Le ultime settimane del 2013 (anno sicuramente pieno e anche in parte problematico per tutte le mie attività) hanno anche visto la bella novità di una mia nuova uscita editoriale: “F-35 l’aereo più pazzo del mondo” pubblicato da Round Robin Editrice. Una nuova analisi sul programma Joint Strike Fighter (e in particolare sulla partecipazione italiana) stimolata da un focus territoriale: l’impatto che “l’atterraggio” dei cacciabombardieri ha avuto e avrà (anche in termini di retorica e improbabili tentativi di giustificazione alla spesa) su Cameri e il novarese. I luoghi in cui gli F-35 italiani verranno assemblati.
Un volume che spero possa divenire contributo utile al dibattito sui caccia F-35 e più in generale sulla questione delle spese militari, ovviamente a supporto delle iniziative in tal senso di Rete Disarmo, in particolare nell’ambito della campagna “Taglia le ali alle armi”. Il libro è dedicato alla memoria di Massimo Paolicelli (senza il quale questa azione e questa campagna non sarebbero forse nemmeno iniziate), un mio grande amico e grande uomo di nonviolenza e disarmo. Ci mancherà ma cercheremo di continuare a lavorare per i nostri sogni ed ideali con lui nel cuore.
Quello che voglio regalarvi dalle pagine del mio sito è dunque ora la “Premessa” al libro, che ne inquadra la prospettiva e i contenuti. Sperando che siano righe stimolanti per la riflessione e soprattutto per la continuazione della lettura!
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La progettazione, la produzione, soprattutto l’acquisto da parte di uno Stato di un sistema d’arma complesso come un cacciabombardiere è una cosa complicata. Una questione che non arriva usualmente alle orecchie della maggioranza della popolazione. Eppure, in questo nostro solitamente distratto Paese, grazie soprattutto a chi ha creduto fin dall’inizio alla possibilità di fermare questo acquisto, il cacciabombardiere F-35 è diventato un tema sotto gli occhi di tutti e di interesse politico nazionale. Di norma, questo secondo aspetto tallona a ruota il primo perché i politici difficilmente si mettono a discutere di temi “nuovi” senza averne fiutato la diffusione tra la gente.
Nel corso della campagna elettorale 2013 non c’è stato leader politico di schieramento o di partito che non abbia detto la propria su questi cacciabombardieri, il più grande e costoso sistema d’arma della storia. Ma non solo: in molti dibattiti, in molti incontri pubblici, in molte occasioni di dialogo con i candidati “l’affare F-35” è stato al centro della discussione con gli elettori. Roba non da poco! Ed elemento da non sottovalutare per tutta la campagna elettorale.
Ma non finisce qui. La discussione, successiva alla nascita del governo Letta, di mozioni riguardanti la possibilità di cancellazione della partecipazione italiana a questo programma ha stimolato grossi dibattiti all’interno del governo stesso e del parlamento. Alcuni ministri sono quasi arrivati allo scontro. Le smentite fioccavano e soprattutto, per la prima volta, tutti i principali mezzi di informazione hanno spostato l’attenzione su questo tema. Le spese militari in “prima serata”: non era proprio mai successo! È vero che, complice soprattutto la crisi economica che ha colpito soprattutto il nostro Paese negli ultimi anni, quello dell’acquisto per almeno 15 miliardi di euro di 90 velivoli per la necessità della nostra aeronautica e della nostra marina era sembrato, fin da subito, non opportuno. Questo è il motivo per cui, a partire dall’inizio del 2012, la sigla F-35 è diventata qualcosa di familiare alle più svariate categorie di persone, anche a coloro che, usualmente, nemmeno lontanamente si sognano di occuparsi di questioni militari o riguardanti la Difesa.
Sicuramente tutta questa attenzione, resa pepata dalle varie polemiche e gestita malamente dal governo fin dall’inizio, è derivata da situazioni abbastanza particolari e da una serie di coincidenze favorevoli. Ma in tutto questo il ruolo di chi, fin dall’inizio, ha prestato attenzione a questo acquisto e ne ha capito la problematicità in senso assoluto, è stata preziosa e fondamentale. Un po’ come la miccia che fa esplodere la bomba, se vogliamo rimanere in un’analogia di carattere militare. O meglio, come la mappa che ti guida a destinazione, con un paragone più tranquillo e più calzante visto il nostro punto di vista.
Il primo passo in questa direzione, che ha condotto ad una mobilitazione realmente imponente, è stato fatto a livello locale. Compiuto insomma da coloro che, per primi, si sono resi conto che qualcosa di grosso poteva planare sulla loro testa. L’inizio delle mobilitazioni contrarie al cacciabombardiere F-35 si colloca quindi in un territorio ben delineato. Quello del Novarese, Cameri: la base dell’aeronautica militare dove gli F-35 verranno assemblati e, una parte di essi, addirittura costruita.
Ma come mai è avvenuto lì il primo colpo di una strutturata risposta alle decisioni dei governi? Non ci si poteva accorgere anche a livello nazionale di un programma così imponente e i cui prodromi erano già rintracciabili addirittura a metà degli anni Novanta e la cui firma definitiva di partecipazione alla fase di sviluppo concretizzata in pompa magna nel 2002? Da un lato le solite scarse informazioni che vengono fornite su tutte le tematiche relative alla Difesa, dall’altro i numerosi impegni e campagne di altra natura su cui molte delle realtà del disarmo e della pace erano impegnati in quel periodo. Forse sono stati questi motivi principali per cui solo i gruppi locali del Novarese, già dal 2006, sono stati in grado di cogliere la portata di quello che stava per succedere e cercare di iniziare a lavorarci non episodicamente ma con continuità.
Ci pare quindi interessante e sensato trasferire anche in questo volume tale prospettiva, cercando di raccontare ed analizzare la storia del programma Joint Strike Fighter in Italia a partire dal territorio che ne sarà maggiormente impattato, nonostante le decisioni siano state prese altrove, e il coinvolgimento sia comunque diffuso in varie altre zone d’Italia.
La coalizione novarese che si forma nella primavera del 2006 per iniziare a lavorare ad una mobilitazione sul caccia e che riceve la comunicazione dell’esistenza di questo progetto quasi casualmente durante una riunione plenaria, è di natura variegata. Molte sono le anime presenti sia dal punto di vista della tipologia (sindacati anche di base, associazioni strutturate pur se piccole, circoli culturali) che della matrice etica-teorica di provenienza (cattolica, laica, di sinistra, libertaria ed anarchica). La ricostruzione, importante anche a futura memoria, che faremo nelle prossime pagine di questi primi passi del movimento No F-35 è tratta da riflessioni e contributi scambiati con due di questi poli: Laura Bergomi, attiva nella locale sezione di AssoPace (a sua volta organizzazione membra di Rete Disarmo) e Domenico Argirò, legato all’associazione culturale Zabriskie Point. In tutto questo rimangono molto sullo sfondo le realtà nazionali che, come detto, prese da altro, hanno in quel periodo solamente monitorato qualche attività parlamentare non tanto come organizzazioni ma come singoli analisti interessati al procurement militare.
Nella riunione alla Camera del lavoro di Novara sono quindi presenti “elementi della neoautonomia, del cattolicesimo di base, del pacifismo tradizionale, del sindacalismo di base, di un’associazione culturale di ispirazione libertaria”. Le prime analisi vengono effettuate a partire da un documento (ironia della sorte!) elaborato dal Centro militare di studi strategici che riporta nello specifico tutti i passi tecnici avvenuti fino alla data, ragionando già anche sulle problematiche del JSF e riportando le critiche di quella che potremmo chiamare la “colonna europeista” della nostra aeronautica militare. Giova ricordare che siamo a circa un anno dalla firma definitiva, effettuata poi dal sottosegretario alla Difesa Forcieri del governo Prodi a luglio 2007, per la partecipazione alla fase di preproduzione degli aerei. Un po’ di tensione rimane nel movimento locale, proprio per la presenza del governo “amico” di centrosinistra che non pare intenzionato a bloccare la corsa del programma Joint Strike Fighter ormai inquadrata su binari ben definiti.
Tra il 2006 e il 2007 sono molte le iniziative di approfondimento che vengono organizzate, anche con esperti nazionali, per inquadrare al meglio la questione e non renderla solo una mera rivendicazione locale. Difficile, peraltro, da praticare non essendo la produzione del cacciabombardiere notevolmente impattante in senso negativo sul territorio (per logistica o questioni ambientali) e venendo invece inserita in un tessuto che ha sempre vissuto con orgoglio la presenza dell’aeroporto militare. Forse uno dei motivi principali che non hanno permesso al movimento novarese contro gli F-35 di salire di livello verso un coinvolgimento davvero diffuso, pur rimanendo un’esperienza notevole come già sottolineato.
Il 2007 è anche l’anno delle prime manifestazioni pubbliche e di respiro anche nazionale, quantomeno nelle intenzioni di coinvolgimento degli organizzatori. A maggio sono due gli appuntamenti, che riverberano una qualche differenza di approccio comprensibile vista la molteplicità di soggetti coinvolti: un presidio di testimonianza ed informativo a Cameri ed una vera e propria manifestazione per le strade di Novara. Con buon successo in particolare di quest’ultima, capace di far sfilare nella usualmente sonnecchiosa provincia piemontese circa duemila persone controllate a vista da un imponente dispiegamento di forze dell’ordine. Non si è trattato di grandi numeri, ma queste prime iniziative hanno comunque iniziato una fastidiosa opera di disturbo nei confronti di coloro che invece intendevano presentare acriticamente la “grande occasione” degli F-35 senza qualcuno in grado di smentire la falsità su cui veniva fondata una tale visione.
Secondo le parole di Argirò, come già detto uno dei principali attori di questo percorso: “Non solo si assistette, attorno al corteo poi effettivamente realizzato, ad una blindatura esagerata e minacciosa, ma persino nei mesi precedenti diversi individui dell’area avversa ai caccia dimoranti a Novara e dintorni ebbero a ricevere telefonate o visite di persona da parte di solerti funzionari vicini agli apparati di sicurezza, che li mettevano davvero amichevolmente in guardia dal partecipare ad un evento di genere inusuale per Novara e per di più in compagnia di individui e gruppi decisamente poco raccomandabili”.
Quando si arriva a fare mosse de genere, significa che l’azione di contrasto sta iniziando a funzionare realmente. Proprio su questo slancio, che poi invece si attenuerà a livello locale anche per l’allungamento dei tempi ufficiali del programma JSF, si arriva al punto più alto della mobilitazione locale contro gli F-35, la marcia di dieci chilometri da Novara a Cameri del 4 novembre 2007 (una data anche molto significativa). Una manifestazione che ha ricevuto l’adesione di molte sigle di diverse aree, ma che non è stata poi in grado di capitalizzare, anche per il rinnovarsi delle differenze interne al movimento: un risultato positivo. E che ha visto un declino, intervallato da una successiva manifestazione, il 2 giugno 2009, risvegliato solo più recentemente traendo anche forza dai risultati di livello nazionale.
Tutte le realtà facenti parte del movimento di opposizione ai caccia nel Novarese, in particolare il Tavolo di lavoro No F-35, si sono poi dedicate all’approfondimento della questione dal punto di vista tecnico ed economico. La produzione di documenti in tal senso, vista soprattutto come occasione utile di informazione durante i vari eventi e presìdi, è stata davvero copiosa e interessante. Si può quasi dire che i volantini, i dossier, le prese di posizione tecniche ed esplicative possano configurare una sorta di posizione e manifesto politico della mobilitazione.
Va dato atto, infatti, a tutte le anime del movimento No F-35 del Novarese, ciascuno per la propria parte e secondo le proprie caratteristiche, di aver individuato fin dal principio le problematiche e i punti deboli dei cacciabombardieri del programma Joint Strike Fighter. Così come per le indicazioni e le prese di posizione a livello nazionale della campagna Taglia le ali alle armi. Si tratta delle stesse problematiche e degli stessi snodi ancora oggi in discussione, e che già allora venivano posti in piena luce e presi in considerazione come fondamentali per affrontare la questione. Quando, al contrario, la politica e soprattutto i funzionari del Ministero della Difesa parlavano d’altro e si beavano di previsioni fantasticamente positive sui caccia e il loro impatto.
Anche la Chiesa locale ha avuto un ruolo rilevante nella mobilitazione. Certamente con i gruppi locali di associazioni nazionali attive nel mondo del disarmo come Pax Christi, ma anche con strutture della stessa diocesi come la Commissione diocesana “Giustizia e Pace” e più tardi con lo stesso vescovo. Un passaggio fondamentale in tal senso si è avuto nel 2007 con il documento di due vescovi: monsignor Charrier, vescovo di Alessandria e responsabile della pastorale sociale e del lavoro, giustizia e pace piemontese, e monsignor Valentinetti, arcivescovo di Pescara e presidente nazionale di Pax Christi.
Nel testo i due presuli hanno esplicitato molto chiaramente la lontananza dai princìpi cristiani per la costruzione di questo cacciabombardiere. Tra i passaggi più forti in tal senso la sottolineatura che la produzione di armi “manifesta una palese contraddizione tra lo spreco di risorse per la realizzazione delle attrezzature militari e la somma dei bisogni vitali attualmente non soddisfatti e tragicamente presenti in molte parti del mondo. Scienza e tecnologia devono essere poste al servizio della vita e non della morte!”.
Con queste premesse era naturale che si giungesse a sottolineare la “speranza che si arrivi ad un ripensamento e ad una soluzione non temporanea o solo legata ad una questione locale, arrivando a cogliere l’occasione per una riflessione più allargata capace di incidere nella mentalità delle persone singole e delle Istituzioni per renderle capaci di operare delle scelte non dettate dall’interesse e dal potere, ma da una sincera ricerca del bene comune in vista di una pace finalmente universale”.
Una posizione poi rafforzata esplicitamente dalle parole del vescovo di Novara, monsignor Corti, che ha posizionato la chiesa locale contro questo programma. Chiare e non fraintendibili le sue parole quando richiama “la necessità di opporsi alla produzione e alla commercializzazione degli strumenti concepiti per la guerra, in particolare alla problematica sorta recentemente sul territorio novarese relativa alla costruzione degli F-35”.
Un passaggio non da poco considerando che il Novarese, come molte aree del nord Italia, vede un forte radicamento delle strutture e dei pensieri cattolici. Non è quindi un caso che, qualche anno più tardi e dopo la crescita delle mobilitazioni a livello nazionale, siano stati proprio tre sacerdoti insieme al coordinatore di Rete Disarmo ad entrare per la prima volta nella base dell’aeronautica in cui si stavano iniziando i lavori per accogliere la filiera di produzione degli F-35. Don Mario Bandera della commissione Giustizia e Pace, don Renato Sacco di Pax Christi e parroco a Cesara, padre Domenico Cremona della commissione nazionale giustizia pace creato della famiglia domenicana, sono tutti stati protagonisti di una visita coraggiosa e di un confronto franco con le strutture militari.
A livello nazionale la nascita della mobilitazione coincide invece con il passaggio parlamentare finale di approvazione della partecipazione italiana al JSF. Un passaggio avvenuto nell’aprile del 2009 con i pareri delle commissioni competenti del Senato e della Camera: in quel momento nasce l’urgenza e l’esigenza di mettere in pista una qualche azione di pressione sulla politica. Soprattutto perché le prime e confuse notizie seguite all’approvazione parlamentare sembrano indicare una chiusura di tutto il complesso dei contratti legati agli F-35 già per l’anno in corso. Quello che veniva dichiarato era lontano dalla realtà con un meccanismo di sviamento, probabilmente nemmeno consapevole per molti, che caratterizza ancora oggi tutta la comunicazione ufficiale riguardo a questo progetto. In seguito vedendo che, anche per motivi economici e di non accordo sui ritorni industriali, il progetto di acquisto di 131 caccia non veniva concretizzato, la campagna nazionale ha deciso di intensificare la propria azione a livello politico.
Sono quindi del 2010 le presentazioni delle prime due mozioni alla Camera, prime firme Pezzotta e Sarubbi, e al Senato, prima firma Veronesi, che chiedono la cancellazione della partecipazione italiana al programma dei caccia. Documenti in realtà sostenuti da pochi parlamentari e che non permettono alla mobilitazione No F-35 di salire di livello nella propria visibilità e considerazione. Il governo non si degnerà di accogliere la prima serie di firme di protesta raccolte con apposita petizione. Da quel momento, però, è partito anche un approfondimento tecnico da parte delle strutture della campagna nazionale che riuscirà poi a sbugiardare molte delle posizioni del governo sul JSF e a chiarire meglio, sia al parlamento ma anche l’opinione pubblica, alcuni passaggi fondamentali di tutta la problematica. Il successivo passaggio di esplosione della questione e della campagna Taglia le ali alle armi, si è avuto ad inizio 2012, con la determinazione della mancanza di penali se ci si fosse fermati con l’acquisto. Un dettaglio, in un momento in cui venivano tagliati servizi, varate pesanti riforme e portata avanti una spending review molto forte per la crisi economica in atto, che è stato vincente per rendere il tema dei caccia F-35 uno dei più dibattuti a livello nazionale.
Il tutto mentre il programma non si ferma né a livello nazionale né, soprattutto, a livello locale. In coincidenza con una delle ultime manifestazioni della prima fase di azione (cui ne seguiranno altre molto importanti a campagna ormai “visibile”) iniziano i lavori di bonifica e costruzione dell’area FACO a Cameri. Il cuore pulsante dell’assemblaggio dei caccia in territorio italiano ed anche un bel regalo delle casse pubbliche ad Alenia che in quell’impianto potrà eseguire la produzione della parte alare del velivolo per cui è stata messa sotto contratto dalla capo-commessa Lockheed Martin.
Tutto questo ci fa arrivare ai giorni nostri, con le discussioni alla Camera e al Senato. Il tutto prende le mosse con la mozione Marcon (Sel) che aggrega nel tempo altri parlamentari di vari gruppi, alcuni base fondante del successivo intergruppo parlamentari per la pace. I testi arrivano in aula e costringono il governo a presentare, con una mediazione non facile tra il Pdl e un Pd la cui discussione interna giunge a livelli mai visti, un proprio documento che rigetta la cancellazione del programma aprendo però ad una strada di ripensamento. Secondo la mozione poi votata a maggioranza, il governo veniva impegnato ad una pausa di riflessione coincidente con una indagine parlamentare più approfondita su tutte le acquisizioni di sistemi d’arma. E per il caccia F-35 “nessun ulteriore acquisto” prima di un’esplicita e rinnovata decisione del parlamento.
Medesimo schema si gioca a Palazzo Madama, dove alcuni senatori del Pd, guidati da Felice Casson, stimolano il dibattito che porta ad una mozione governativa del tutto simile a quella della Camera. Eppure questo spiraglio, e ancora peggio una posizione politica indicata al governo dalla maggioranza parlamentare, è stato completamente ignorato e disatteso dal Ministero della Difesa che ha continuato con gli acquisti ipotizzati anche nei mesi successivi alle votazioni di metà 2013. Adducendo come giustificazione “impegni già presi” che paiono inconsistenti con le usuali dinamiche di acquisizione di armamenti dagli USA e con la storia stessa del programma JSF.
Ma tutto ciò ci racconta anche di una campagna nazionale ed una mobilitazione territoriale davvero notevole. La prima capace di controllare ogni singolo passo del programma e di fornire a parlamentari ed opinione pubblica un’informazione completa come mai accaduto per un’acquisizione di sistema d’arma, tanto è vero che gli stessi deputati della commissione Difesa hanno appreso l’acquisto dei tre aerei del Lotto VII direttamente da Rete Disarmo. La seconda, cioè la mobilitazione territoriale, responsabile di una diffusa comunicazione sul tema e di una diffusa pressione anche sugli enti locali. Che, non a caso, in misura non trascurabile hanno deciso nel corso degli ultimi tre anni di votare documenti ufficiali per chiedere cancellazione o sospensione del programma Joint Strike Fighter. Un ribaltamento di posizioni che ha addirittura costretto Lockheed Martin a produrre un video in italiano pronto a decantare le “magnifiche qualità” degli F-35 e delle loro ricadute, soprattutto sul territorio di Novara. Ma questa è una storia che converrà approfondire nelle prossime pagine.