L’emergenza Coronavirus ha messo in crisi interi settori economici a causa del lockdown. Ma ce n’è uno che, a quanto pare, tanto in Italia quanto in Europa, gode di un trattamento privilegiato: quello dell’industria militare. Mentre la discussione nelle sedi istituzionali europee a distanza di mesi ancora non è arrivata ad un punto condiviso su come aiutare i Paesi più colpiti dalla pandemia (Italia su tutti), pochi giorni fa, il 15 aprile, la Commissione europea ha pubblicato ben 24 bandi di gara per uno stanziamento complessivo di circa 160 milioni di euro che, visto anche il periodo, senz’altro faranno gola alle industrie militari.
Il Fondo europeo per la difesa
Eppure a leggere le dichiarazioni tramite le quali il commissario Ue per il Mercato interno, Thierry Breton, annunciava le 24 call, nulla avrebbe fatto pensare all’ambito armato: «In questo periodo complesso su più fronti, stiamo mobilitando tutti i programmi dell’Unione per sostenere le aziende, grandi o piccole che siano. – aveva spiegato in quell’occasione Breton – Ci stiamo anche preparando per il futuro».
E invece, a leggere nel dettaglio l’oggetto dei bandi, si comprende il rilievo militare delle commesse in palio.
L’Europa conta tra le altre cose di potenziare o realizzare elicotteri da combattimento di ultima generazione (per una spesa di 22 milioni di euro); di portare avanti un progetto di «artiglieria rafforzata» e di supporto al fuoco diretto o indiretto (7 milioni); di realizzare, ancora, nuovi mezzi corazzati in grado di agire anche in ambienti climatici estremi (9 milioni). E non mancano, poi, le call quasi fantascientifiche: dall’ideazione di strumenti anche a pilotaggio remoto di immersione subacquea per rilevare, identificare, contrastare eventuali minacce sub-superficie (22,5 milioni); fino agli strumenti di difesa grazie all’intelligenza artificiale (5,7 milioni). C’è da dire, in realtà, che i bandi erano già programmati da tempo, ma nulla è stato fatto per fermarli, modificarli, rimodularli visto il periodo emergenziale e la crisi economica alle porte.
Come spiega il portavoce della Rete Italiana per il Disarmo, Francesco Vignarca, «i bandi sono la concretizzazione di un percorso cominciato nel 2016, quando la Commissione europea (allora presieduta da Jean-Claude Juncker, ndr) ha proposto per la prima volta l’idea di un Fondo europeo per la difesa».
Per questa ragione già dall’anno successivo è stata introdotta prima l’Azione preparatoria sulla ricerca in materia di difesa (PADR), con una dotazione di 90 milioni di euro a sostegno di progetti collaborativi di R&T (Ricerca e Tecnologia); e poi il Programma europeo di sviluppo del settore industriale della difesa (EDIDP), con una dotazione di 500 milioni di euro per cofinanziare progetti industriali comuni nella fase di sviluppo.
«I 24 bandi di gara – spiega Vignarca – rientrano nell’EDIDP e testimoniano che non c’è intenzione di rivedere o modificare questo percorso».
Un percorso che, dopo i due programmi pilota, dovrebbe portare, secondo i piani Ue, all’istituzione di un Fondo Europeo per la Difesa (EDF): «L’accelerazione su queste call ci preoccupa proprio in vista dell’EDF», sottolinea ancora Vignarca.
L’alibi per il Fondo europeo per la difesa
La proposta della Commissione (che ancora non riceve l’ok definitivo a causa prima della Brexit e poi della pandemia) non è di poco conto, dato che prevede che il Fondo abbia un budget per settennio di ben 13 miliardi di euro. E non è un caso che anche tra i cosiddetti “portatori d’interesse” (lobbisti, in pratica), che hanno rapporti con le istituzioni europee e si fanno portavoce delle esigenze delle industrie militari, la paura in questo periodo è che l’epidemia Covid-19 possa in qualche modo spostare le priorità dall’ambito armato a quello sanitario e sociale.
Un “rischio” che, a detta di qualcuno, metterebbe in crisi un settore rilevante da un punto di vista economico e strategico.
Secondo diversi osservatori, questa sarebbe la ragione per cui all’interno dei 24 bandi di gara, tutti squisitamente di natura militare, trovano alloggio anche due call di ambito biologico e sanitario: uno per la valutazione del rischio, l’allarme rapido e la sorveglianza; l’altro per le contromisure mediche come l’immunoterapia preventiva e terapeutica.
«Questi due bandi di ricerca medica – osserva Vignarca – non c’entrano nulla con le aziende militari. Non si capisce perché non ci si possa rivolgere ad altri settori produttivi». Il dubbio, in altre parole, è che le due call fungano da “giustificazione” visto il periodo d’emergenza sanitaria, non solo all’attuale finanziamento da 160 milioni, ma anche e soprattutto al progetto ben più corposo del Fondo Europeo per la Difesa che, mai come in questo periodo, rischia di essere rimodulato e ridotto.
Un timore che, secondo quanto risulta a Notizie.it, le grandi industrie militari hanno già paventato ai rappresentanti delle istituzioni europee che – se così fosse – avrebbero subito rassicurato il settore armato con l’accelerazione sui 24 bandi di gara.
Le nuove spese Made in Italy
Non si pensi, però, che l’Italia, senza ombra di dubbio il Paese più colpito dalla pandemia, sia stata da meno. Le “aziende armate”, infatti, sono state inserite tra le produzioni ritenute «essenziali» e dunque hanno avuto la possibilità di rimanere aperte nel periodo di lockdown. Compreso il polo industriale di Cameri (Novara), dove si producono i caccia F-35. E non è tutto.
«In Italia – spiega Giorgio Beretta, analista dell’Osservatorio OPAL (Osservatorio Permanente Armi Leggere) di Brescia – il Ministero della Difesa sta pensando di spendere preziosi fondi pubblici per l’acquisto di due nuovi sottomarini per la Marina Militare: un contratto da oltre 1,3 miliardi per due sommergibili U-212 prodotti da Fincantieri, con l’opzione di altri due per un totale di 2,3 miliardi di euro. Vien da chiedersi come possa essere giustificabile, mentre chiediamo all’Europa di aiutarci a sostenere le spese per il contrasto all’epidemia da coronavirus».
Domande legittime, che restano senza risposta.