manifestazione.
Alle 15 dovrebbero poi iniziare gli interventi dei rappresentanti delle associazioni e organizzazioni ma ci saranno anche testimonianze, anche dal conflitto in Ucraina”.
Un impegno, quello per la pace e il disarmo nucleare, che in realtà giunge da lontano.
Ci siamo sempre occupati dei conflitti e abbiamo sempre dato voce alla volontà di costruire percorsi di pace. È la voce che sale dalle società civili, dalle città, dalle comunità, dalle famiglie. Nello specifico, poi, del conflitto in Ucraina, abbiamo promosso fin dall’inizio una serie di iniziative a partire dalla manifestazione del 26 febbraio a due giorni dall’invasione, alle carovane della pace del coordinamento Stop The War Now del 2 aprile fino alle mobilitazioni nelle piazze italiane.
Stiamo facendo né più né meno quello che chiede Papa Francesco che ci sembra davvero l’unico leader internazionale che ha continuato a dire che oltre al riconoscimento delle responsabilità, bisogna sempre dare una possibilità alla pace e a qualunque via di cessate il fuoco e negoziazione.
In realtà finora i negoziati non sono neanche partiti. Le porte non sono chiuse ma blindate. Cosa vi fa credere che la pace intesa come apertura al negoziato, in questa condizione, sia possibile?
Finché continueremo a pensare che il negoziato lo fanno in due, non arriveremo in effetti da nessuna parte. Quando ci sono conflitti in corso, se lasci i due contendenti da soli, non si riuscirà mai a trovare una mediazione che va bene ad entrambi. Chi è in una posizione di vantaggio, rifiuta qualsiasi accordo e chi sta perdendo, non accetta di riconoscere i passi indietro compiuti. L’unico modo è realizzare un tavolo negoziale multilaterale che comprenda, in questo caso specifico, non solo i rappresentanti dei governi di Kiev e di Mosca, ma tutti gli attori necessari per trovare una pace giusta. Anche per la guerra in Ucraina – al di là delle responsabilità dirette di Putin e del suo regime che l’hanno scatenata – le motivazioni di fondo arrivano da lontano e risalgono al malessere di un mondo che ha perso una sicurezza ed un equilibrio condivisi. Il problema sottostante è un nuovo ordine globale più inclusivo e aperto.
Quali sono le proposte concrete che vorreste portare a questo tavolo negoziale?
Non siamo noi a doverle dire e soprattutto dirle preventivamente perché altrimenti non c’è negoziato. Quello che dobbiamo fare come Italia, come Europa, come Comunità internazionale, è premere affinché si fermino le armi e si portino tutti gli attori politici coinvolti ad un tavolo negoziale multilaterale e allargato.
Che società civile scenderà in piazza?
Sarà una società civile molto allargata. Ci saranno realtà che in questi mesi non sempre l’hanno pensata nello stesso modo. Mi riferisco, per esempio, alla questione dell’invio delle armi in Ucraina. E ci sarà una società civile che ha lavorato in maniera diversa e su diversi fronti. C’è chi ha lavorato per sostenere la popolazione civile ucraina e chi per favorire e aiutare gli obiettori e i dissidenti russi. Nonostante queste diversità, di modo, di approccio e di ruolo, ci stiamo tutti ritrovando in maniera direi anche numericamente massiccia per dire che oggi è fondamentale smettere di parlare solo di guerra, di soluzione armata e cominciare a parlare di pace. La pace non è vittoria bellica, ma trovare una soluzione insieme. Siamo consapevoli che il percorso è difficile ma è una strada sulla quale non ci si è finora troppo impegnati.
Che speranze avete di essere ascoltati?
Il simbolo della pace deriva dalla storia di Noè che manda la Colomba oltre la tempesta. Quando finalmente torna, appare in cielo l’arcobaleno che è il simbolo di una Nuova Alleanza tra Dio e l’umanità. Ma Noè non ne ha mandato solo una di colomba. Ne ha mandato prima altre e solo dopo un po’ una di loro è tornata indietro. Questo ci fa capire che nel chiedere la pace, dobbiamo essere perseveranti. La speranza è perseveranza. È difficile, è complicato, non abbiamo la soluzione in tasca ma proviamo ad aprire percorsi che fino ad oggi non sono stati ancora provati.
Cosa è la pace?
La pace è la presenza di diritti per tutti. Non è assenza di guerra. Non è solo armistizio e tregua. Non basta fermare la guerra per costruire la pace. Una società dove non si spara ma dove ci sono pochi ricchi e tanti poveri, non è una società in pace. Occorre quindi lavorare per togliere le disuguaglianze, aiutare i più deboli, dare diritti a tutti, garantire accesso democratico. Per questo la piazza del 5 novembre sarà una piazza numerosa e allargata perché per lavorare alla pace, c’è bisogno di tutti.