Le (magre) riduzioni di spesa per le Forze armate sbandierate in tempi di spending review vengono poi compensate da altre voci di bilancio, a cui attinge l’esercito. Un esempio? Le missioni di pace, i cui finanziamenti vengono in parte dirottati altrove. Ecco dove sta il trucco.
di Lorenzo Montanaro
La drammaticità di queste settimane riporta in primo piano il ruolo dell’Italia negli scenari bellici internazionali. Poco tempo fa (era il 10 febbraio) il Consiglio dei Ministri ha approvato il rifinanziamento delle missioni militari all’estero: 542 milioni di euro per il periodo gennaio-settembre, prima tranche degli 850 milioni previsti dalla Legge di Stabilità per l’intero 2015.
Il dato è di poco inferiore a quello dell’anno scorso, ma, a differenza del 2014, non è stato necessario alcun voto delle Camere. I soldi arrivano subito: operatività assicurata. La mancanza di un ulteriore passaggio parlamentare (peraltro già denunciata nei mesi scorsi dagli analisti della Rete Disarmo) ha suscitato polemiche.
UNA PARTE DEI FONDI DELLE MISSIONI DI PACE VANNO ALL’ADDESTRAMENTO ORDINARIO DEI MILITARI
Dai Balcani all’Africa, dal Medio Oriente all’Oceano Indiano, sono più di 20 le aree calde del mondo che vedono l’impegno dei nostri militari: in Libano, Afganistan, area del corno d’Africa, territori dell’ex Iugoslavia e coste del Mediterraneo le presenze più significative. Sul piano delle spese, gli investimenti maggiori (quasi 398 milioni) si concentrano nel continente asiatico. La missione più costosa (quasi 133 milioni) è quella di contrasto ai terroristi dell’Isis.
Come ha rilevato l’agenzia di stampa Redattore Sociale, stride il contrasto tra i 542 milioni stanziati per l’impegno militare e gli appena 69 destinati ai progetti di cooperazione e ricostruzione.
In molti, poi, criticano la definizione di “missioni di pace”. In gioco però non ci sono solo le ragioni etiche, legate al costituzionale ripudio della guerra. Da anni le organizzazioni disarmiste si interrogano sull’effettiva destinazione dei finanziamenti per le missioni all’estero.
A svelare un meccanismo ormai endemico è Francesco Vignarca, coordinatore della Rete Italiana Disarmo, uno tra i massimi esperti a livello nazionale in materia di spese militari: «Questi fondi, che provengono dal Ministero dell’Economia, in realtà non serviranno solo per finanziare gli interventi all’estero dei nostri soldati, ma verranno usati anche per l’addestramento “ordinario”. Infatti senza un’iniezione extra di risorse, le nostre forze armate non potrebbero reggersi in piedi».
QUELLO CHE SI TAGLIA DA UNA PARTE LO SI RECUPERA DA UN’ALTRA
Il perché si può comprendere dando un’occhiata alle ripartizioni funzionali previste dal Ministero della Difesa. «Emerge un pesante squilibrio verso la voce “personale”», chiarisce Vignarca, «gli stipendi assorbono il 76,5 % delle risorse, mentre la voce “esercizio” (cioè addestramento e operatività) viene ridotta del 7%. Da notare che gli stipendi appaiono notevolmente sbilanciati verso le alte cariche».
Qualche dato: la “parte alta” delle gerarchie (cioè ufficiali superiori, ufficiali inferiori e marescialli) conta circa 75.200 persone, ma ha un costo complessivo di 3.402 milioni di euro, quasi doppio rispetto a quello della “parte bassa”(sergenti, sottufficiali e truppa), formata da 98.600 unità. In pratica, un ufficiale costa in media 60.000 Euro, contro i 18.200 di un soldato della truppa. «È evidente», ragiona lo studioso, «che, se i soldi destinati ad addestramento e operatività sono così scarsi, per far funzionare la macchina bisogna attingere altrove».
E non è certo solo un’opinione degli analisti. «Negli ultimi anni», ammette la stessa relazione introduttiva al bilancio della Difesa, «l’output operativo è stato garantito grazie all’afflusso dei finanziamenti aggiuntivi pervenuti dai decreti di proroga delle missioni internazionali». Più chiaro di così…
Anche nel 2015 dunque il capitolo missioni all’estero si conferma come una “stampella”, strumento per mantenere in piedi una struttura altrimenti insostenibile. Il meccanismo non è poi molto diverso da quello che lo stesso Vignarca ha già descritto in passato. È una specie di “gioco delle tre carte”, in base al quale le spese per le forze armate non vengono concentrate unicamente nel bilancio del Ministero della Difesa (come a prima vista ci si potrebbe aspettare), ma distribuite tra vari dicasteri, compreso quello dello Sviluppo economico, cui quest’anno andranno 2.819 milioni di Euro per “Partecipazione al Patto Atlantico e ai programmi europei aeronautici, navali, aerospaziali e di elettronica professionale”.
Risultato: quello che si taglia da una parte (magari con tanto di proclami mediatici) viene poi recuperato sugli altri versanti.