MANIFESTIAMO. Ora, come richiesta urgente, crediamo sia cruciale richiamare i prossimi passi necessari per provare a costruire la pace: fermare i combattimento e negoziato aperto.
Mio articolo per il Manifesto
La marea arcobaleno della Pace si sta alzando, prendendo energia e vigore ogni giorno che passa. E non si tratta solo della percezione ottimistica di chi coordina le Reti di organizzazioni che lavorano, da sempre e quotidianamente, in questo campo. Lo testimoniano i numeri: sono tantissime le adesioni in arrivo in queste ore.
Alle iniziative di mobilitazione proposte da «Europe For Peace» per il weekend del 21 al 23 ottobre. Davvero è probabile che si arrivi a 100 città che si mobiliteranno per la pace: da Roma a Milano, da Firenze a Bari, da Palermo a Napoli, da Venezia a Bologna, da Torino a Verona… e in tantissime altri comuni grandi e piccoli. Ma lo testimonia anche il coro di voci che ha tratteggiato, nella conferenza stampa di presentazione ieri in Campidoglio, i contenuti della grande manifestazione in programma il 5 novembre a Roma. Una piazza di popolo che sia preannuncia oltre modo partecipata, forse come non se ne vedevano da anni, grazie al contributo di associazioni ed organizzazioni di diversa storia, provenienza, natura.
Ma tutte concentrate sull’obiettivo di esplicitare un «No alla guerra» fondato su strade possibili – e concrete – di pace. A partire da un cessate il fuoco ormai necessario e non rimandabile che faccia da precondizione per negoziati seri all’interno di una Conferenza internazionale di pace. Solo un dialogo multilaterale potrà garantire una via di uscita ad una situazione non solo drammatica per le popolazioni civili sotto i bombardamenti (che sono «la parte» a fianco della quale si schierano da sempre i movimenti pacifisti) ma anche preoccupante per il rischio di escalation nucleare. Tutte le organizzazioni (la lista è impressionante e in continua crescita…) che convergono sul testo di convocazione della manifestazione del 5 novembre sono convinte che questi siano i due punti cruciali e da affrontare immediatamente.
Ed è su questo che vogliono lavorare congiuntamente, anche superando alcune differenze di valutazione o di proposte avanzate negli ultimi mesi. Differenze che non si possono certo ignorare ma che al momento, a mio parere, devono essere superate proprio perché la situazione è ogni giorno sempre più insostenibile e servono vie di uscita, non discussioni filosofiche. Un caso su tutti: l’invio delle armi occidentali a sostegno della resistenza militare ucraina. La Rete Italiana Pace e Disarmo ha sempre avuto una posizione critica in tal senso (per vari motivi e sulla base del lavoro fatto in questi ultimi anni, non solo quindi per posizione «ideale»).
Abbiamo ripetuto la nostra richiesta di stop in questi ultimi mesi e non a caso un passaggio sulle «armi che non possono portare pace» è presente nella convocazione delle manifestazioni del 21/23 ottobre proprio per richiamare questo aspetto, così come vengono ripetute le richieste di disarmo strutturale. Ma ora, come richiesta urgente, crediamo sia cruciale richiamare i prossimi passi necessari per provare a costruire la pace: fermare i combattimento e negoziato aperto. Concentrarsi quindi insieme su soluzioni nonviolente condivise aumentandone il sostegno e spingendo la politica a considerarli, al posto di continuare dibattiti e polemiche.
Ma il lavoro dei movimenti pacifisti nonviolenti non si può misurare solo sugli eventi di piazza, che devono essere la punta visibile di un percorso quotidiano di proposte serie e in grado di fornire prospettive concrete soprattutto, alla politica e alle istituzioni. Sono belli i luoghi in cui si possono trovare i pacifisti ed è lì che non guardano quasi tutti i commentatori. Lo ha ricordato al meglio Giulio Marcon, intervenendo in conferenza stampa a nome di «Europe For Peace» e di Sbilanciamoci!, con le parole scritte dal beato Tonino Bello ormai trent’anni fa: «Voi lo sapete dove sono andati a finire i pacifisti. Li troverete negli innumerevoli laboratori d’analisi in cui si smaschera la radice ultima di ogni guerra e quella ultimissima del suo archetipo di sangue: il potere del denaro. Li troverete nei luoghi dove si formano le nuove generazioni a compitare le letture sovversive della pace, facendo loro capire che i cannoni non tuonano mai amore di patria, ma sillabano sempre in lettere di piombo la suprema ragione dell’oro. . . Li troverete là dove, scoprendo tutta l’impostura dell’antico mito della città che si fonda sul sangue, si mostra, invece, che è possibile fondarla sulla solidarietà (….). Li troverete là dove si svelano le intime connessioni tra i signori della guerra, élites di potere e faccendieri della grande finanza, che già stringono tra loro lucrosi patti sui nuovi conflitti».
Sembrano concetti scritti ieri, il che dimostra che le forze e le dinamiche che cercano di chiudere qualsiasi prospettiva di pace in una scatola di rapporti di forza, militari ed economici, continuano essere ben vigorose. Dimostrando che solo una montante marea arcobaleno di pace, che renda esplicita la posizione chiara dei popoli e delle comunità, ci saprà mostrare una strada nuova. Davvero necessaria.