È realistica una resistenza nonviolenta alle stragi di Putin? Come si può parlare di “neutralità attiva” rispetto alla guerra in Ucraina? È vero che la Costituzione ammette una guerra difensiva?
Ne parliamo con il coordinatore campagne della Rete italiana pace e disarmo, Francesco Vignarca, intervistato da Pierluigi Mele (per Left).
In questi quasi due mesi di guerra, nel dibattito pubblico italiano sono emerse tante contraddizioni e spaccature. In alcuni partiti il conflitto in Ucraina ha portato anche fratture importanti specie nell’area della sinistra. Ne parliamo con Francesco Vignarca, coordinatore nazionale della Rete italiana pace e disarmo, il network italiano di associazioni, ong, sindacati e movimenti che ha organizzato il corteo nazionale per la fine della guerra dello scorso 5 marzo a Roma.
Prima di tutto le chiedo un giudizio sull’andamento di questa guerra. In queste settimane sono stati fatti vari tentativi di negoziato, anche con la mediazione della Turchia. Possibili spiragli per la pace?
Noi speriamo sempre che ci siano spiragli di natura diplomatica, perché crediamo che solo in questo modo si possa prima far cessare il fuoco e poi provare ad arrivare a una pace duratura, che sono due cose diverse e devono essere ben collegate. Al momento non abbiamo ancora elementi per capire se i vari colloqui in corso arriveranno ad essere coronati da successo. In generale quello che pensiamo noi è che una vera mediazione possa essere fatta solo in maniera multilaterale: non crediamo infatti che un singolo mediatore possa avere successo in quanto ciascuno ha le proprie fragilità e può essere non accettato da una delle controparti. Noi pensiamo che solo un tavolo che veda tutte le grandi potenze e anche le istituzioni internazionali presenti, oltre ovviamente a Ucraina e Russia, potrà avere un reale successo.
Veniamo ai punti divisivi. Il primo è quello dell’invio di armi da parte dei governi Ue all’Ucraina. Invio che ha consentito di resistere alla aggressione russa. La vostra proposta è stata la «neutralità attiva». Una proposta che vi ha, al di là delle vostre intenzioni, attirato forti critiche. Come si può esercitare una «neutralità attiva» o «nonviolenza attiva», di fronte a Putin che fa stragi di civili?
Va precisato che la nostra proposta di neutralità attiva era stata elaborata ben prima dell’inizio del conflitto in Ucraina e si rifà a una lunga tradizione di molti politici soprattutto socialdemocratici, pensiamo ad esempio allo svedese Olof Palme. Diversamente dalla maniera strumentale e mistificatoria in cui è stata dipinta, “neutralità attiva” non significa stare lontani dal conflitto e cercare di evitare qualsiasi coinvolgimento, ma al contrario mette al centro la parte che ci siamo sempre scelti: quella dei civili e degli oppressi che in ogni guerra sono le principali vittime.
L’altro mito da sfatare è che l’intervento nonviolento sia solo un insieme di belle parole ideali che nella realtà non funzionano.
Difatti è esattamente il contrario, come hanno dimostrato gli esempi delle guerre negli ultimi anni proprio il flusso di armamenti fa aumentare il livello del conflitto e gli impatti negativi sulle popolazioni civili. La nostra proposta, che ovviamente è una pista di lavoro e non una bacchetta magica soprattutto perché negli ultimi anni non ci sono state date le risorse per organizzare ad esempio i corpi civili di pace, si basa quindi su un realismo che mette al centro l’idea del disarmo umanitario. L’abbiamo riassunta in tre parole: soccorrere, cioè stare vicini alla popolazione civile chiedendo corridoi umanitari, disarmare, perché solo in quel modo si può pensare di arrivare a una soluzione condivisa, e infine negoziare.
C’è chi sostiene che inviando più armi si garantisce più sicurezza ai civili. Che ne pensa?
Penso che accada proprio il contrario esponendoli a maggiori pericoli. E in un certo senso mi sembra che sia stata una scelta utile soprattutto a pulire la coscienza di chi magari in questi anni ha fatto affari con Putin o lo ha considerato una controparte credibile. È molto strano che gran parte della stampa abbia voluto fare le pulci al movimento pacifista, che peraltro non è mai stato ascoltato nelle sue richieste in questi anni, dimenticando tutte le connessioni politiche ed economiche che hanno rafforzato Putin anche dopo la sua invasione della Crimea del 2014.
Cosa andrebbe fatto?
Certamente la scelta è lacerante, perché vediamo tutti gli attacchi sui civili e tutti vorremmo riuscire a fermarli. Però per farlo sul serio dobbiamo tenere in considerazione quelle che sono le dinamiche reali dei conflitti e gli elementi che li fermano davvero, non solo in teoria. C’è poi tutto il tema di quali siano i gruppi che hanno ricevuto le armi occidentali
e quale ruolo potranno avere non solo nel conflitto ma anche dopo.
In sintesi, resistere è giusto ma bisogna scegliere gli strumenti giusti. E gli approcci di resistenza nonviolenta si sono sempre dimostrati molto più efficaci, nonostante le difficoltà… Praticare resistenza nonviolenta non significa che non ci sarà violenza, perché l’altra parte sta usando la violenza. Ma non è ingenuo cercare modi nonviolenti per terminare una guerra, è ingenuo pensare che le armi possano risolvere i conflitti. In una situazione come questa, con tanta sofferenza e un’escalation incombente, dobbiamo e possiamo fare di più.
Un altro punto è quello dell’articolo 11 della nostra Costituzione, che inizia così: «L’Italia ripudia la guerra». Secondo alcuni la vostra lettura del dettato costituzionale è apparsa ideologica.
Non capisco perché occorra sempre accusare di letture ideologiche chiunque cerchi di allineare decisioni proposte a ragionamenti alti e a norme che sono state scritte proprio per guidarci nei momenti di maggiore emergenza. Come se ragionare sulle idee fosse così un problema. L’articolo 11 della Costituzione è stato scritto, come tutti gli altri, da coloro che avevano guardato negli occhi la guerra e avevano capito che bisogna fare ogni sforzo fino in fondo per evitarla e non considerarla come una facile scappatoia quando le situazioni si complicano. L’articolo 11 è chiaro: la guerra non può essere una soluzione e quindi va proprio messa al di fuori dal novero delle idee e delle proposte, da qui l’utilizzo di un verbo forte come “ripudiare”.
I detrattori della Rete pace e disarmo dicono anche che l’articolo 11 non esclude la guerra difensiva.
In realtà acconsente a limitazioni di sovranità decise in ambito internazionale, nel quadro dello statuto delle Nazioni unite che prevederebbe anche una forma di polizia internazionale poi mai attuata. Guerra è un concetto completamente diverso dalla limitazione di sovranità decisa congiuntamente nell’ambito della comunità internazionale. E a maggior ragione una cosa del genere non può essere giustapposta all’invio di armamenti che è una forma un po’ ambigua di voler sostenere un popolo senza nemmeno avere il coraggio di un intervento diretto. Ci sono sicuramente altri strumenti che permettono di evitare i conflitti, risolverli, proteggere la popolazione civile.
Ma devono essere preparati per tempo…
Esatto. Chiedere che movimento nonviolento e pacifista abbia pronta una soluzione senza aver avuto la possibilità di costruire tali strumenti, e con politiche degli ultimi anni andati nella direzione opposta delle nostre proposte, lo ritengo alquanto scorretto. Ma questo non ci esime dal provare a metterci in gioco e a continuare nella nostra azione concreta di
protezione delle persone, la parte che ci siamo scelti e che scegliamo sempre in ogni guerra anche quelle ignorate. Non a caso nei giorni scorsi una iniziativa nonviolenta di pace organizzata e promossa anche dalla Rete italiana pace e disarmo si è recata a Leopoli, in Ucraina.
Spesso viene citato Alex Langer a sostegno delle tesi pacifiste. Ma si dimentica che Langer, in un contesto diverso da questo, invocò un intervento militare per rompere l’assedio di Sarajevo. Perché il movimento pacifista non assume, come fece Langer, un principio di “realtà” che renderebbe più efficace la sua battaglia contro la logica della guerra?
Come già detto in precedenza ritengo assolutamente fuorviante e non corretto ritenere che la soluzione armata sia quella realistica e concreta, mettendo invece nel campo dei sogni le iniziative nonviolente. La storia ha dimostrato invece il contrario, anche se oggi tutti si dimenticano dello Yemen, della Libia, dell’Afghanistan, della Siria. Quando mai una guerra, un intervento militare ha portato a un miglioramento della situazione? Peraltro, mi spiace dirlo, ma anche il riferimento alle proposte di Alex Langer è sbagliato: lui non ha mai proposto un intervento militare, ma una forza internazionale che potesse far rispettare il diritto e le proposte delle Nazioni unite.
Possiamo approfondire questo punto?
C’è differenza tra forza e violenza e c’è differenza tra un intervento armato al fianco di una delle parti e un dispiegamento che comprenda anche delle truppe. Langer si lacerò proprio vedendo i massacri in Bosnia e quindi ammise anche la possibilità di invio di truppe italiane, ma in un quadro in un contesto completamente diverso da quello che viene evocato oggi per l’Ucraina. E sempre ricordando che si trattava di una possibile soluzione di emergenza in mancanza di quei corpi civili di pace che aveva sempre invocato. Lo si capisce bene rileggendo le parole di Langer in cui lui fa sempre riferimento al diritto internazionale, non alla guerra, con in mente un’unica soluzione possibile di natura politica: «Bisogna che l’Onu invii un cospicuo contingente supplementare chiedendo, se del caso, l’aiuto della Nato e della Ueo (l’Unione europea occidentale, ndr) ed assegni un nuovo e chiaro mandato ai caschi blu. Quello di ristabilire, con l’uso dei mezzi necessari, quel minimo di rispetto dell’ordine internazionale che consenta di cercare una soluzione politica al dramma della distruzione della convivenza e della democrazia». Il tutto a partire da una chiara pre-condizione.
Vale a dire?
Langer diceva: «Scoraggiare decisamente l’aggressione, dimostrare che le Nazioni unite non possono essere dileggiate, provare che esiste un’alternativa alla disperata richiesta dei bosniaci di avere armi sufficienti per difendersi da sé». Ecco queste ultime parole dicono qualcosa di chiaro anche in riferimento alla finta ma facile soluzione dell’invio di armamenti agli aggrediti… Alex Langer poi certamente ammetteva la possibilità di un invio di truppe anche italiane, ma solo nel caso di «una richiesta di uomini e mezzi che venisse dalle Nazioni unite». Tutto questo mi convince ogni giorno di più che l’unico modo per essere efficaci contro la logica della guerra sia quello di non accettarla mai, ma di percorrere strade alternative e nonviolente.
A causa della guerra si sta assistendo in Europa ad una volontà di aumento delle spese militari. È giustificato secondo lei?
No, proprio perché gli ultimi vent’anni in cui abbiamo assistito ad un aumento della spesa militare mondiale del 90% hanno dimostrato che questa non è certamente la condizione per costruire la pace. Continuare a spendere più soldi per eserciti e armamenti sottrarrà solo risorse alle necessità vere delle popolazioni mondiali e ai percorsi che potrebbero ridurre disuguaglianze e, portando maggiore benessere a tutti, attutire le cause che stanno alla base dei conflitti che poi diventano guerre. Fatemi poi dire che, come dimostrato dai numeri, già il mondo stava sperimentando dinamiche di riarmo, quindi la drammatica e sanguinosa guerra in Ucraina viene ora utilizzata solo come ennesima giustificazione a scelte deleterie. Ne trarranno vantaggio solo quei decisori politici che così potranno cercare di confermare la vicinanza ad una linea di dominio euro-atlantica, e ovviamente tutto il complesso militare industriale che già sta sperimentando una crescita delle proprie azioni in borsa e si frega le mani con i contratti miliardari che potrà sottoscrivere nei prossimi anni.
Qual è la vostra posizione sulla Nato?
Non facciamo dell’Alleanza atlantica un feticcio contro cui combattere, anche perché dal nostro punto di vista la militarizzazione è sbagliata in qualsiasi Paese. In questo senso rigettiamo anche le accuse di essere antiamericani. Sicuramente dopo la fine della guerra fredda l’umanità ha perso l’occasione di trasformare molte delle proprie alleanze militari in alleanze civili di cooperazione che potessero portare maggiore benessere ai popoli di tutto il mondo. In questo senso noi crediamo che, in particolare a partire dall’Europa, si dovrebbero e potrebbero pensare forme diverse di cooperazione e alleanza civile che portino a una situazione di sicurezza condivisa con un equilibrio stabile e non uno instabile pronto a sgretolarsi ogni qualvolta ci siano decisioni insensate verso la guerra.
È realistica la minaccia nucleare?
Purtroppo sì, e la situazione derivante dall’invasione russa dell’Ucraina dimostra che non è più possibile nemmeno teorizzare la deterrenza. Quello che oggi Putin sta facendo è utilizzare il grimaldello della sua grande potenza nucleare come uno strumento di minaccia che lo rende in un certo senso intoccabile. Come ha detto giustamente Beatrice Fihn, la direttrice della Campagna internazionale per l’abolizione delle armi nucleari (Ican), è come se Putin e la Russia avessero una gigantesca cintura esplosiva e fossero pronti a farla detonare se qualcuno cerca di fermarli. Non possiamo più permetterci di avere il futuro dell’uma- nità minacciato dagli armamenti nucleari, che peraltro spostano ingenti risorse che si dovrebbero utilizzare contro la vera minaccia del cambiamento climatico. Ricordiamoci poi che la gestione degli arsenali nucle- ari presuppone procedure e controlli molto attenti per evitare il rischio di escalation non volute. Per questo dobbiamo assolutamente liberarci da tutte le testate nucleari e da questa enorme spada di Damocle sopra le teste del mondo intero.