Francesco Vignarca dal 2004 è il coordinatore nazionale della Rete Italiana per il Disarmo. Ha approfondito temi come le spese militari, le compagnie militari private, il controllo del commercio di armi, l’alternativa conveniente del disarmo, la riconversione industriale. E’ stato promotore e coordinatore di campagne come Control Arms (per la richiesta di un Trattato internazionale sul commercio di armamenti, recentemente approvato all’ONU), come la campagna Banche Armate o infine come la recente campagna “Taglia le ali alle armi!” contro l’acquisto dei caccia F-35 e l’aumento delle spese militari. E’ laureato in Astrofisica all’Università dell’Insubria ed ha un Master in discipline sociologiche. Oggi ci racconta come funziona l’affare di Stato della vendita delle armi, tra divieti nazionali e internazionali aggirati.
“Come funziona l’export militare di armamenti italiano? Abbiamo una legge del 1990, figlia di tutti gli scandali degli anni 80 in cui noi vendevamo armi a Saddam Hussein, che sancì una regolamentazione molto stringente e molto stretta, positiva su due aspetti: uno quello della trasparenza. Dall’altro il meccanismo prevede che un’azienda prima di poter esportare, debba chiedere il permesso e il governo dare il permesso. Il fatto di non poter esportare armi a paesi che siano in conflitto armato, a paesi che violano in maniera grave i diritti umani, a paesi che spendono troppo per il militare rispetto alle esigenze sociali, quindi quando questo succede noi lo possiamo sapere e possiamo anche criticare questa problematica.
VIDEO L’export militare
Banche e armi
La legge italiana di 25 anni è stata creata anche per avere un controllo rispetto alle intermediazioni finanziarie, proprio perché derivante dagli scandali in tal senso che si erano avuti negli anni 80 e quindi non solo chi vende armi deve chiedere l’autorizzazione al governo, ma poi anche nella transazione finale, quando qualcuno li paga ovviamente, anche l’istituto di credito su cui transita il pagamento deve essere segnalato. Quando parliamo di commercio di armi, di questa portata, il singolo cittadino non ha molta voce in capitolo, sono i governi, le grandi aziende che lo determinano, ma noi abbiamo fatto capire al singolo cittadino che un pezzo gli è di competenza, se la sua banca in qualche modo concede lo sportello a un incasso di una vendita di armamenti, in qualche modo uno ne può essere responsabile o quantomeno può chiedere conto alla propria banca, dicendo: “sposto i miei soldi se tu continui a fare questo tipo di attività e questo ha permesso davvero di fare cambiare le dinamiche“. Molte banche hanno capito che il rischio reputazionale era proprio alto, magari anche per pochi soldi perché non erano certo loro che facevano i soldi o facevano gli incassi, loro facevano solamente un supporto finanziario, ma hanno iniziato a introdurre i codici di regolamentazione, hanno iniziato a dire: “benissimo non mi va bene tutto, dipende a chi vendi, se vendi le pistole alla Polizia della Finlandia è un conto, se vendi le bombe all’Arabia Saudita che poi ci bombarda lo Yemen è un altro!” Questo ci ha permesso di far capire a molte persone che il meccanismo della compravendita degli armamenti non è solo qualcosa di lontano ma in qualche modo le strade delle armi ci passano vicine e noi possiamo intervenire, se crediamo che sia importante dare la nostra consapevolezza anche al riguardo.
VIDEO Le banche e le armi
Vendita di armi e trasparenza
La relazione sull’export di armamenti che per anni il Parlamento non ha dibattuto sarebbe importante perché dà dei dati importanti su quelle che sono delle nostre dinamiche di alleanza, è una relazione da 2500/3000 pagine che si può scaricare sì in Pdf dal sito della Camera o dal Senato, ma non è un Pdf ricercabile, è un Pdf scansionato, per cui se voglio sapere se ho venduto all’Albania, all’Algeria, all’Arabia Saudita devo andare a sfogliare ogni pagina, devo sapere dove cercare perché non posso neanche mettere una ricerca è chiaramente questo un altro elemento di mancanza di trasparenza, di resa di difficoltà nei confronti dei cittadini e del parlamentare che volesse andare a vedere cosa sta succedendo e questo lo riteniamo grave perché se un governo sostiene o pensa che questa autorizzazione è legittima e giusta, dovrebbe anche prendersene la responsabilità e non avere paura che i cittadini – parlamentari sanno quello che si sta facendo al riguardo della vendita degli armamenti.
VIDEO Vendita e regolamentazione internazionale armi
Il marketing della guerra
L’aspetto della guerra serve a fare marketing, mi ricordo sempre nel 2011 quando le potenze occidentali hanno bombardato la Libia, la copertura di una rivista che in Italia si occupava in particolare di aerei militari, titolava “Libia air show” cioè il bombardamento della Libia era considerato anche un modo per far vedere i prodotti militari, in particolare i francesi fecero vedere il loro caccia che fino a allora non era stato acquistato se non dalle forze armate francesi, lo fecero vedere in combattimento, lo testarono in azione e grazie a questo riuscirono a promuoverlo molto di più, tant’è vero che 4/5 anni dopo è stato venduto all’Egitto e all’India e non è banale. Se posso dimostrare che il mio prodotto ha avuto modo di avere il battesimo del fuoco, ho fatto un marketing molto efficace sull’acquisto di un sistema d’arma ovviamente.
VIDEO Il marketing delle armi
Divieti internazionali e raggiri
I meccanismi di violazione della vendita di armamenti a livello internazionale sono molto stringenti ma pochi, si tratta fondamentalmente degli embarghi delle comunità internazionali, sia embarghi delle Nazioni Unite, sia eventualmente embarghi anche della comunità europea per quanto ci riguarda. L’ultimo per esempio delle Nazioni Unite è quello relativo alla Libia, in precedenza ci sono stati per molti stati africani la Sierra Leone in Europa è ancora in vigore un embargo, anche se spesso violato nei confronti della Cina del 1989. In questi casi l’Italia se non vuole incorrere in una problematica a livello internazionale che sarebbe molto grave, non deve vendere. Però ci sono altre regolazioni oltre agli embarghi che sono proprio dei divieti assoluti, in particolare quelli della nostra legge che come abbiamo detto prevedono l’impossibilità di esportare a piesi che sia in uno stato di conflitto armato o che violano i diritti umani o che abbiano problematiche di spesa militare troppo alta, in più però si sta configurando anche una legislazione internazionale al riguardo, dopo 10 anni di sforzi, grazie anche allo sforzo della società civile, noi abbiamo fatto questa campagna a livello italiano, si chiamava “control arms” (peraltro abbiamo raccolto anche un sacco di firme ai tempi durante gli spettacoli di Beppe Grillo). Siamo riusciti a ottenere dopo 10 anni un trattato internazionale sul commercio delle armi, per le prima volta è stato deciso di fare una regola internazionale che già 70 paesi hanno ratificato e sottoscritto, quindi il trattato in vigore, non sono ancora definiti i meccanismi, non sono ancora definiti i meccanismi secondo con cui verrà effettivamente realizzato questo controllo, ma dal Natale 2014 in poi è in vigore pienamente. Ora ci sono delle regole sul commercio delle armi, prima di allora c’erano sulla vendita di banane, di scarpe, di caffè, ma non sulla vendita internazionale di armamenti e quindi è stato un salto culturale molto forte.
Quello degli armamenti è un mercato lucrativa da un certo punto di vista, per chi le produce ma è soprattutto un mercato che si collega molto a dinamiche anche di politica internazionale e di rapporti tra governi e quindi va al di là rispetto a quelle che dovrebbero essere le considerazioni che secondo noi dovrebbero essere utili per evitare i conflitti.
Armi affare di Stato
Gli armamenti sono affari di Stato perché chi compra le armi sono i governi e chi le produce spesso sono delle aziende direttamente o indirettamente controllate dai governi, quindi è molto semplice fare l’imprenditore delle armi, perché non hai che da convincere un funzionario del tuo Stato o di un altro Stato, quindi spesso anche con accordi governativi, quindi anche con l’ingerenza diretta della politica. Secondo i dati di Transparency International il commercio degli armamenti che da solo assolve a circa il 2/3% del commercio mondiale, ma è responsabile del 45% della corruzione mondiale, perché? Perché non è un mercato, perché per vendere lì tu non devi fare solo un prodotto buono, dei convincere dei funzionari governativi e spesso e volentieri per convincerli si fa ricordo alla corruzione.
Il fatturato delle armi italiane
Noi possiamo valutare il fatturato dell’industria bellica italiana soprattutto da quello che esporta. Il Governo italiano in 25 anni ha autorizzato oltre 53 miliardi di Euro di export militare e effettive consegne per 36 miliardi di Euro. Questo è il volume d’affari che la nostra industria militare sviluppa nei confronti dell’estero. In più bisogna anche, ovviamente, sommare quelli che sono gli acquisti interni, gli acquisti fatti direttamente dal nostro governo, anche in questo caso arriviamo a avere fatturati dell’ordine delle decine di miliardi di Euro, tant’è vero che la nostra industria militare è da tempo e da sempre, se vogliamo, inserita nella lista dei 10 principali esportatori mondiali di sistemi d’arma. L’Italia è ai vertici della produzione militare mondiale, soprattutto grazie a Finmeccanica che è il conglomerato industriale controllato dallo Stato e oggi come oggi in particolare noi siamo “forti” sia dal punto di vista dell’elicotteristica, abbiamo poi una grande fetta di mercato nella parte legata ai sistemi avionici, agli aerei, abbiamo la parte cantieristica con Fincantieri, quindi la produzione di navi da guerra e la parte anche di produzione di armi piccole o leggere che sono facili, pistole, mitragliatori e quindi nel caso lo Stato ha un ruolo solo o di acquirente, quando serve per le proprie forze armate o le forze di Polizia o di regolatore nei confronti dell’export.
Le armi all’Arabia Saudita
Cambia tutto se andiamo sui sistemi d’arma perché in quel caso le aziende sono direttamente controllate dallo Stato tramite Finmeccanica che per legge deve prevedere una proprietà statale del Ministero delle Tesoro di almeno il 30% e quindi lo Stato che nomina i vertici di Finmeccanica e con essi nomina anche i vertici della scelta industriale che Finmeccanica fa. Proprio in questi ultimi mesi l’attuale capo di Finmeccanica Mauro Moretti ha deciso di dismettere le parti di Finmeccanica molto avanzate e molto importanti riguardanti il civile, ha deciso di vendere, per esempio tutta la parte legata all’armamento ferroviario, al segnalamento ferroviario per concentrarsi sul core business degli armamenti, abbiamo fornito 4/5 volte bombe all’Arabia Saudita che poi ha usato queste bombe in Yemen bombardando civili, bombardando anche ospedali e queste bombe sicuramente lì sono state utilizzate perché sul campo sono state trovate con i numeri di serie di produzione italiana, in realtà la fabbrica è di proprietà tedesca, ma la produzione viene fatta e l’assemblaggio anche in Italia. Abbiamo fatto in modo che fossero fatte anche diverse interrogazioni parlamentari e le risposte sono sempre evasive, non precise, dicendo sì ma noi rispettiamo gli embarghi delle Nazioni Unite che non era quello in discussione perché non c’è nessun embargo, ma c’è una legge nazionale, c’è una legge italiana che secondo noi non voi viene rispettata, su questo devo dire che l’attuale Governo Renzi in carica non si sta dal nostro punto di vista comportando bene perché non è disposto neanche a un confronto o a dettagliarci come mai sta facendo queste autorizzazioni o a prendersene la responsabilità.
L’Opal che è un osservatore di Brescia sulle politiche di vendita sia delle armi leggere e della sicurezza che è uno dei nostri centri di ricerca, ha stimato in particolare grazie al lavoro di Giorgio Beretta che nell’ultimo quinquennio 2009/2014 dei primi 20 paesi a cui siamo andati a esportare armi 7 sono considerati dall’Economist paesi autoritari. Stiamo vendendo armi non solo a paesi che in qualche caso sono addirittura in conflitto armato come il caso recentissimo delle bombe all’Arabia Saudita, ma sono di per sé già dei paesi autoritari, paesi quindi in cui la violazione dei diritti umani, in cui la coercizione rispetto a cittadinanza di democrazia è molto alta, siamo veramente convinti di fare questo? Noi lo critichiamo dal punto di vista di cittadini italiani che non vedono una coerenza con la politica estera e di sicurezza del nostro paese, il rischio è di mandare benzina su fuochi già ben accesi.
La vera sicurezza
Spesso e volentieri noi pensiamo che la sicurezza sia 500 milioni in più per gli armamenti, per comprare nuovi caccia bombardieri, per comprare nuovi aerei, nuovi elicotteri. No. Non è questo che garantisce la sicurezza del nostro paese
Le minacce alla sicurezza sono il rischio idrogeologico, il rischio di perdere il lavoro, il rischio di non avere adeguati servizi, ma la risposta è “compriamo gli F35”. Non solo si sbaglia nel percepire la minaccia, ma perché quando anche c’è una minaccia più direttamente violenta, si usano degli strumenti che non funzionano, pensiamo ai casi degli attentati a Parigi, lì un caccia bombardiere, una nave militare avrebbero fatto qualcosa? No? Forse più intelligence, forse più capacità adesso comprendere la situazione, forse una rete di conoscenza anche di intervento rispetto alle situazioni di disagio, avrebbe impedito maggiormente quel tipo di attacco terrorista e poi non diffondere gli armamenti naturalmente e mi raccomando, di tutte queste cose legate agli armamenti, passate parola!” Francesco Vignarca