Dietro al conflitto infinito in Afghanistan, spiega a Famiglia Cristiana Francesco Vignarca, della Rete Italiana Pace e Disarmo, il boom in borsa e i profitti saliti alle stelle per le aziende militari.
In 20 anni di “guerra al terrore”, cioè di guerra all’ Afghanistan con la conseguente invasione avvenuta nell’ ottobre del 2001, gli Stati Uniti hanno sostenuto spese per un trilione di dollari, ovvero mille miliardi di dollari, secondo l’ intelligence di Washington. Dopo il ritiro delle truppe e la veloce riconquista talebana, è stato evidente il fallimento della missione militare americana, come lo spreco finanziario Usa e dei Paesi della Nato che hanno appoggiato l’ intervento.
Tra l’ ottobre del 2001 e il settembre del 2019 il Pentagono ha calcolato per la precisione che le spese militari nel Paese mediorientale avevano raggiunto i 778 miliardi di dollari. Nel Vietnam tra il 1965 e il 1974 ne furono spesi 138,9 (senza calcolare l’ inflazione). Todd Harrison, esperto del Center for Strategic and Budgetary Assessments, ha stimato che il costo annuale per ogni soldato impiegato nella guerra in Afghanistan sia stato pari a 1,1 milioni di dollari contro i 67mila dollari all’anno della Seconda Guerra Mondiale e i 132mila dollari all’anno della Guerra in Vietnam.
Riguardo all’ Italia, uno studio dell’ Osservatorio sulle spese militari, Milex, nei 20 anni complessivi di presenza italiana in Afghanistan, sono stati spesi 8,7 miliardi di euro dei quali 840 milioni relativi a contributi diretti alle Forze armate afghane. Un finanziamento
“C’ è chi dal ventennale conflitto ne esce vincitore: l’ industria bellica che in questi lustri ha tratto enormi profitti e fatto letteralmente lievitare i titoli in borsa delle azioni grazie alla nascita di un nuovo ‘paradigma’ politico-affaristico, per la prima volta applicato in Afghanistan”, spiega Francesco Vignarca, Coordinatore delle Campagne nella neonata Rete Italiana Pace e Disarmo.
Partiamo, anzitutto, ai numeri: “Secondo l’ agenzia informativa The Intercept – dice – l’ acquisto di 10mila dollari in azioni equamente divise tra i principali fornitori militari del governo Usa (Boeing, Raytheon, Lockheed Martin, Northrop Grumman e General Dynamics) effettuato il 18 settembre 2001 – giorno dell’ autorizzazione di George W. Bush all’ intervento militare in risposta agli attacchi terroristici dell’ 11 settembre – varrebbe oggi, con utili reinvestiti, oltre 97mila dollari”. Si tratta di un rendimento dell’ 872%, ben superiore a quello realizzato nello stesso periodo dalle aziende del listino Standard & Poor’ s 500 che si ferma al 516% (dai 10mila dollari iniziali se ne sarebbero ricavati “solo” 61mila). Un’ azione Lochkeed Martin (famosa in Italia per la produzione degli F-35) è passata da 44,6 a 356,6 dollari; una di Raytheon (la compagnia che inserisce le guide laser sulle bombe MK prodotte in Sardegna e poi usate dai sauditi in Yemen) valeva 30,8 dollari nel 2001 ed è ora quotata a 85,4. Stesso discorso per Northrop Grumman (da 42,8 a 363,16) e General Dynamics (da 41,2 a 196,8).
La già citata Lockheed Martin garantiva un dividendo di 0,44 dollari ad azione nel 2001, mentre l’ anno scorso ne ha distribuiti 9,80 (massimo storico). Raytheon è passata da 56 centesimi all’ anno a oltre due dollari, mentre Northrop Grumman da 72 centesimi a ben 5,67 dollari all’ anno per azione. Tutto questo grazie proprio al «fatturato sicuro» garantito anche dal conflitto in Afghanistan.
“L’ Afghanistan – osserva Vignarca – va ricordato giustamente per l’ inizio dell’ escalation delle spese militari, ma non dimentichiamoci tutte le guerre infinite in giro per il mondo che dall’ Afghanistan in poi sono scoppiate e che hanno alimentato l’ industria bellica, ben oltre questo conflitto. Il decennio precedente, cioè gli Anni ’ 90, era stato caratterizzato da un altro paradigma: quello dei “dividendi di pace”. Dopo 40 anni di Guerra Fredda, cade il Muro di Berlino e calano le spese militari. Sembra che si vada verso un mondo più cooperativo e meno conflittuale. Poi arrivano i primi interventi di guerra umanitaria (Guerra nel Golfo, Serbia, Somalia). Ma il paradigma cambia con lo shock delle Torri Gemelle. E’ proprio il conflitto in Afghanistan (il più lungo della storia degli Usa e dell’ Italia) a far entrare in scena il nuovo mantra politico dell“l’ infinita guerra al terrorismo”, necessaria per essere sicuri. La ‘guerra al terrorismo’ ha fornito agli Stati di tutto il mondo e alle lobby transnazionali degli armamenti il pretesto per dedicare sempre più risorse a truppe e armi. E questo sta alla base della poderosa crescita delle spese militari mondiali da allora ad oggi”. Una crescita, come attestano i dati del Sipri di Stoccolma, che porta quasi a un raddoppio tra il 2001 e il 2020 (da 1.044 a 1.960 miliardi di dollari a valori costanti comparabili) con un trend in continuo aumento.
“Il fatturato militare delle prime quindici aziende del settore registra un aumento complessivo del 30% tra il 2002 e il 2018 (ultimo dato disponibile): da 199 a 256 miliardi di dollari. In questo senso anche le aziende non statunitensi sono riuscite a seguire la scia, aumentando di molto i propri ricavi armati: la britannica Bae Systems è passata da 18,2 a 21,2 miliardi di dollari, l’ italiana Leonardo è passata da 6 a 9,8 miliardi di dollari”.
Inoltre, spiega ancora Vignarca, il conflitto afghano ha permesso di sdoganare anche l’ utilizzo delle compagnie private, i cosiddetti contractors, non solo di natura militare, ma anche con funzioni logistiche e di ricostruzione. Il tutto in un sistema impostato in modo da permettere ai cosiddetti contractors di approfittare a piacimento del Pentagono, che spesso firmava i cosiddetti accordi ‘costo zero’: qualunque fosse l’ ammontare per un progetto presentato, il governo Usa avrebbe pagato. E’ chiaro che hanno lucrato in maniera enorme. E non è un caso se in Afghanistan sono morti più dipendenti di queste compagnie che soldati americani.
Al di là delle considerazioni economiche, l’ esperto di disarmo osserva anche come l’ incremento delle spese belliche non abbia certo trasformato l’ Afghanistan in un paese sicuro, anzi: “L’ Afghanistan è uno dei luoghi più terribili e pericolosi della terra da alcuni anni (nonostante qualcuno se ne sia accorto solo negli ultimi giorni). I dati di Action on Armed Violence evidenziano come dal 2011 siano state oltre 14.700 le vittime civili di attacchi suicidi in Afghanistan. Ben 378 nel solo 2021. “Venti anni di guerra – conclude – hanno da tempo messo l’Afghanistan in una situazione devastante: secondo il Global Peace Index da quattro anni è il Paese meno in pace del mondo, ed è stato tra i tre luoghi meno pacifici dal 2010 in poi.
Sempre secondo dati elaborati da AOAV dal 2011 al 2020 in Afghanistan si sono registrati 49.039 morti e feriti per violenza esplosiva: ben 28.356 (cioè il 58%) erano civili. Da notare come la situazione si sia sempre più deteriorata negli ultimi anni, con il picco nel 2019 in cui sono stati registrati 4.630 morti e feriti per violenza esplosiva (in particolare a causa di ordigni improvvisati, responsabili del 79% delle vittime civili)”.