Nonostante la poca attenzione dei media, ed ancor meno della politica, le condizioni problematiche della popolazione, le uccisioni indiscriminate, le gravi violazioni dei diritti umani ed anche gli attacchi esterni (vedi raid di Israele dei giorni scorsi) gettano ogni tanto qualche barlume di attenzione sulla tragedia siriana. Uno Stato in balia di una feroce guerra civile da anni e per il quale si vedono davvero poche soluzioni e prospettive positive all’orizzonte.
Quello che – almeno dal mio punto di vista – appare ogni volta stupefacente è invece la dinamica delle proposte politiche e “diplomatiche” conseguenti, che dovrebbero garantire una soluzione ad un dramma che le stesse cancellerie internazionali non hanno saputo gestire finora oltre che prevedere in passato (forse perché tutti occupati ad insignire di onorificenze il “sanguinario dittatore” di oggi Bashar al Assad, come si vede nella foto con il nostro Presidente Napolitano, o a vendere sistemi di controllo della popolazione). Perché quello che succede ogni volta, quando qualche nuova atrocità o massacro squarcia il velo di nebbia sulle vicende di Damasco e dintorni, è il rinnovamento del teorema secondo il quale la soluzione possa passare solo dalla cancellazione dell’embargo sulle forniture d’armi attualmente in vigore. In pratica alcuni importanti paesi (Francia e Gran Bretagna su tutti) sostengono che solo fornendo copiosamente armi al fronte dei ribelli, ormai individuato come quello dei “buoni” un classico dell’ottusa politica internazionale occidentale, si potrebbe rovesciare Assad e “magicamente” risolvere il problema. Senza aver imparato nulla dal caso libico e dalla violenta anarchia del dopo-Gheddafi, senza minimamente considerare che nel fronte ribelli sono molto forti quei gruppi “Quaedisti” che in altri luoghi vengono combattuti e osteggiati, senza capire che un fuoco non si può spegnere aggiungendo benzina (e le armi lo sono pienamente, per la guerra) ma solo togliendo l’ossigeno che lo alimenta.
Il tentativo di cancellazione dell’embargo sugli armamenti è in pista da qualche mese, e da tempo viene denunciato e rigettato dal mondo della Pace e del Disarmo, con qualche reazione politica di sostegno. Posizione che però è sempre stata sminuita perché ritenuta idealistica e poco realizzabile (mentre la concretezza delle politiche standard la vediamo ogni giorno…) in quanto proveniente da un movimento. La tesi da oggi sarà meno sostenibile perché le stesse critiche sono state elevate nei giorni scorsi da un Governo facente parte dell’Unione Europea. Con una lettera riservata, ma i cui contenuti sono stati rivelati dalla stampa locale, l’Austria ha infatti messo in guardia i propri partner europei contro un’eventuale intenzione di fornire ai ribelli siriani materiali d’armamento. Secondo Die Presse nella lettera si sottolinea come l’Austria ritenga che le spedizioni di armi ai ribelli che combattono il presidente siriano Bashar al-Assad sarebbe “una violazione del diritto internazionale e delle leggi fondamentali dell’Unione europea” oltre che “dei principi della Carta delle Nazioni Unite in materia di non-intervento e uso della forza”. Di più, una eventuale scelta di cancellazione dell’embargo potrebbe risultare in una violazione delle risoluzioni del Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite in materia di Al-Qaeda e il Governo di Vienna nel proprio documento ha avvertito come gruppi come il Fronte Al-Nusra, che è “vicino alla rete del terrore”, sono attualmente operativi nel fronte che si contrappone al regime di Damasco.
Finlandia, Svezia, Estonia, Lettonia e Lituania sono altri governi europei contrari a revocare l’embargo, mentre la maggior parte degli altri paesi dell’UE, tra cui la Germania e la Spagna, non hanno ancora chiarito la propria posizione. E l’Italia? La posizione come al solito è ondivaga e a pieno traino dei paesi più influenti (questo almeno sotto la reggenza dell’ex-ministro Terzi) tanto è vero che il nostro paese lo scorso aprile non è riuscito nemmeno a condannare l’uso di munizioni cluster da parte del Governo siriano, come invece fatto da molti altri paesi partecipanti alla Convenzione sulle munizioni a grappolo tenuta a Ginevra.