Il contributo di Movimento Nonviolento e Rete Disarmo al dibattito in corso sul Servizio civile
Pubblicato su “Avvenire” del 24 aprile 2020
Mao Valpiana è presidente del Movimento Nonviolento
Francesco Vignarca è coordinatore di Rete Italiana Disarmo
Caro direttore
interveniamo nel dibattito sul Servizio civile, argomento che ci sta tanto a cuore, grati come siamo alle testimonianze e ai fondamenti ideali che ci hanno dato i pionieri dell’obiezione di coscienza nel nostro Paese: Pietro Pinna, Giuseppe Gozzini, Fabrizio Fabbrini, don Lorenzo Milani, Aldo Capitini e tanti altri. Il Servizio civile anche in declinazione Universale è figlio di quella storia.
Sorge dunque un primo dilemma fondamentale: il Servizio civile deve essere volontario o obbligatorio? «Obbligatorio – dice lei, direttore – per radicare nei giovani cittadini la consapevolezza che nella condizione stessa della cittadinanza si assommano diritti e doveri». È questa una visione nobile, e non nuova. Ernesto Rossi già nel 1945 nel suo libro/ progetto “Abolire la miseria” prevedeva la trasformazione in tempo di pace del Servizio militare di leva in Servizio civile obbligatorio per tutti i giovani di entrambi i sessi, organizzati in un “esercito del lavoro” da destinare anche al Servizio sanitario pubblico. Lungimirante.
Ma le condizioni sociali, giuridiche e politiche del nostro tempo hanno caratteristiche ben diverse. Prima ancora di pensare al Servizio civile obbligatorio è fondamentale riuscire a garantire che quello Universale lo sia davvero, cioè che tutti coloro che lo desiderano (circa 100.000 giovani all’anno) lo possano svolgere pienamente e secondo le proprie capacità e aspirazioni. È dunque questione di volontà politica che deve essere esplicitata e di un passo concreto verso un finanziamento pieno di questo istituto. Perché altrimenti anche l’importante e serio dibattito che “Avvenire” ha voluto rilanciare a partire dall’appello di 53 accademici e intellettuali rimarrebbe un esercizio teorico, di interesse per i soli addetti ai lavori e senza quelle ricadute positive sulle vite dei giovani che tutti auspichiamo.
In questo senso, continua risultare scandaloso ai nostri occhi che ogni anno le reti e organizzazioni del Servizio civile (sostenute solo dalla voce di pochi giornali ed esponenti politici) debbano lottare duramente per bloccare l’erosione dei fondi, aggrediti e mai garantiti da governi di tutti i colori politici. Mentre invece i fondi per armi e strutture militari rimangono cospicui, intoccati e in aumento. Solo dopo un passaggio del genere, si potrà ragionare sulla possibilità di un Servizio civile realmente aperto a tutti, non solo ai giovani dai 18 ai 28 anni, ma anche agli anziani e agli adulti intenzionati a chiedere congedo temporaneo o aspettativa dai propri obblighi lavorativi per dedicare una parte della loro vita al bene di tutti, con le garanzie, la formazione e le competenze necessarie. Immaginiamo un Servizio inteso non solo come “politica giovanile”, dunque settoriale, ma come asse portante dell’impegno civico di ogni cittadino: un diritto/ dovere di cittadinanza attiva.
L’obbligatorietà del Servizio militare (e del Servizio civile, dopo la parificazione avvenuta nel 1989) è stata introdotta in Costituzione con l’articolo 52, fino alla sospensione della coscrizione avvenuta con la Legge Martino del 2004. La reintroduzione dell’obbligatorietà del Servizio civile porrebbe dunque a nostro parere dei problemi di ordine costituzionale a partire dalla necessità di modificare la seconda parte dell’articolo 52, ripensando completamente il concetto di “difesa della patria”. È quello, in fondo, che chiede la Campagna “Un’altra difesa è possibile”, con la proposta di istituire un apposito Dipartimento che riunisca sotto un’unica regia tutte le forme di difesa non militare già ora presenti nel nostro ordinamento e operanti sul territorio.
In ottemperanza al principio costituzionale del ripudio della guerra (articolo 11), al fine di favorire l’adempimento dei doveri inderogabili di solidarietà politica, economica e sociale (articolo 2) e per l’adempimento del dovere di difesa della Patria (prima parte articolo 52) le nostre Reti e Organizzazioni di società civile chiedono venga riconosciuta a livello istituzionale una forma di difesa alternativa a quella militare, che chiamiamo proprio “Difesa civile, non armata e nonviolenta”. Questo nuovo Dipartimento per la Difesa civile nelle nostre intenzioni dovrà affiancarsi alla Protezione civile coordinando il Servizio civile, i Corpi civili di pace e un Istituto di ricerche sulla Pace e il Disarmo, e avrà forme di interazione e collaborazione con i Dipartimenti della Protezione civile, dei Vigili del fuoco, della Gioventù e del Servizio civile.
Qualche giorno fa il Ministro della Difesa Lorenzo Guerini ha elencato alcuni compiti che nel corso dell’emergenza sono stati affidati all’Esercito: trasporto connazionali dall’estero, trasporto malati in biocontenimento, trasporto materiale sanitario dall’estero nelle varie Regioni italiane, attività di controllo del territorio, produzione di materiale di protezione individuale, consegna delle pensioni a domicilio. Sono queste, evidentemente, tutte funzioni più adatte ad un Corpo civile appositamente formato che a militari in servizio volontario. Il Servizio civile, radicato su tutto il territorio nazionale tramite gli Enti e i loro progetti articolati, è la struttura fondamentale attorno alla quale riorganizzare la Difesa dalla patria.