Le ultime esternazioni del Ministro Mauro sugli F-35 impongono una riflessione e un’analisi: è accettabile che un componente del Governo e un Ministero continuino a fornire dati fuorvianti e incompleti a Parlamento ed opinione pubblica?
Fin dall’inizio della storia sulla partecipazione italiana al programma dei cacciabombardieri F-35, i funzionari e gli esponenti politici ad essi favorevoli hanno diffuso dei dati parziali e fuorvianti. Ma dopo tutta l’attenzione mediatica – e anche istituzionale – sul progetto dell’aereo militare Joint Strike Fighter si sarebbe potuto pensare (o sperare) che il tempo dei sotterfugi ormai fosse finito.
Invece, ancora una volta, le cronache e le dichiarazione di questi ultimi giorni fanno chiaramente percepire che la gestione del consenso verso il caccia F-35 non è basata su una anche legittima visione strategica e militare, ma sul tentativo di ingannare in certo qual modo l’opinione pubblica ed anche il Parlamento.
Partiamo dal fondo, dalle notizie più recenti. Nell’audizione di mercoledì 31 luglio al Senato, incontro compreso nella serie che dovrebbe dare ai Senatori maggiori dati e chiarimenti in vista del Consiglio Europeo di Difesa fine anno, il Ministro Mario Mauro ha alzato il livello, e il polverone, di una delle giustificazioni classiche per l’acquisto dei caccia americani. Una giustificazione legata alla nostra portaerei Cavour, varata ormai qualche anno fa, e della sua paventata e inderogabile necessità di avere velivoli adeguati al decollo e all’appontaggio: “altrimenti perché avremmo dovuto produrla spendendo denaro”?
Tralasciamo per un momento il fatto che l’acquisto di un sistema d’arma non si può certo giustificare come semplice conseguenza di un altro acquisto di tal natura, altrimenti non si spiegherebbe la necessità di un indirizzo politico governativo e nemmeno del controllo e della decisione del Parlamento. Tralasciamo poi anche il dettaglio (invero non banale) che gli aerei “necessari” alla Cavour sono solo 15, come anche confermato in recenti dichiarazioni dal sottosegretario alla Difesa Pinotti e dalla stessa pianificazione degli acquisti, e perciò appare singolarmente esagerato che un tale numero minimo sia la base di giustificazione della partecipazione ad un programma di acquisto di 90 velivoli totali. Se anche solo li volessimo per dare un senso alla Cavour i 15 aerei si potrebbero senza problemi acquistare da semplici “clienti” del programma (come il Giappone, o Israele).
Ma il ministro Mauro, come accennato, è voluto andare oltre non solo legando alla portaerei una giustificazione di completamento necessario, ma inserendo nella partita anche i costi già sostenuti per essa citando la rilevante cifra di 3,5 miliardi.
Che, in modo non corretto, le prime agenzie hanno ascritto alle sole necessità di aggiornamento della nave per ospitare gli aerei a decollo corto e atterraggio verticale (sarebbe stato davvero uno sproposito, cosa che ha fatto sobbalzare anche qualcuno dalle sedie della Marina Militare).
Il tutto ha ovviamente suscitato immediate reazioni sia di natura parlamentare – legate a riequilibri politici o alla consapevolezza di non vedersi informati in maniera corretta dal Ministro – sia dalla campagna disarmista contro il caccia “Taglia le ali alle armi” che ancora una volta ha sottolineato le incongruenze e le problematiche di questa posizione. Una piccola bufera, come spesso accade di recente quando il ministro Mauro parla al pubblico, che ha costretto il Ministero della Difesa ad un comunicato di precisazione. Che però è risultato essere una toppa peggiore del buco.
Uscendo dall’equivoco dei costi di adeguamento, se si vuole davvero definire l’investimento fatto nei riguardi della portaerei Cavour occorre fermarsi ai primi 1,5 miliardi (poco più del costo di acquisto e produzione) citati nella precisazione della Difesa, perchè solo quelli sono effettivamente i costi davvero già sostenuti…
Della quota successiva determinata da “gli aeromobili e dal relativo sistema di supporto logistico previsti nel programma JSF (circa 2 mld)” non è stato speso nemmeno un centesimo perchè gli esemplari della versione B STOVL (Short Take Off and Vertical Landing) tra cui i 15 per la Marina saranno in produzione per l’Italia, secondo i piani previsti dalla stessa Difesa, solo dal 2015 in poi (con il lotto 9).
E’ quindi un dato falso o quantomeno un errore grossolano l’affermazione del Ministro Mauro – la trovate qui a partire dal minuto 11 – che non si dovrebbe permettre di dire in occasione ufficiale che “sono già stati spesi 3.5 miliardi”. Il tutto, crediamo per gonfiare il proprio assunto di irrinunciabilità all’acquisto per causa dei fondi già spesi.
I citati 2 miliardi di euro che servono per arrivare al totale di 3,5 sono proprio il costo completo stimato a partire da una media per velivolo di 133 milioni di euro dei 15 aerei che finiranno sulla Cavour (altri 15 F-35 in versione B STOVL dovrebbero invece finire in dotazione all’Aeronautica Militare). Per la verità, in un ennesimo tentativo di mischiare le carte, il Ministro Mauro a poche ore dalla sua audizione ha affermato alla Radio che “i tre miliardi e mezzo di euro citati ieri in Senato per le spese relative alla portaerei Cavour sono la somma di due cifre: quella che che abbiamo speso per stare nel programma Jsf (2,1 miliardi) e quella della somma che abbiamo speso per fare la portaerei”. Anche se fosse così (e ci troviamo di fronte alla terza esegesi in poche ore) il Ministro filosofo dovrebbe ancora essere rimandato sui dati di base del programma di acquisto più importante del suo stesso dicastero. Perché l’investimento complessivo dell’Italia per il JSF si attesta su circa 3 miliardi dovendo anche considerare i costi della FACO di Cameri e dell’acquisto dei primi tre esemplari. E comunque nel suo intervento al Senato, per fortuna ci sono i video, Mauro ha parlato di espressamente di costi relativi alla Cavour. Insomma: la confusione regna sovrana ma intanto il tassametro per i cittadini contribuenti corre…
Quantomeno l’occasione è utile per rientrare direttamente all’interno della questione, da sempre contrastata, del costo complessivo e di quello medio dei caccia F 35 che dovrebbero essere acquisiti dall’Italia. Un elemento rilevante, perché si tratta di uno dei punti su cui l’opinione pubblica è certamente più sensibile e sul quale Ministro ed alti funzionari della Difesa si sono recentemente espressi più volte. Continuando nel tentativo di esplicitare in maniera fuorviante i dati al fine di favorire un consenso verso l’acquisto dei caccia. Se da un lato infatti, in recenti dichiarazioni televisive, il ministro Mauro ha confermato un costo completo per il 90 caccia previsti di poco più di 12 miliardi di euro, in questo confermando in pieno le stime della Campagna “Taglia le ali alle armi”, dall’altro non tornano i costi da lui per ciascun singolo velivolo. Secondo il Ministro “i primi F-35 costeranno tra i 95 e i 105 milioni mentre con gli altri scenderemo intorno ai 60 milioni di euro. Questo per quella parte degli F35 a decollo normale; vanno calcolati circa 10 milioni in più per guelli a decollo verticale”. Ma se si divide la cifra totale di 12 miliardi per i 90 esemplari previsti la media che si ottiene è di circa 133 milioni di euro, impossibile da raggiungere con i costi per singolo aereo riferiti dal Ministro (anche se si considerassero quelli massimi).
Com’è possibile questa discrepanza così rilevante? Che alla Difesa non sappiano fare le divisioni da scuola primaria?
La questione si chiarisce forze meglio riferendosi all’intervista (citata dallo stesso Mauro) che il sito della Difesa ha riservato al generale Esposito, capo di Armaero cioè della struttura dell’Aeronautica Militare preposta agli acquisti di armamenti. Più o meno i dati diffusi sono gli stessi, con qualche maggiore precisione: “I 60 velivoli F-35 della variante Ctol (quella standard NdA) si prevede costeranno mediamente all’italia circa 74 milioni di euro, mentre i 30 velivoli della variante Stovl circa 88 milioni di euro”, il tutto perché dagli attuali costi più alti si arriverà secondo Esposito ad un costo fisso finale di 65 e 83 milioni di euro per le due diverse varianti. Ma, ancora una volta, moltiplicando le medie di costo per il numero di aerei si arriva ad una cifra molto più bassa del totale di costo del programma che anche in questo caso viene confermato in oltre 12 miliardi di euro. Come è – di nuovo – possibile?
Nella stessa intervista è presente una una precisazione che forse ci aiuta capire come mai alla Difesa facciamo fatica a fare le divisioni, o cerchino di salvare il consenso ad un programma di armamento ormai inviso alla maggioranza degli italiani. Secondo il Generale Esposito, infatti, dei poco più di 12 miliardi complessivi per l’acquisto di caccia F 35 solo “7,5 miliardi sono destinati all’acquisto dei velivoli distribuiti nei prossimi 15 anni”. Ma allora non si capisce proprio a cosa potrebbero servire gli altri 4,5 miliardi di euro per arrivare al totale da lui stesso dichiarato, considerando che tutti costi accessori, quelli di sviluppo o anche di costruzione dell’impianto di Cameri sono stati già scorporati in precedenza. Lo stratagemma in realtà è lo stesso già utilizzato in passato ma che ormai non può più essere accettato, per un minimo di fondamento di trasparenza e democrazia, vista soprattutto la grande rilevanza della questione F 35 anche per l’opinione pubblica.
Come già successo in questi anni, soprattutto in occasione di audizioni ufficiali, secondo i funzionari della Difesa il costo da considerare è solo quello della semplice unità di velivolo (il cosiddetto “flyaway cost” di produzione avionica) che è però solo il primo dei quattro livelli di costo presente in tutti i documenti, anche quelli del Pentagono. E che sicuramente non è quello che ci arriverà in fattura e per il quale il Bilancio dello Stato dovrà impegnare miliardi su miliardi. Andando ad acquistare un’auto voi considerereste il costo del solo chassis o del modello completo di ruote, volante ed accessori che vi consentono veramente di circolare sulle strade?
L’imprecisione fuorviante della Difesa (dal Ministro in giù) sul tema degli F-35 e di tutti i costosi sistemi d’arma non è più tollerabile e, a nostro avviso, configura anche una pericolosa e rilevante diminuzione delle facoltà di controllo del Parlamento.