Le polemiche di questi giorni rendono ancora una volta utile ricordare i numeri e le considerazioni che dimostrano come per il caccia F-35 non esistano possibili giustificazioni industriali e di creazione di posti di lavoro.
Le prime agenzie che avevano lanciato la notizia “Camusso e la CGIL a favore dei caccia F-35” avevano spiazzato e non poco le realtà aderenti alla campagna “Taglia le ali alle armi”. Soprattutto per una posizione che pareva assolutamente non in linea con precedenti dichiarazioni, visto che la stessa segretaria generale Susanna Camusso lo scorso anno aveva chiesto il taglio dell’acquisto dei caccia in mancanza di sufficienti fondi per il sociale. E siccome la crisi di questi mesi ha continua a contrarre la spesa pubblica in tal senso… un cambio repentino avrebbe forse avuto come spiegazione altre logiche sottostanti. Per fortuna il “caso” si è poi sgonfiato, avendo però come impatto positivo (dal punto di vista disarmista) una rinnovata attenzione dell’opinione pubblica sulla questione.
Nonostante ciò, è importante capire come qualsiasi giustificazione della partecipazione italiana al programma F-35 basata su favoleggiati ritorni industriali ed occupazionali non regga alla prova dei dati e dei fatti, come da sempre sottilineato dagli attivisti “NO F35”.
Partiamo dal ritorno occupazionale. Alla fine 2012 il numero complessivo dei lavoratori attivi a Cameri si attestava sulle poche centinaia confermando il sottoutilizzo di una struttura pensata per ben altri ritmi di produzione, che non si raggiungeranno mai qualunque sia la decisione del Governo in merito. Rilanciare continuamente la stima fasulla di 10.000 posti di lavoro, ormai un mantra per la Difesa e per i fautori del programma, non considera che la stessa industria (Finmeccanica) è passata da ipotesi di 3000/4000 addetti ad una più realistica di circa 2000, in linea con quanto sostenuto da sempre dagli stessi sindacati.
Una piena dimostrazione che gli F-35 non abbiano nessuna ragione occupazionale alla base di un eventuale acquisto, visto che non si sa nemmeno se tali unità saranno impiegate pienamente o solo per porzioni di anni (e per quanti anni). Ricordiamo – per opportuno paragone – che in fase di picco la produzione del caccia Eurofighter per Alenia non ha raggiunto mai le 3000 unità ed è quindi falso affermare che i 10.000 posti di lavoro previsti per gli F-35 possano derivare, a regime, da un completo spostamento di lavoratori Eurofighter.
Contrariamente a quanto fatto intuire fin dal momento delle decisioni parlamentari sulla fse di prima produzione.
Anche per rintuzzare le decise e documentate obiezioni sollevate da “Taglia le ali alle armi”, recentemente – e pure in situazioni istituzionali ufficiali – si è favoleggiato di arrivare al “numero magico” di 10.000 occupati considerando anche l’indotto. Ma anche tenendo per buone le 2500 unità di impiego diretto (tutte interne a Finmeccanica e in fase di picco) per arrivare al totale promesso le 50 ulteriori aziende coinvolte dovrebbero impiegare stabilmente sul programma ciascuna circa 150 persone: impossibile pensarlo per ditte che per la maggior parte sono piccole o medie imprese e considerando che nessuna di esse nelle dichiarazioni recenti ha diffuso una forza lavoro complessiva maggiore di 120 unità.
Ciò significa che continuare a riproporre la “storiella” dei 10.000 occupati a questo punto non configura più solamente una mancanza di prudenza nelle stime, ma un vero e proprio tentativo di depistaggio. Senza dimenticare che tutte i più recenti studi economici sul comparto dimostrano come l’investimento nella difesa sia quello dal più basso ritorno occupazionale e salariale: anche fino al 40% in meno di quanto si potrebbe ottenere investendo in educazione, sanità o energie rinnovabili.
Lo stesso si dica per i ritorni industriali: ben lontani da essere il 100% affermato agli inizi del progetto. Alla primavera del 2013 le nostre industrie – dati ufficiali della Difesa – hannoottenuto circa 800 milioni di dollari di appalti a fronte di una spesa già sostenuta dall’Italia di circa 3 miliardi di euro (ritorno poco sopra il 20% della spesa). Una quota che non potrà certamente crescere di molto se nemmeno gli aerei acquistati dall’Italia verranno costruiti integralmente da noi. Dei primi 140 milioni di dollari sicuramente versati entro la fine del 2012 dal nostro paese per componenti speciali dei lotti 6 e 7 a cui siamo interessati (senza quindi contare il costo pieno dell’aereo) nessun centesimo è rientrato nel nostro paese perché le lavorazioni sono state divise tra Texas, California, Florida e in alcuni casi anche Regno Unito.
Dati che confermano l’assoluta fragilità di qualsiasi motivazione industriale per un’eventuale conferma degli
acquisti italiani di caccia F-35, i primi esemplari dei quali (i tre già acquistati)
si inizieranno ad assemblare a Cameri (in provincia di Novara) da metà luglio 2013. Ma che, una volta terminati, dovranno essere immediatamente inviati negli USA non tanto per ragioni di addestramento, come tentano di suggerire recenti dichiarazioni di alti gradi militari, quanto per subite una fase di
“retrofit”. Che altro non è la sistemazione (già prevista) di tutte le falle progettuali e produttive che già si conoscono ma per le quali non si è ancora riusciti ad escogitare una sistemazione. Anche se ciò non ha impedito di dare il via alla produzione (è il geniale sistema della “concurrency”)
In tutto questo scenario, riteniamo invece che il sentire vero degli italiani sia espresso
dall’appello sottoscritto in questi giorni da personalità come don Luigi Ciotti, Riccardo Iacona, Chiara Ingrao, Ascanio Celestini, Gad Lerner, Savino Pezzotta, Roberto Saviano, Cecilia Strada, Umberto Veronesi e padre Alex Zanotelli con la richiesta di sostegno a tutte le iniziative parlamentari tese a fermare il programma degli F35 e a ridurre le spese militari a favore del lavoro, dei giovani, del welfare e delle misure contro l’impoverimento dell’Italia e degli italiani. Una posizione che si può
sostenere utilizzando gli strumenti di pressione sui Deputati messi in atto dalla campagna “Taglia le ali alle armi”.