Una mia intervista per il sito di RaiNews, a cura di Pierluigi Mele
Per la prima volta nella storia si cerca di mettere un controllo internazionale sul commercio delle armi: il 24 dicembre scorso, infatti, è entrato in vigore il “Trattato internazionale sugli armamenti”. Quali i punti fermi? Ne parliamo con Francesco Vignarca, coordinatore della“Rete Italiana per il Disarmo”.
Vignarca, lo scorso 24 dicembre è entrato in vigore “Il Trattato internazionale sugli armamenti” (ATT), voi delle “Rete Italiana per il Disarmo” lo avete definito come “un passaggio epocale importantissimo”. Perché?
Per noi di Rete italiana per il Disarmo e per tutte le realtà legate alla campagna internazionale Control Arms la notizia di entrata in vigore del Trattato è davvero un traguardo epocale. Da un lato perché figlio della nostra azione lunga 10 anni che aveva come fine quello di una prima regolamentazione del commercio di armamenti. Dall’altro perché proprio questo commercio problematico e ovviamente delicato non aveva, fino ad ora, alcun tipo di controllo o norma di livello internazionale. Per intenderci prima della vigilia di Natale le banane avevano molte più regole internazionali di quante ne avessero i cannoni o le pistole….
A quanti miliardi di dollari ammonta il commercio mondiali di armi?
È molto difficile fornire una stima attendibile del commercio internazionale di armamenti, da un lato perché una buona parte di questo comparto è frutto di accordi intergovernativi riguardanti solo dei pezzi degli armamenti. Per cui è davvero difficile quantificare cosa venga venduto internazionalmente e cosa invece prenda altre strade. Dobbiamo infatti capire che il commercio internazionale di armi è solo una parte della produzione e della vendita delle stesse, che spesso vengono fornite direttamente dalle industrie ad un Governo. D’altro canto poi, a rendere ancora più complicate le valutazioni, c’è l’opacità endemica di questo settore sia per motivi di sicurezza sia peri grandi profitti di natura criminale e correttiva che ne possono derivare. All’inizio della mobilitazione Control Arms si era sempre utilizzata una stima di 40 miliardi di dollari all’anno, ma i recenti cambiamenti dettati anche dall’aumento del comparto dopo l’inizio della cosiddetta “guerra al terrorismo” ci portano a credere oggi che ogni anno il commercio internazionale di armi valga circa 100 miliardi di dollari.
Definite il “Trattato” come un “grande successo per la Società Civile internazionale”. Perché?
Come già detto in precedenza, questo Trattato non sarebbe mai venuto alla luce senza gli sforzi della società civile internazionale che già a metà degli anni Duemila ha iniziato una grande campagna di opinione e pressione sui Governi affinché venisse intrapresa una strada di regolamentazione normativa internazionale del commercio di armamenti. Senza la “Petizione da 1 milione di volti”, che anche in Italia ha raccolto oltre 40.000 facce, e senza tutta l’azione di pressione a livello delle Nazioni Unite e di singoli Governi portata avanti dalle associazioni e organizzazioni della coalizione Control Arms non saremmo qui a parlare di entrata in vigore del Trattato. Il ruolo propositivo e fondamentale della società civile internazionale è stato inoltre riconosciuto in molte occasioni anche dal Segretario Generale delle Nazioni Unite Ban Ki Moon.
Quali sono i punti fermi di questo “Trattato “, che è molto ambizioso, e quali, invece, i “limiti”?
In attesa di capire i meccanismi di attuazione dei controlli (che sono il punto fondamentale per la buona riuscita di tutto il processo) riteniamo che la cosa più importante sia quella di avere espresso per la prima volta il principio che il commercio internazionale di armi non possa basarsi solo sulle regole del “mercato”. Per la sua natura e la sua problematicità occorre infatti che anche altri criteri (l’impatto sulle vite delle persone e sui diritti umani, la situazione geopolitica delle aree di destinazione) siano presi in considerazione. Dal punto di vista dei contenuti più specifici, a nostro parere (e lo abbiamo detto ripetutamente) ci sono sicuramente cose che non vanno bene. In particolare permangono solo una serie di limitate forme di controllo sulle munizioni e sulle componenti di armi, mentre restano esclusi sia le armi da fuoco che non hanno un esclusivo uso militare sia i trasferimenti di armi all’interno di accordi governativi e programmi di assistenza e cooperazione militari. Questi elementi convincono Rete Disarmo a non accontentarsi del risultato ottenuto (che non è però di poco conto e che ci vede positivamente soddisfatti) ma a continuare il lavoro soprattutto in termini di miglioramento futuro del testo e di organizzazione adeguata dei meccanismi della sua implementazione.
Per dare qualche cifra: quali sono i Paesi che hanno ratificato il “Trattato”? Ci sono i Paesi che sono i maggiori esportatori di sistemi d’arma?
Ad oggi il testo di Trattato è stato sottoscritto da 130 Paesi (compresi gli Stati Uniti!) e ratificato da 61, tra i quali troviamo molti dei principali esportatori di armamenti (oltre all’Italia anche la Francia, la Germania, la Spagna ed il Regno Unito). In tal senso l’Europa sta svolgendo un ruolo di primo piano e di positiva guida. Ovviamente l’assenza tra firmatari e ratificatori di paesi come Russia, Cina, India, Pakistan, Arabia Saudita è ancora un problema ma il processo di entrata in vigore doveva comunque iniziare, pena uno stallo completo del percorso. E tutti noi speriamo che la dinamica sia simile a quella di altre Convenzioni internazionali (pensiamo a quella sulle mine anti-persona) che hanno saputo raccogliere nel tempo sempre maggiori adesioni, rafforzandosi.
Il Parlamento italiano è stato tra i primi a ratificare il “Trattato” (al tempo del governo Letta). In che misura l’entrata in vigore del “Trattato” può favorire maggior controllo e trasparenza dell’assemblea nei confronti dell’attività dell’esecutivo?
Noi siamo stati molto contenti che il Parlamento italiano abbia approvato all’unanimità e con una rapidità mai vista nella storia repubblicana il testo di Trattato elaborato in seno alle Nazioni Unite. È chiaramente un successo anche della nostra campagna e della nostra Rete di cui andiamo molto fieri. Riteniamo poi che sia importante che il nostro Paese arrivi ad un protagonismo positivo in questo ambito, possedendo da 25 anni una delle legislazioni più avanzate sulla regolamentazione del commercio degli armamenti. Ciò però deve essere sempre condotto in un ottica di controllo molto alto, perché anche ora e anche per la legge italiana è il governo a svolgere il ruolo principale di controllore. Ma il Parlamento deve continuare a spingere affinché questo ruolo venga esercitato nel migliore dei modi, non accettando più il deterioramento di trasparenza che invece si è verificato negli ultimi anni. Noi riteniamo fondamentale quindi un collegamento con il percorso internazionale per rilanciare ulteriormente quel controllo che ha reso davvero antesignana la nostra legge nazionale. Si tratta quindi di rafforzare due percorsi paralleli, quello nazionale e quello internazionale con il Trattato, riprendendo un ruolo positivo e propositivo del Parlamento spinto anche dalla società civile.