In un anno caratterizzato dalla crisi sanitaria più grave degli ultimi decenni, l’Italia si prepara ad aumentare gli investimenti in nuove armi. Una proposta di moratoria arriva da Sbilanciamoci e dalla Rete Disarmo
Articolo originale di Marco Magnano a questo link
Una fregata europea multi-missione costa quanto l’assunzione di 1200 infermieri per dieci anni. Un pattugliatore d’altura, invece, permetterebbe di ammodernare 410 ospedali italiani, mentre un elicottero militare NH90 ha lo stesso prezzo di 4500 respiratori polmonari.
Sono alcuni esempi di quanto denaro venga mosso dalle spese italiane per gli armamenti, sei miliardi soltanto per l’acquisto di nuove armi nel 2021 su un bilancio complessivo della Difesa pari a 24 miliardi e mezzo di euro. Si tratta di un aumento di 1,6 miliardi di euro rispetto al 2020, su cui non esistono dettagli pubblici né un reale dibattito, impossibile in un clima di generale opacità.
Di fronte a cifre come quelle stimate per l’acquisto di nuove armi, la campagna Sbilanciamoci e la Rete Italiana Pace e Disarmo hanno avanzato a tutte le forze politiche la proposta di una moratoria per il 2021 su tutte le spese di investimento in armamenti, allo scopo di destinare gli stessi fondi a sanità e istruzione in un momento di emergenza come quello che stiamo vivendo. «Al di là della nostra richiesta continuativa di un abbassamento progressivo delle spese militari», spiega Francesco Vignarca, coordinatore delle campagne della Rete Italiana Pace e Disarmo, «quest’anno in maniera speciale si chiede di non comprare nuovi sistemi, nuovi carri armati, nuovi cacciabombardieri, nuove navi militari e tutto quello che ne consegue. La proposta è semplice, diretta, chiara: spostare investimenti su investimenti, quindi nessuno tocca gli stipendi delle persone, nessuno va a fare spese che non saranno sostenibili nei prossimi anni, è proprio una questione di darci una priorità in questa situazione emergenziale che stiamo vivendo».
La proposta, nata prima della pandemia ma oggi considerata ancora più urgente, è stata presentata alle commissioni riunite bilancio della Camera e del Senato alla fine di novembre, così da portare avanti questa istanza nel momento in cui si prendono le decisioni relative alla prossima Legge di Bilancio e al budget dell’anno prossimo per la spesa pubblica italiana. L’idea è quella di creare una massa critica di deputati e senatori che possano sostenere un emendamento alla proposta che il governo ha avanzato, il tutto entro la chiusura dei lavori prevista entro il 30 dicembre. «Quello che facciamo noi – prosegue Vignarca – è portare avanti iniziative pubbliche e social e dare tutte le informazioni possibili alle persone affinché i cittadini e le cittadine contattino i propri parlamentari di riferimento».
In questi ultimi anni, le spese italiane per la Difesa non hanno vissuto grandi variazioni, ma è diventata sempre più chiara l’importanza del mercato degli armamenti e di quello delle energie nella definizione della politica estera italiana. Tra i fatti più rilevanti delle ultime settimane, spiccano infatti due storie che riguardano l’Egitto, molto lontane all’apparenza ma molto vicine nelle conseguenze.
Il 5 novembre, infatti, la Procura di Roma, che dal 5 dicembre 2018 sta indagando sul rapimento e l’uccisione del ricercatore italiano Giulio Regeni, di cui il prossimo 3 gennaio ricorreranno i 5 anni, avevano fornito ai loro colleghi egiziani nuove prove utili alla ricostruzione della verità. Almeno tre testimoni, infatti, avevano visto Regeni in due diverse caserme in mano ad agenti della National security nelle ore successive al suo rapimento. Dopo tre settimane di attesa, tuttavia, la Procura generale egiziana si è espressa giudicando ancora insufficienti le prove a sostegno delle accuse formulate nei confronti di cinque funzionari degli apparati di sicurezza, indagini che si erano già trovate di fronte a un muro di mancate risposte da parte egiziana.
Il Cairo, per esempio, non ha mai comunicato ai colleghi italiani i domicili dei cinque indagati a cui notificare gli atti, un gesto che permetterebbe, insieme all’elezione di domicilio presso un avvocato difensore italiano da parte di un indagato imputato, di garantire la piena conoscenza del processo.
La tesi della Procura egiziana è però molto differente: Regeni sarebbe stato derubato da una banda di malviventi che avevano già commesso altri reati simili nei confronti di stranieri spacciandosi per funzionari degli apparati di sicurezza. Il 4 dicembre scadranno i due anni previsti dalla legge per la chiusura delle indagini preliminari e per le eventuali richieste di rinvio a giudizio.
Nelle stesse settimane in cui la vergogna delle falsità sulla morte di Giulio Regeni diventa ancora più bruciante, al punto che la famiglia del ricercatore ha chiesto il richiamo dell’ambasciatore, l’Italia perfezionava la cessione della prima delle due fregate multiruolo FREMM proprio alla Marina egiziana, per un valore di 1,2 miliardi di euro, autorizzata ufficialmente lo scorso agosto e già arrivata a metà percorso.
La prima nave, la Spartaco Schergat, ribattezzata dagli egiziani al-Jalala, è infatti pronta per salpare per il porto di Alessandria d’Egitto, mentre la seconda nave, la Emilio Bianchi, sarà pronta in primavera.
Si tratta di una piccola parte della cosiddetta “Commessa del secolo”, compresa tra i 9 e gli 11 miliardi di euro, e che comprenderebbe altre 4 fregate, altre 20 imbarcazioni, 24 jet Eurofighter, 24 addestratori di jet M-346, elicotteri AW149 e un satellite militare, rafforzando ulteriormente il ruolo dell’Egitto come primo Paese di destinazione delle nostre armi.
In parallelo, il Cairo è anche uno dei maggiori esportatori di gas naturale dell’area mediterranea, grazie soprattutto al giacimento di Zohr, in acque egiziane, scoperto da Eni.
Eppure, se da un lato si potrebbe considerare una grande occasione, la verità è meno luminosa. «Una delle delle critiche che ci viene fatta quando quando facciamo una proposta di moratoria è quella per cui la Difesa chiede armi perché ne ha bisogno. Il caso dell’Egitto però dimostra che non è vero: le prime due fregate avrebbero dovuto entrare in servizio per la Marina italiana nel 2020: erano state comprate dall’italia, costruite per l’italia, e sono state destinate all’Egitto. Come mai per favorire un governo autoritario come quello di Al Sisi va benissimo anche rinunciare a sistemi d’arma che non solo erano in previsione, ma addirittura già costruiti, mentre quando noi chiediamo di sospendere per un anno la risposta è che non si può fare perché si danneggerebbero le forze armate?».
In realtà, la legge 185/1990, disciplina il commercio italiano delle armi, prevede che l’esportazione e il transito di materiali di armamento siano vietati, tra gli altri destinatari, «verso Paesi la cui politica contrasti con i principi dell’articolo 11 della Costituzione» e «verso i Paesi i cui governi sono responsabili di gravi violazioni delle convenzioni internazionali in materia di diritti umani, accertate dai competenti organi delle Nazioni Unite, dell’UE o del Consiglio d’Europa». Entrambi i casi (art. 6, commi a e d) si possono facilmente applicare all’Egitto, che in Libia sostiene il maresciallo golpista Khalifa Haftar in contrasto con le risoluzioni delle Nazioni Unite, e che da un’inchiesta condotta dal Comitato contro la tortura delle Nazioni Unite, pubblicata nel 2017, ricorre in modo sistematico alla tortura e alle sparizioni forzate. «Peraltro – chiarisce Vignarca – non sono nemmeno affari, perché la vendita di una fregata costerà all’Italia qualcosa, non sarà un guadagno. In generale poi le vendite di armamenti favoriscono solo la piccola fetta dell’industria che fanno, ma non sono certamente un vantaggio se guardiamo quello che è l’impatto positivo o meno per tutta la popolazione».
L’intervista completa a Radio Beckwith Evangelica è disponibile a questo link