La folle guerra di Erdogan contro i curdi è fatta anche, purtroppo, con armi “made in Italy”. Quello siriano non è l’unico teatro di guerra dove sono “protagoniste” le armi italiane. Ne parliamo, in questa intervista, con Francesco Vignarca Coordinatore della Rete Disarmo
Intervista di Pierluigi Mele
Siamo nel pieno della folle offensiva di Erdogan contro i curdi. Il tradimento di Trump, l’ipocrisia dell’occidente sono vergognosi. E questa guerra si fa anche con il “made in in Italy”. E così Vignarca?
Assolutamente. Per anni il Governo di Ankara è stato uno dei maggiori destinatari delle produzioni militari italiane, basti pensare che negli ultimi quattro anni sono state rilasciate autorizzazioni per armamenti del controvalore di 890 milioni di euro, mentre 463 milioni sono state quelle consegnate. E solo nel 2018 le 70 autorizzazioni rilasciate ammontano a oltre 360 milioni di euro di vendite. Purtroppo la continua erosione della trasparenza nei dati della legge 185/90 (che regola l’export di armi) non ci permettono di conoscere i dettagli specifici, ma almeno sappiamo la categoria di queste armi: armi o sistemi d’arma di calibro superiore ai 19.7mm, munizioni, bombe, siluri, razzi, missili e accessori oltre ad apparecchiature per la direzione del tiro, aeromobili e software.
Sappiamo della spregiudicatezza del sanguinario “Sultano” Erdogan. La Turchia, infatti, secondo esercito della Nato fa affari militari anche con i russi. E così?
Certamente negli ultimi anni, per ragioni di politica internazionale, Erdogan e Putin si sono avvicinati molto. E proprio l’accordo per la vendita dei missili russi S400 ha rovinato talmente i rapporti tra Washington e Ankara da portare l’amministrazione Trump ad estromettere la Turchia dal programma dei caccia F-35 (era previsto l’acquisto di 100 esemplari)
Il governo italiano può interrompere le forniture alla Turchia? Quali possono essere le misure che può prendere la Nato?
Sulla NATO non saprei, è sempre stata molto ondivaga e non credo che abbia voglia di stravolgere gli equilibri interni. So invece perfettamente cosa potrebbe (anzi dovrebbe) fare l’Italia: bloccare tutte le forniture militari alla Turchia sulla base del dettato della legge 185 del 1990 ed anche sulla base della Posizione Comune UE e del Trattato internazionale sul commercio di armamenti. Le recenti decisioni di stop alle vendite prese (per la prima volta) su altro confitto dimostrano che è possibile farlo.
L’Italia è stata presente, con i missili Rwm, anche nel conflitto dello Yemen. Sappiamo che il Parlamento ha deciso di sospendere le forniture “bombe e missili” All’Arabia Saudita e Emirati Arabi Uniti. È sufficiente questo? Come si sta attuando questa decisione?
E’ sicuramente un primo passo e sembra proprio che l’indicazione, scaturita da una mozione votata alla Camera prima dell’estate, si stia mettendo in pratica. Quantomeno è quello che risulta dalle comunicazioni interne della stessa azienda perché finora nessuno ha potuto vedere il documento ufficiale di stop probabilmente emesso dal Ministero degli Esteri. Noi riteniamo che sia ancora una scelta parziale perché diretta ad alcuni tipi di armamento specifici e solo ad Arabia Saudita ed Emirati Arabi: a nostro parere si dovrebbero fermare tutte le armi verso ogni paese della coalizione a guida saudita che è intervenuta in Yemen.
Sulla fabbrica Rwm in Sardegna ci sono state, nei mesi scorsi, molte polemiche. Qual è la situazione?
Come dicevo prima: la decisione del Governo ha fermato una parte delle esportazioni e ciò è servito all’azienda per tagliare una serie di posti di lavoro interinali. Il fatto che fossero interinali dimostra chiaramente che erano ben consapevoli che prima o poi (finite alcune commesse) li avrebbero lasciati a casa, ma nonostante questo ora la RWM sta cercando di sviare l’attenzione dalle proprie responsabilità in forniture verso conflitti giocando la carta del “ricatto occupazionale”. Inaccettabile perché con l’esigenza di lavoro non si può giustificare tutto (e nemmeno scavalcare norme di legge italiana o accordi internazionali) ed anche perché i problemi della Sardegna non sono certo provocati dall’aver bloccato quella fornitura di bombe. Noi chiediamo che il Governo si impegni in investimenti che portino vero lavoro degno a quella regione, permettendo un rilancio dell’economia positivo e non collegato ad una produzione che poi miete vittime e porta distruzione in un’altra parte del mondo. Lo si potrebbe fare finanziando il fondo per la riconversione previsto dalla stessa Legge 185/90.
Guardando allo scenario globale, le esportazioni italiane di armamenti diminuite o aumentate?
Nel 2018, dopo due anni di autorizzazioni complessive per oltre 10 miliardi di euro, il totale si attesta sui 5,2 miliardi di euro (comprendendo anche licenze globali ed intermediazioni). Ma se guardiamo il trend non possiamo che notare come e esportazioni di sistemi d’arma italiani si stiano sicuramente irrobustite negli ultimi anni. Basti pensare che, nonostante l’ovvia differenza tra un anno e l’altro derivante dalla presenza di grandi contratti (come sono state recentemente le “mega-commesse” per gli aerei al Kuwait e le navi al Qatar) complessivamente, per le sole licenze individuali, negli ultimi quattro anni (2015-2018) sono stati autorizzati trasferimenti di armi per 36,81 miliardi cioè oltre 2 volte e mezzo i 14,23 miliardi autorizzati nei quattro anni precedenti (2011-2014). Ed anche nel 2018 sono stati oltre 80 i Paesi del mondo destinatari di licenze per armamenti italiani e si conferma quindi la tendenza ad un robusto allargamento del “parco clienti” registrata negli ultimi anni.
E sulle spese militari italiane quali sono le previsioni di spesa?
Vedremo cosa deciderà il nuovo Governo Conte. I segnali non sono rassicuranti, a partire dalla storica questione dei caccia F-35, e quindi ci sono segnali di una risalita dopo una minima “stasi” avuta quest’anno. Complessivamente siamo comunque sempre sui 25 miliardi di euro all’anno, dei quali oltre 5,5 sono dedicati all’acquisto di nuovi armamenti.
Appunto un capitolo assai problematico riguarda proprio i famosi caccia F35. Anche qui sia mo coinvolti. A che punto è la situazione? Qual è la posizione del governo? Le richieste della campagna “Stop F35” sono ancora valide?
Certo che sono ancora valide, soprattutto perché la prossima decisione che aspetta l’Italia riguarda i cosiddetti contratti “multi-annuali” previsti sulla base di un quinquennio. Firmati quelli sarà proprio impossible uscire dal programma senza penali come invece è stato finora. Purtroppo sembra che il Ministro della Difesa Guerini sia intenzionato a confermare la pianificazione di 90 aerei mentre non moltissime voci del Movimento 5 Stelle puntano a una forte riduzione. Il Presidente Conte ha dichiarato di essere disponibile ad una “rimodulazione”, ma senza vedere carte e decisioni formali per noi gli annunci contano poco. La Campagna “Stop F-35 – Taglia le Ali alle Armi” (promossa da Sbilanciamoci, Rete della pace e Rete Disarmo) ha espresso chiaramente la propria preoccupazione per le notizie recente che ipotizzavano una conferma di tutto il programma ed ha chiesto al contrario a Governo e Parlamento italiano di evitare di cedere alle pressioni statunitensi. Riteniamo sia invece necessario ridiscutere la partecipazione del nostro Paese a questo programma di armamento dal costo miliardario e con gravi problematiche tecniche, strategiche e produttive. Se sommiamo velivoli già ultimati e consegnati, quelli in corso di costruzione e quelli per i quali si è già firmato un primo contratto di pre-produzione siamo già ora a quota 28 aerei confermati e da pagare integralmente (circa 4 miliardi di spesa). L’Italia, secondo i piani di acquisizione definiti ormai oltre sei anni fa, dovrebbe acquisirne in tutto 90: se il Governo cedesse alle richieste USA ne dovremmo così comprare altri 62, con un esborso ulteriore di oltre 10 miliardi di euro. Un’ipotesi che la nostra Campagna respinge e critica con forza.
Ultima domanda : Rete Disarmo ha compiuto 15 anni. Il tema del disarmo è ancora attuale. Le chiedo quali sono le nuove priorità nell’agenda politica internazionale?
Direi che purtroppo le notizie di queste ore dimostrino chiaramente la necessità del disarmo come mezzo per garantire se non la pace quantomeno maggiore sicurezza internazionale e per fermare i focolai di conflitti che poi comportano un peggioramento dell’economia, soprattutto in alcune aree. E creano le condizioni per flussi migratori dettati da disperazione e condizioni di vita non dignitose. Noi continueremo a lavorare per distogliere fondi, risorse, energie dalla costruzione della guerra per favorire la costruzione della Pace. E in questo senso mi pare molto importante l’Agenda per il Disarmo promossa lo scorso anno dal Segretario delle Nazioni Unite Antonio Guterres come cornice di lavoro per gli organismi internazionali. Per la prima volta il disarmo è posto al centro di un’agenda e di un programma politico: un bel segnale che potrà dare ottimi e concreti risultati se posto intessere in coordinamento con gli Obiettivi di Sviluppo Sostenibile (il numero 16 riguarda proprio la Pace) e un “green new deal” di portata mondiale.