L’Europa non interviene in Ucraina, ma invia armi al conflitto: Francesco Vignarca di Rete Pace e Disarmo spiega le falle di questa politica
Di Alessio Lerda e Giacomo Rosso per Riforma
L’organizzazione pacifista Rete Pace e Disarmo ha invitato cittadini e associazioni a prendere parte ad una manifestazione di piazza il 5 marzo, a Roma, per spingere l’Italia e gli altri governi a mantenere un approccio più pacifico rispetto al conflitto in corso in Ucraina. Su Cominciamo Bene, trasmissione mattutina di RBE, abbiamo intervistato Francesco Vignarca, coordinatore delle campagne della rete.
Siamo partiti da un comunicato pubblicato sullo stesso sito dell’organizzazione, dove si fa appello alla “neutralità attiva”. «È un concetto già elaborato in passato da movimenti pacifisti» ci ha spiegato Vignarca. «C’è sempre la tendenza a mettersi di qua o di là, ma noi crediamo che per avere una trasformazione non violenta, e abbracciare la complessità, è necessario il discorso di neutralità. Non dobbiamo essere né con Putin né con la Nato. Certo, ci sono responsabilità differenti» chiarisce «ma non vogliamo essere parte di un gioco di schieramenti. Siamo dalla parte dei civili e delle persone. Però vogliamo essere attivi, vogliamo fare in modo che le situazioni di conflitto vengano gestite diversamente, a partire dal supporto alla cittadinanza».
In questo momento la Nato e i paesi vicini non stanno considerando l’idea di intervenire militarmente in Ucraina, ma sia l’Italia che l’Unione Europea hanno approvato misure straordinarie per la fornitura di armi al governo di Zelensky. Non esattamente un gesto votato alla pace. «È un passo verso la belligeranza» concorda Vignarca. «Non possiamo far finta che non sia considerato così [dalla Russia]. Non basta la retorica delle parole: questo è come gettare benzina sul fuoco. Sembra che i politici abbiano la memoria del pesce rosso» aggiunge poi, allargando il discorso: fa riferimento al caso recentissimo dell’Afghanistan, paese a cui abbiamo recapitato molte armi, oltre ad avere avuto un contingente attivo per due decenni. Come sappiamo, il risultato non è certo stato quello della pacificazione. «Io vedo in questa mossa anche un modo per scaricarsi la coscienza» dice ancora, tornando al caso attuale. Ma «siamo in una situazione drammatica che non si può risolvere con “la bacchetta magica”», come invece forse viene interpretata la decisione da parte dei vertici politici italiani.
Un aspetto poco chiaro del decreto con cui si stabilisce l’invio di armi (deciso dal governo e votato rapidamente dal Parlamento) è che il testo è secretato: non è stato reso noto cosa verrà inviato in Ucraina. «Solo l’Italia ha deciso di secretare la tipologia di armi che saranno inviate. Gli altri paesi europei no» spiega Vignarca, che però poi allarga ancora l’ambito del discorso: «Dal punto di vista di Putin non è importante quale sarà la tipologia di armi inviate, ma è la stessa consegna di materiale bellico a far cambiare gli atteggiamenti». In tutto questo, si percepisce anche il forte rimbalzo verso l’industria bellica: gli interessi privati dei produttori vengono alimentati da queste decisioni politiche. Vignarca nota anche un altro paradosso: «In queste ore si stanno moltiplicando raccolte fondi e di cibarie e vestiti da consegnare alla popolazione, oltre all’organizzazione della gestione dei profughi. Le armi vengono invece pagate dagli stati e dalle istituzioni. Se davvero è come ce lo dipingono, come una “lotta al male”, perché le aziende produttrici non le regalano? La secretazione serve solo a coprire interessi privati» suggerisce ancora.
Tra le notizie di questi giorni, poi, c’è anche la spinta verso un aumento generalizzato delle spese belliche, anche al di là del caso ucraino. La Germania ha annunciato uno storico aumento degli investimenti militari, mentre il ministro della Difesa Lorenzo Guerini chiede di farlo anche in Italia. «Mi sembra che chi è fautore delle spese militari stia approfittando di questa situazione, della drammatica crisi in Ucraina, per spingere una tendenza che c’era già. Dal 2001 in poi la spesa militare mondiale è aumentata del 90%, spinta da crisi nel medio oriente e nel sudest asiatico. Questa grossa crescita di spese militari non ci ha portati a maggiore sicurezza, come invece dice la narrazione di oggi». Perfino durante la pandemia, fa notare, sono aumentate le spese militari. Ma «queste decisioni, quelle di oggi, sono di un altro livello. L’idea tedesca è di arrivare a 100 miliardi di euro all’anno. Ma servono davvero le spese militari per aumentare la sicurezza? Secondo noi no. Già oggi la Nato spende 18 volte in più della Russia. Se abbiamo bisogno di ancora più soldi è perché le spese militari sono insufficienti» ragiona lapidariamente. Gli appelli delle reti pacifiste in questo senso sono di lunghissima data, ma ora i loro argomenti vengono trattati con ironia. «Ci dicono: “diteci voi cosa fare”. Ma la pace si costruisce giorno per giorno» spiega con amarezza, respingendo ancora l’ipotesi che possa esserci una soluzione drastica che risolva in un colpo solo la situazione.
Ecco quindi perché bisogna portare con forza questi argomenti in piazza. «Pensiamo che l’azione per la pace sia quotidiana. Le manifestazioni da sole non bastano, ma servono per dire cosa pensiamo e per mostrare alla politica che c’è un’idea diversa. Non è vero che la maggior parte degli italiani è a favore dell’invio di armi». Un sondaggio di Ipsos mostra infatti che solo il 19% dei cittadini è a favore del rifornimento di armi. Per questo, dice Vignarca, «abbiamo deciso di dare appuntamento a tutte e tutti chiedendo solo di portare le proprie istanze. Ci troviamo alle 13.30 in piazza della Repubblica per andare fino al Laterano, per portare interventi e testimonianze. Stiamo dicendo oggi “no” alla guerra in Ucraina, ma anche alle molte altre guerre. Avremo testimonianze anche dalla Libia, Siria, Afghanistan… Diciamo “no” a tutte le guerre».