Le agenzie di stampa e i siti di informazione hanno riportato ieri alcune dichiarazioni del Ministro della Difesa Roberta Pinotti che, per rintuzzare gli attacchi di questi giorni provenienti da alcuni gruppi politici, rilascia alcune informazioni non del tutto corrette.
Se è vero, come dice la Senatrice Pinotti, che la Difesa ha un costo di mantenimento e di gestione è ancora più vero ed importante verificare l’efficacia di tali costi e soprattutto basarsi su dati reali. Non è più accettabile infatti che, per evidenziare un fantomatico crollo nella spesa militare del nostro Paese, si citino delle stime elaborate da istituti di ricerca stranieri e non si guardi ai dati effettivi di Bilancio dello Stato.
Perché se il bilancio “proprio” della Difesa ha subito negli ultimi anni una flessione, anche se non nell’ordine degli 1,2 miliardi citati dalla Senatrice Pinotti, dall’altro bisogna ricordare che quanto esce dalla porta rientra dalla finestra. Le spese militari italiane sono infatti composte anche dai fondi del Ministero per lo Sviluppo Economico assegnati all’acquisizione e sviluppo di sistemi d’arma e dai fondi dedicati alle missioni militari all’estero. Tutte cifre che stanno crescendo e quindi compensando la diminuzione del Bilancio della Difesa, tanto è vero che la riduzione della spesa militare italiana dal 2014 al 2015 è minore dell’1% (la cifra desumibile dalla Legge di Bilancio 2014 è pari a 23,49 miliardi di euro).
Si tratta di un conteggio complessivo di spesa militare ormai accettato universalmente e citato in diversi documenti ufficiali anche del Parlamento: con tale conteggio il livello di spesa militare per il 2015 risulta essere ancora di mezzo miliardo superiore a quanto registrato nel 2012, ad esempio.
Tutte cose che potremmo spiegare chiaramente alla Ministro se accettasse il confronto diretto che da mesi chiediamo (su queste cose e sugli F35) e per il quale non abbiamo mai ottenuto alcuna risposta.
La Ministro della Difesa Pinotti ha poi fatto dell’ironia sulla “difesa non armata ai tempi di Isis”. Forse più che dedicarsi a queste battute dovrebbe spiegare come mai le ricette di intervento armato e militare condotte in giro per il mondo degli ultimi anni non abbiano migliorato la situazione di sicurezza, ma anzi l’abbiano peggiorata! Noi pensiamo che Isis e buona parte del terrorismo internazionale siano anche figli di risposte non adeguate date dai nostri Paesi a situazioni problematiche. Basta citare il rosario di guerre che hanno solo peggiorato la situazione nelle regioni in cui sono state condotte: Iraq, Afghanistan, Libia…
Senza dimenticare che, durante la crisi della scorsa estate in Iraq e mentre le nostre associazioni in poche ore erano già al fianco delle popolazioni attaccate dalle milizie di Daesh (nome arabo di Isis), la scelta del Governo italiano di invio di armi (allo scopo furono convocate d’urgenza alcune Commissioni Parlamentari ad agosto) si è concretizzata solo cinque mesi più tardi. Una risposta quindi non certo “veloce” di fronte ad una “emergenza” ma che è solo servita a lavare un po’ la coscienza anche della nostra opinione pubblica. I problemi invece posti da Isis e dal terrorismo internazionale sono gravi e complessi, non guaribili in pochi giorni. Solo una soluzione che preveda lo sradicamento delle cause di base, e la smetta di rifornire direttamente o indirettamente di armi e denaro questi gruppi armati, potrà davvero migliorare la situazione in quei Paesi.