Ricompaiono nella Tabella 11 della Legge di Bilancio dello Stato (quella relativa alla Difesa) i dati di dettaglio sul programma Joint Strike Fighter. Del taglio chiesto con le mozioni parlamentari di settembre 2014 neanche l’ombra…
Adesso lo confermano anche i documenti ufficiali, non si tratta più solo di un’ipotesi: il Governo non ha operato alcun dimezzamento per quanto riguarda i fondi destinati dell’acquisto dei caccia F-35.
La cospicua riduzione era stata richiesta (e votata) da una delle Mozioni parlamentari presentate a settembre 2014 nell’ambito dell’acceso dibattito alla Camera dei Deputati su questo contrastato programma di armamento. Da allora sia i parlamentari che le organizzazioni della società civile avevano cercato di capire se a tale richiesta di indirizzo avessero fatto seguito dei fatti concreti, ma con scarso successo. In diverse occasioni infatti, sia in relazione ad interrogazioni parlamentari sia su sollecitazione delle Campagne per il disarmo, il Governo aveva fornito risposte evasive e poco chiare. Già da tempo però diversi indizi suggerivano che non ci fosse stato alcun cambio di direzione, portando dunque ad un non rispetto della mozione a prima firma Giampiero Scanu per quanto riguarda il dimezzamento del budget degli F-35. Allo scopo è sufficiente andare a rileggersi le schede relative al programma poste all’interno dei Documenti di Programmazione Pluriennale della Difesa, lo strumento che da qualche anno delinea e dettaglia le strategie anche di procurement militare. Nelle ultime tre versioni di tale documento la scarna frase dedicata alla fase di acquisto nel programma dei cacciabombardieri di produzione statunitense è stata sempre la stessa: “oneri complessivi stimati in circa 10 miliardi di Euro”… provate voi a trovare le differenze nell’immagine sottostante!
Come una dichiarazione “nero su bianco” del genere potesse conciliarsi con una effettiva riduzione del budget a disposizione per l’acquisto di tali velivoli militari era solo la Difesa, pervicacemente legata ad un completamento del programma secondo le previsioni, a poterlo ancora sostenere. Ed infatti, nella realtà, nulla è cambiato rispetto alle decisioni già prese e ai fondi già stanziati prima del dibattito dell’autunno 2014. La prova conclusiva di questa (grave) inadempienza rispetto ad un indirizzo parlamentare l’abbiamo oggi andando ad esplorare nelle centinaia di pagine della “Tabella 11” allegata alla proposta di Legge di Bilancio dello Stato attualmente in discussione. Cioè andando ad analizzare a fondo quello che sarà il Bilancio del Ministero della Difesa per l’anno 2016.
Con una certa sorpresa, perché l’anno scorso nessuno ne aveva
spiegato la “sparizione”, a pagina 618 del PDF scaricabile dal sito del Senato (e a pagina 155 delle Tabelle relative allo stato di attuazione dei programmi militari) fa
capolino la sintesi relativa al programma Joint Strike Fighter. Con i dati aggiornati a luglio 2015 e relativi alla situazione di consuntivo al 31 dicembre 2014, cioè l’ultimo bilancio chiuso disponibile. Tra essi anche il
dettaglio della fase di sviluppo e acquisto (la cosiddetta PSFD) per la parte specifica degli aerei che l’Italia vuole acquistare (senza dunque contare gli oltre 800 milioni di costi “condivisi”). Il numero che si trova
non è cambiato per nulla da quelli degli anni precedenti: oltre 10 miliardi di euro, come se non fosse nemmeno esistita la mozione parlamentare. Nessuna postilla, nessun avviso di possibile modifica di tale capitolo finanziario… la data conclusiva è sempre quella del 2027 e del tutto probabilmente con gli stessi soldi a disposizione. Tutto quindi indica,
a meno di improvvisi “colpi di scena” o di modifica delle decisioni prese che però la Difesa non vuole rendere esplicita mostrando la documentazione contrattuale, che il programma di acquisto dei caccia F-35 stia continuando intoccato per la sua strada.
Lettura che costituisce forse una
possibile scappatoia per chi continua a sostenere il programma Joint Strike Fighter ma che
non può avere una base solida. Da un lato per lo stesso concetto di fondo: chi di noi accetterebbe (per altre aree di spesa pubblica) come riduzione di costo, quindi meno soldi pubblici spesi, l’entrata finanziaria realizzata da aziende private magari italiane come sede ma con una grande percentuale di azionisti stranieri? Ma dall’altro,
ancora più importante, per gli stessi numeri. Come si può ritenere infatti possibile che i ritorni economici indiretti arrivino ad essere superiori ai 5 miliardi di euro (pur considerando solo la metà dei costi produttivi e non dell’intero programma)? Dagli
stessi dati ufficiali della Tabella 11 si evince che per il 2014, quindi con fase produttiva anche dello stabilimento FACO di Cameri pienamente iniziata, oltre il 90% dei soldi spesi dallo Stato italiano sono finiti all’estero. Senza che i contratti stipulati dalle aziende italiane siano minimamente cresciuti proporzionalmente. Come dimostrano anche
le recenti notizie di produzioni estere per parti importanti anche degli aerei italiani (altro che “produzione completa” in casa).
Ci troviamo forse di fronte ad un tentativo di “gioco delle tre carte” favorito dalla difficoltà di recepire informazioni complete sui contratti di acquisto del programma. Un’opacità da parte della Difesa ormai non più tollerabile, ed una situazione di sviamento rispetto alle richieste Parlamentari che ormai è stata svelata anche dai documenti ufficiali di Bilancio.
Come si comporteranno ora le forze politiche? Metteranno un po’ più di pressione al Ministero di via XX Settembre? Ce lo diranno i prossimi mesi (e i prossimi documenti ufficiali, speriamo).