Solo nel 2021 sono stati spesi circa 7 miliardi di euro nell’acquisto di armamenti militari e altri ne verranno spesi per finanziare i programmi illustrati dal ministro Lorenzo Guerini che ha parlato di interesse nazionale e di settore strategico. Ma di prioritario per il paese ci sarebbe ben poco secondo la Rete italiana Pace e Disarmo: “Ciò che serve davvero per difendere le persone è la sanità, non certo avere un cacciabombardiere in più”, ha detto a Fanpage.it Francesco Vignarca.
Difesa, ma non solo. A guardare le spese del governo, gli acquisti militari dicono che si investe sempre di più in armamenti militari. “Questo governo sta portando avanti un’agenda molto chiara, avviata da governi precedenti”, sono parole di preoccupazione quelle che raccogliamo da Francesco Vignarca di Rete italiana Pace e Disarmo. “Nel 2021 l’Italia ha superato i 7 miliardi di spesa per l’acquisto di nuovi armamenti – dice Vignarca a Fanpage.it – È la prima volta che si supera questa somma”. Dal canto suo, il ministro Lorenzo Guerini, che ieri ha presentato alle Commissioni Difesa di Camera e Senato il nuovo documento programmatico pluriennale 2021-2023, ha parlato di interesse nazionale e di un settore strategico nell’illustrare gli investimenti in programma nella Difesa. Il documento prevede 85 programmi da avviare nei prossimi tre anni di cui sette sono definiti “strategici” come il sistema aereo Tempest, il radar per sistemi missilistici o il nuovo cacciatorpediniere per la Marina militare. Il punto è che “ogni volta che si millanta l’interesse nazionale – la replica di Rete italiana Pace e disarmo – non si spiega quale sia questo interesse e quale sia questo ruolo strategico”. Serve chiarezza insomma, ma soprattutto è necessario “che queste cose vengano discusse – la richiesta di Rete italiana Pace e Disarmo – non solo in un confronto tra Difesa e Industria militare, ma anche con i dati e le considerazioni che noi proponiamo”.
L’Italia spende più soldi in sistemi militari
Lo stesso Mario Draghi, in occasione della conferenza stampa di presentazione della Nadef, aveva detto che “bisognerà spendere di più in difesa” perché “le coperture internazionali di cui eravamo certi si sono mostrate meno interessate a svolgere questa funzione”. Parole non di poco conto e in linea con le scelte fatte dal Ministero: “Quella dichiarazione – osserva Francesco Vignarca – indica che c’è davvero un cambio di passo”. Un cambio di passo che però “non è avvenuto di colpo, ma è stato ereditato ed è preoccupante”, avverte Francesco Vignarca. Ci sono due aspetti che mantengono alta l’attenzione di Rete italiana Pace e Disarmo. Uno è di natura quantitativa ed è legato alla maggiore spesa del governo in acquisti militari. L’altro, invece, è di natura qualitativa: “Non solo ci sono molti più soldi a disposizione – spiega Vignarca – ma li stanno usando per l’acquisto di sistemi d’arma in quantità spropositata. Basta vedere il progetto per 600 nuovi blindati, oppure il sistema di armamento dei droni”. Insomma, acquisti che più che alla difesa fanno pensare all’attacco: “Il punto allora è capire in quale quadro giuridico si collocano queste scelte, perché l’Italia non ha un quadro giuridico per un attacco”, il commento di Vignarca.
Perché l’industria militare non è strategica
“Le ultime esperienze internazionali hanno mostrato che ci dobbiamo dotare di una difesa più significativa”, aveva detto Draghi riferendosi alla situazione in Afghanistan e più in generale al tema della sicurezza internazionale. La particolare “situazione geopolitica” è stata menzionata anche dal ministro Guerini che ha rimarcato la centralità della Difesa e l’importanza non solo di un sostegno diretto all’industria nazionale, ma anche alle esportazioni. La domanda è in che modo tutto ciò possa dirsi strategico e prioritario per il Paese. “Nessuno ha detto perché l’industria militare dovrebbe essere un interesse nazionale, tanto da continuare a sostenerla in questa maniera”, le parole di Vignarca. “Non si capisce – aggiunge – perché il Ministero della Difesa dovrebbe spingere un’industria che non è per nulla strategica”. Non lo sarebbe dal punto di vista economico perché “il fatturato dell’industria militare è meno dell1% del Pil nazionale, l’export militare rappresenta circa lo 0,6% delle esportazioni e dal punto di vista della forza lavoro siamo allo 0,4%”. Al contrario, invece, “ci sono aree industriali ed economiche del nostro Paese molto più importanti dell’industria nazionale della Difesa, ma molto meno sostenute di quella militare”. E in tutto questo, “ciò che serve davvero per difendere le persone è la sanità, non certo avere un cacciabombardiere in più”.