Mia intervista per “La Provincia Pavese”, in vista della prima edizione del festival universitario “La guerra è”
Articolo di Gaia Curci
La guerra produce denaro e morti. La guerra può diventare un grande business per pochi e una grande tragedia per molti. Come e in quale misura? A Pavia, si cercherà di capirlo insieme a testimoni diretti ed esperti studiosi, durante il festival “La guerra è — ripensare il mondo senza conflitti” organizzato dal gruppo universitario locale di Emergency.
Il festival inizia oggi e si protrae fino a giovedì. Il primo appuntamento è stasera alle 21 al collegio Santa Caterina (via San Martino 17a) con la presidente di Emergency Cecilia Strada che presenta l’intento dell’iniziativa, facendo un quadro generale dei coinvolgimenti conflittuali sparsi per il globo. Domani alle 18, al collegio Cairoli (piazza Cairoli), Andrea Gratteri e Francesco Rigano parlano de “L’Italia e la guerra”; alle 21. sempre al Santa Caterina, Luca Radaelli ed Enzo Gusmeroli approfondiscono 1a problematica, in campo sanitario, della chirurgia per la cura delle vittime di scontri bellici. Mercoledì al Cairoli alle 18, Giovanni Vaggi conduce l’intervento “Le strade degli uomini e le vie della pace”; alle 21 si torna invece al Santa Caterina per incontrare Amedeo Santosuosso che discute del rapporto tra diritto e scienza. Si conclude giovedì alle 18 al Cairoli con Francesco Vignarca, coordinatore della Rete italiana per il disarmo, e alle 21 al Santa Caterina con i racconti di guerra di Gianluca Cecere, Manuel Perini, Christian Elia e Angelo Miotto.
«E importante — spiega Francesco Vignarca — conoscere l’economia della guerra, i profitti e gli introiti che ne derivano, provocando sempre gravi effetti collaterali. Mi riferisco, in particolare, al mercato della vendita e dell’acquisto di armi. Pochissimi sanno che in Italia quasi il 90% degli stanziamenti attuati dal Ministero per lo Sviluppo Economico, con lo scopo di supportare l’industria e le imprese, va a finire alle industrie belliche. Si tratta di oltre tre miliardi e mezzo di euro». La Rete italiana per il disarmo pronostica una spesa militare nazionale per il 2017 di 23.4 miliardi, che sarebbero circa l’1.4% del Prodotto interno lordo. Assicura, inoltre, che, solo per l’acquisto di armi, il nostro Paese spenderà quest’anno 5.5 miliardi. Una spesa non necessaria, in quanto negli ultimi vent’anni l’Italia ha comprato oltre tremila blindati e carri armati, utilizzandone poi solo il 4%. Per il 2017, dice Vignarca, avremo anche il record storico di autorizzazione alla vendita di armamenti: 14 miliardi di euro di autorizzazioni, contro gli 8 miliardi del 2016 e i 3 del 2015. «Negli ultimi due anni il governo ha puntato sull’investimento militare — continua — Ha avuto sempre più la mentalità di aumentare il numero di fatture a discapito di qualsiasi etica. Il problema è che abbiamo dati secondo i quali il 60% delle armi vendute nel 2016 sono finite non nelle mani dei Paesi nostri alleati naturali, dell’Unione europea o della Nato, ma di Kuwait, Arabia Saudita, Emirati Arabi, Qatar. India, Pakistan e Turchia. Tutti Stati che partecipano a conflitti, legati ad autoritarismi o con forti tensioni reciproche».
I kalashnikov e i cannoni trafficati in regioni instabili possono portarci vantaggi economici nell’immediato, ma danni nel futuro. All’Italia è già successo, racconta Vignarca: «Abbiamo rifornito di armi Bashar al-Assad, il dittatore della Siria, fino a un paio di anni prima della guerra civile. Adesso lo stigmatizziamo come uno dei peggiori despoti dell’area, eppure i puntatori laser notturni con cui fa sparare le sue milizie sono stati fabbricati a Firenze. Io credo che questo sia un gioco che non valga la candela dal punto di vista politico e della pace. Vale solo la fattura per chi produce le armi. Tuttavia, gli introiti bellici non aiutano la crescita del nostro Paese. I fondi del Ministero per lo Sviluppo Economico sostengono molto l’industria delle armi che in Italia fa circa 120 aziende, 40mila addetti e un fatturato di 15miliardi di euro. Di contro, però, le piccole e medie imprese hanno un fatturato di 800miliardi di euro e 3 milioni di dipendenti. Se quindi ci focalizzassimo a finanziare più quest’ultime, avremmo un vantaggio economico maggiore. La scelta del disarmo è etica e anche conveniente».